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IL PERSONAGGIO

I genitori separati di Nick Hardt

La Repubblica Dominicana riassapora il grande tennis grazie a Nick Hardt. Figlio di genitori separati ha vissuto un'infanzia difficile, con il tennis come rifugio. La svolta è stata il Covid: senza poter giocare, ha trascorso 6-7 ore al giorno in palestra, costruendosi un fisico eccezionale. “Giocano tutti bene: la differenza la fanno testa e fisico”.

Riccardo Bisti
16 aprile 2024

Esattamente dieci anni fa, la Repubblica Dominicana festeggiava l'ingresso di un proprio giocatore tra i top-100 ATP. Marzo 2014: vincendo un torneo Challenger in Ecuador, Victor Estrella Burgos raggiungeva un traguardo illogico per un Paese focalizzato sul baseball, senza tradizione né particolari risorse. Fino a qualche anno prima, era costretto a fare lezioni in un resort per mettere insieme il denaro che gli permettesse di girare il mondo. Una volta diventato uno dei più grandi sportivi del Paese, si infuriò con le istituzioni per la scarsa attenzione riservata al tennis. Come per magia iniziarono ad arrivare gli aiuti di CRESO, acronimo di Creando Suenos Olimpicos, organizzazione senza scopo di lucro che investe nello sviluppo e nella formazione di sportivi dominicani. Senza quello sfogo, chissà se Nick Pierre Hardt Vasquez sarebbe diventato un atleta di livello, riportando per la prima volta la Repubblica Dominicana nella geografia racchettara dopo il ritiro di Estrella Burgos. Di certo, CRESO lo segue da una decina d'anni e lui non perde occasione per ringraziarli, specie in un momento d'oro come questo. La città-svolta è Barcellona: un paio di settimane fa ci ha vinto il suo primo Challenger, presso l'accademia di Emilio Sanchez e Sergio Casal.

Dopo una parentesi a Madrid è tornato in Catalogna, stavolta nel mitico Real Club de Tenis, sede del Conde Godò, e ha passato le qualificazioni raggiungendo per la prima volta il main draw in un torneo ATP. Come se non bastasse, ha battuto il gioiellino Martin Landaluce e si è garantito l'ingresso tra i top-200 ATP, linea di confine – a suo dire – tra la vita e la sopravvivenza. Da un paio d'anni staziona tra la 200esima e la 300esima posizione e ammette che in quella fascia di classifica è possibile pagarsi le spese, ma non si mette nulla da parte. “L'ideale sarebbe entrare tra i top-200, anche se le condizioni dei tornei migliorano anno dopo anno, a partire dalla crescita dei montepremi”. A Barcellona si è garantito un assegno di oltre 20.000 dollari. Magari la sua carriera cambierà, anche se difficilmente coronerà il sogno di giocare contro Rafael Nadal. Aveva espresso questo desiderio pochi giorni fa, consapevole che ci saranno sempre meno possibilità visto l'imminente ritiro di Rafa. Al Conde Godò si era costruito una buona chance, ma è finito dalla parte opposta del tabellone. Mentre Rafa esordirà contro Flavio Cobolli, lui cercherà l'exploit contro Tomas Etcheverry con la prospettiva di affrontare Andrey Rublev.

Nick Hardt è stato il protagonista del giorno al torneo ATP di Barcellona

«I miei genitori si sono separati quando avevo 1-2 anni. Non li ho mai visti per davvero insieme, e quando capitava erano sempre a litigare. È stata dura essere un bambino in quella situazione» 
Nick Hardt

Ci sono carriere che prendono il via per una serie di coincidenze fortunate. È certamente il caso di Hardt: senza la sfruriata di Estrella Burgos, chissà se avrebbe mai beneficiato degli aiuti di CRESO. E poi era stato a un passo dal non giocare il Challenger di Barcellona. “Ero rassegnato a saltarlo. Se Hassan avesse battuto Martinez a Girona, avrebbe usufruito dello Special Exempt e sarei rimasto fuori”. Invece gli astri si sono allineati e ha intascato il titolo, peraltro battendo le prime due teste di serie: Quentin Halys al primo turno e Bernabe Zapata Miralles in finale. Gli appassionati vedono i risultati, la punta dell'iceberg, ma raramente sanno cosa c'è dietro. Hardt sarà d'accordo con le recenti parole di Iga Swiatek. “Capita che sai di aver dato il meglio e la gente ti critica. Non conoscono la nostra vita, quello che succede fuori dal campo. Sarebbe bello se si ricordassero che siamo persone”. Persone come Nick Hardt, la cui infanzia è stata tutt'altro che semplice. Ai canali mainstream si è limitato a dire di aver iniziato a giocare a 3 anni perché suo padre aveva un club nei pressi di casa. “Lo guardavo giocare tutto il giorno con i suoi amici, così ho deciso di provare e mi sono innamorato del tennis. A nove anni ho iniziato ad allenarmi sul serio, poi a 14 ho avuto l'offerta di una borsa di studio dall'IMG Academy”.

Ma questa è solo la parte bella della storia. L'altra racconta che, da bambino, Nick era un po' sovrappeso. A parte le prese in giro degli amichetti (il concetto di body shaming non esisteva ancora...) era convinto che non sarebbe diventato un tennista di livello perché gli mancava l'atletismo. E poi è cresciuto in una situazione familiare molto complessa. “I miei genitori si sono separati quando avevo 1-2 anni. Non li ho mai visti per davvero insieme, e quando capitava erano sempre a litigare. È stata dura essere un bambino in quella situazione. Ho dovuto maturare in fretta, e questo mi ha causato tanti problemi di fiducia e autostima. Il tennis è stato la mia via di fuga, il campo era l'unico posto in cui mi sentivo libero”. Come detto, a 14 anni è arrivata l'offerta IMG. Fu uno shock, ma anche fonte di euforia. “Mio padre era felice, mia madre no. Non voleva che mi trasferissi così giovane negli Stati Uniti. È stata una decisione difficile: ok, riguardava la mia carriera, ma mi sembrava di scegliere tra i miei genitori”. Tuttavia ha avuto la lucidità necessaria per rendersi conto che a Santo Domingo non avrebbe mai avuto le stesse opportunità.

Vincendo a Barcellona, Nick Hardt ha ridato un titolo Challenger alla Repubblica Dominicana dopo sette anni

Nei cinque anni a Bradenton si è formato come giocatore e come persona, sotto la guida del coach-leggenda Ivan Molina, ma l'ingresso nel professionismo non era stato all'altezza dei risultati junior (in cui era stato nella top-20 mondiale). Paradossalmente, la pandemia gli ha dato una mano. È tornato in Repubblica Dominicana e si è trovato improvvisamente senza tornei e giocatori di livello con cui allenarsi. E allora si è dedicato alla preparazione atletica, in modo quasi ossessivo. “Mi sono fatto un c.... così. Visto che non potevo giocare, restavo in palestra 6-7 ore al giorno. Anche se è stato difficile, quel periodo mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto capire quanto desideri diventare un tennista. Voglio diventare la migliore versione possibile di me stesso”. Con un fisico tutto nuovo, Hardt ha poi scelto la Spagna come base in Europa. Fa la spola tra Barcellona e San Sebastian, laddove si allena con il suo attuale coach, il basco Mikel Gonzalez. A rifinire i suoi muscoli ci pensa il preparatore atletico Carlos Perez, e ogni tanto fa un salto presso l'accademia di Jordi Vilarò. In questi anni di professionismo, si è reso conto che tutti colpiscono molto, molto bene la palla. La differenza sta altrove. “Tra la 50esima e la 200esima posizione giocano tutti molto bene – racconta – la differenza la fanno la regolarità fisica e mentale”.

Se i timori atletici sono solo un lontano ricordo, per aggiustare la mente si fa aiutare da uno psicologo, il dottor Giovanni Montero, che lo aiuta a restare calmo e concentrato anche nei momenti peggiori. “Credo che il tennis dipenda al 70% dalla testa e al 30% dal fisico” dice Hardt, che era al fianco di Estrella Burgos nel giorno della sua ultima partita, un doppio in Coppa Davis contro la Lettonia. “Lui è la storia del tennis, anche se da piccolo tifavo per Roger Federer perché era un artista della racchetta, faceva sembrare tutto facile. Però apprezzo molto anche lo spirito di sacrificio di Rafael Nadal”. A 23 anni, il dominicano sembra avere prospettive decisamente migliori rispetto a Estrella Burgos, che giocò i primi tornei ATP e 27 e ha vissuto il meglio intorno ai 35. Come prima cosa, vorrebbe dare una gioia a CRESO, in particolare al visionario Felipe Vicini, che diversi anni fa – impressionato dai risultati dei dominicani a Pechino 2008 – decise di provare a dare una mano agli aspiranti atleti del suo Paese. Per questo, partecipare alle Olimpiadi di Parigi sarebbe un risultato straordinario. Purtroppo per lui, ai Giochi Panamericani si è fermato nei quarti (mentre in doppio ha vinto la medaglia di bronzo), dunque avrà bisogno di una wild card. Vista la provenienza, potrebbe anche ottenerla. “Però l'ideale sarebbe arrivare intorno al numero 120. Se non ce la farò, lavorerò per la prossima edizione”. Los Angeles 2028, in fondo, non è così lontana.