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IL PERSONAGGIO

Non gli bastava essere il cognato di Khachanov

A 27 anni di età, Ilya Ivashka sta trovando il massimo del suo potenziale. Fino a oggi era noto per la parentela (acquisita) con Khachanov e per un curioso penalty game. Ma è un giocatore di livello, versatile, in grado di esprimersi su ogni superficie. A Barcellona ha spaventato Nadal, a Monaco ha battuto Zverev. E adesso?

Riccardo Bisti
1 maggio 2021

Dicono che i bielorussi siano un popolo tranquillo, di indole diversa rispetto ai fratelli maggiori russi. Gli sportivi crescono in un ambiente più rilassato: per questo, Ilya Ivashka ha potuto sviluppare la sua carriera senza troppe pressioni. Inoltre, i tennisti bielorussi hanno avuto lo scudo delle donne. Per una Victoria Azarenka che ha vinto tutto, adesso c'è Aryna Sabalenka che sogna di fare altrettanto. E allora non ci sono grandi aspettative sui maschietti, per quanto il Paese abbia una discreta tradizione. Vladimir Voltchkov è andato in semifinale a Wimbledon, Max Mirnyi è stato un ottimo giocatore, nonché oro olimpico in doppio misto (Londra 2012, ovviamente con la Azarenka). Insieme, colsero una storica semifinale di Coppa Davis nel 2004. Prometteva di raccogliere la loro eredità Uladzimir Ignatik, ex fenomeno junior (n.1 del mondo nel 2007) ma incapace di confermarsi tra i professionisti. Si chiama Uladzimir anche il padre di Ivashka, uno dei giocatori più in vista del momento. Ad aprile ha colto i quarti a Marbella, ha scippato un set a Rafa Nadal a Barcellona e adesso si è preso lo scalpo di Alexander Zverev a Monaco di Baviera.

Hai voglia a dire che il tedesco non aveva toccato racchetta per tre settimane: il BMW rimane un torneo speciale per lui, quello in cui ha esordito nel circuito e ha già vinto due volte. Nel 6-7 7-5 6-3 di venerdì ha anche servito per il match, ma è affogato in un oceano di doppi falli (alla fine saranno 14) lasciando spazio a Ivashka, forse uno dei giocatori meno noti in rapporto alle sue qualità. Fino a oggi era conosciuto soprattutto per l'episodio dello scorso ottobre a San Pietroburgo, quando si prese un penalty game per essere andato in bagno durante un medical time out. Un malinteso che per poco non gli costava la squalifica. Oggi Ivashka è l'ennesimo biglietto da visita della 4Slam Tennis Academy, già sede d'allenamento di Andrey Rublev e Karen Khachanov. Il secondo, in particolare, è molto amico di Ivashka. A ben vedere, sono parenti: la compagna del bielorusso, infatti, è sorella gemella della moglie di Khachanov.

ASICS ROMA
"Andate a un qualsiasi Challenger e osservate il numero 300 ATP: vi domanderete come mai sia così indietro. La differenza viene dalla testa. E Ilya ha fatto un salto mentale incredibile"
José Checa Calvo

La vittoria contro Alexander Zverev è la più prestigiosa nella carriera di Ilya Ivashka

Ed è grazie al russo che si è recato a Barcellona qualche anno fa. Khachanov era già seguito da Galo Blanco, così a fine 2015 Ivashka chiese di unirsi per la preparazione invernale. È finita che non se n'è più andato, anche perché ha trovato l'uomo della svolta: José Checa Calvo, classe 1985, ex n.230 ATP. Si era ritirato un paio d'anni prima e aveva subito iniziato il lavoro di coach, prima con Santiago Giraldo e poi con Andrey Kuznetsov. “Ci siamo subito trovati bene e abbiamo deciso di fare un percorso insieme. A Barcellona ci sono ottime condizioni, mi piaceva stare con lui e ho preso questa decisione” dice Ivashka in una delle poche interviste in lingue diverse dalla sua. Adesso ha ripreso ad allenarsi presso il Centro Tecnico di Minsk, ma trascorre ancora molto tempo a Barcellona e ha come base il Real Club Polo della città catalana. Ivashka ha l'aria un po' dimessa, rispecchiata da un tennis che è un po' un ibrido.

Il suo gran fisico lo rende competitivo nei colpi di inizio gioco, però imposta la partita secondo il metodo spagnolo: grandi corse e scambi duri, più incentrati sul sudore che sulla qualità. Più sostanza, meno forma. Fino ai 23 anni era un carneade come tanti: gli è bastato trovare il coach giusto e in un anno è passato dalla 260esima all'80esima posizione. Poteva crescere ancora, ma un infortunio al ginocchio e la mononucleosi lo hanno bloccato per mezzo 2019. Poi è arrivata la pandemia e bye bye top-100. Sta lavorando duro per rientrarci. Ha chiuso il 2020 vincendo un paio di Challenger (Istanbul e Ortisei), ottima base per una stagione da protagonista. E adesso, in effetti, sembra pronto per superare i suoi limiti. Oggi proverà a centrare la sua prima finale ATP contro Jan Lennard Struff, a caccia dello stesso obiettivo. I tedeschi speravano in un derby tra connazionali, ma Ivashka ha rovinato tutto.

Ogni mattina, Ilya Ivashka si concede un'ora di yoga e meditazione subito dopo il risveglio

Una delle rare occasioni in cui la TV bielorussa si è interessata a Ilya Ivashka

In patria, i suoi risultati passano quasi sotto silenzio. Pochissimi sanno che fa un'ora di yoga ogni giorno, che legge libri di storia e possiede tre cani. Vuoi perché le donne sono più popolari, vuoi perché non è nemmeno il numero 1 bielorusso, visto che Egor Gerasimov gli sta davanti (n.76 contro n.107), ma c'è da credere che Ilya sia in corsia di sorpasso. “Abbiamo un'ottima chimica – dice Checa Calvo – il nostro rapporto ormai va oltre quello tra coach e giocatore. Siamo amici, ci scambiamo consigli e con lui ho imparato la strada per portare un giocatore a esprimere il meglio del suo potenziale. Andate a un qualsiasi Challenger e osservate il numero 300 ATP: vi domanderete come mai sia così indietro. La differenza viene dalla testa. E Ilya ha fatto un salto mentale incredibile: sa quello che deve fare e ce l'ha molto chiaro. Ogni tanto capita di non poterlo seguire a un torneo, ma sono ugualmente tranquillo perché è perfettamente in grado di gestirsi. Sul piano tecnico ha un grande fisico, quindi giocatori come Anderson e Cilic possono essere un esempio”.

Il sudafricano non è citato a caso, poiché lo scorso anno lo ha sfidato all'Australian Open in una partita fantastica, chiusa soltanto al super tie-break del quinto set. È stato il match che Checa Calvo si è goduto di più, al di là del risultato finale. Ha capito che il suo allievo può mettere il naso nel tennis che conta, e lo può fare su tutte le superfici. Prima di Monaco di Baviera, Ivashka aveva giocato una sola semifinale ATP, tre anni fa a Marsiglia. Non sapeva di essere il primo bielorusso a riuscirci dai tempi di Mirnyi (Nottingham 2005). “Non lo sapevo – disse – ricordavo che aveva vinto l'ultimo torneo a Rotterdam 2003, ma non questa statistica”. Come a dire che in Bielorussa lasciano tranquilli per davvero, non inquinano la testa con statistiche, paragoni e tutto quello che finisce sui giornali ma alimenta la pressione. Forse è questa la ragione per cui Ivashka (che in passato si è allenato anche in Svezia) sta offrendo il meglio di sé a 27 anni e ha la mente fresca, senza il tipico logorio di chi ha lottato per anni nelle retrovie. Ed è convinto che il meglio debba ancora venire.