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IL CASO

Binaghi ride: potrà candidarsi a vita!

Un blitz notturno salva la poltrona ai presidenti federali. Accolto l'emendamento di un deputato di Forza Italia (vicino a Paolo Barelli, presidente FIN) che spazza via il limite dei tre mandati: la Legge Lotti, dunque, andrà in pensione senza mai essere applicata. Nessun limite temporale, solo l'obbligo del 66,66% delle preferenze. Una norma che permetterà ad Angelo Binaghi di candidarsi in eterno.

Riccardo Bisti (Foto Francesca Grana / FITP)
27 luglio 2023

“Sono personalmente disgustato”. Con queste parole, l'ex CT della Nazionale di pallavolo Mauro Berruto (attuale deputato del Partito Democratico) ha accolto quello che è stato definito un blitz notturno per cancellare il limite dei mandati per i presidenti delle federazioni sportive. Un emendamento presentato da alcuni deputati di Forza Italia è stato approvato dal Governo: è stato sufficiente eliminare un paio di parole alla normativa per rendere inutile l'intervento della Corte Costituzionale, che aveva già avviato le pratiche per deliberare sul ricorso che mirava a rendere incostituzionale la Legge 8-2018. È bastato sbianchettare due parole: la frase “Il presidente e gli altri componenti della giunta nazionale non possono svolgere più di tre mandati” diventa “Il presidente e gli altri componenti della giunta nazionale possono svolgere più mandati”. Niente più limiti di tempo, nessun argine.

Uno ci sarebbe, ma è ai limiti del ridicolo: anziché la maggioranza assoluta, i presidenti che concorreranno per mandati successivi al terzo avranno bisogno di “una maggioranza qualificata pari ai due terzi dei voti validamente espressi”. Dal 50%+1 al 66,6%, insomma. Chiunque conosce i meccanismi elettorali sa che si tratta di un limite simbolico, un argine da squadra di Serie C contro Messi, Mbappè e Cristiano Ronaldo. L'ha scritto anche Berruto: “Chi ha visto un’elezione federale sa di cosa parlo: scatoloni di deleghe e pulmann stipati per portare le persone alle urne. Questo escamotage da sepolcri imbiancati diventerà semplicemente un‘ulteriore clava contro eventuali minoranze che si propongano come tentativo di cambiamento. È letteralmente una vergogna”. La ricaduta di questa modifica (che dovrà seguire l'iter Camera-Senato-Governo: percorso scontato) nel mondo del tennis? Angelo Binaghi, presidente dal 18 dicembre 2000 e al suo sesto mandato, potrà continuare a candidarsi all'infinito, e con lui i suoi fedelissimi consiglieri (Gianni Milan, Isidoro Alvisi, Raimondo Ricci Bitti e Graziano Risi sono i più longevi).

L'indignazione di Mauro Berruto per l'approvazione dell'emendamento

Lo sapevi che...

La Legge 8-2018, ancora in vigore, poneva il limite di tre mandati per i presidenti delle federazioni sportive. Ai tempi dell'approvazione ci fu una norma transitoria che consentì a chi era in carica in quel momento di svolgere un ulteriore mandato. Col senno di poi, una mossa che permetterà a una ventina di presidenti di restare in sella potenzialmente in eterno. Curiosamente, questa norma sparirà senza essere mai stata applicata.

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Si prospettano scenari potenzialmente surreali: Binaghi ha 63 anni e – visto che attualmente sono in carica presidenti vicini all'ottantina (e oltre...) – in teoria potrebbe anche raggiungere la doppia cifra di mandati. Significherebbe il 50% della sua intera esistenza al comando della Federazione Italiana Tennis (e Padel, ormai bisogna abituarsi). Non è questa la sede per effettuare considerazioni sul suo operato, anche perché certi successi sono evidenti (su tutti lo stato di salute del torneo di Roma, il canale TV SuperTennis e le ATP Finals in Italia), ma una norma del genere devasta – il termine è forte, ma quanto mai appropriato – qualsiasi spinta al cambiamento e sembra dare ragione a chi, come Berruto, sostiene che le federazioni sportive possano diventare monarchie assolute. C'è anche chi è in carica da più tempo di Binaghi, sfruttando norme elettorali di stampo medievale (termine che prendiamo in prestito dallo stesso Berruto), a partire dal vergognoso sistema delle deleghe che permette agli aventi diritto di lasciare il proprio voto ad altri, magari senza neanche sapere come sarà utilizzato. In questo senso, è cruciale il lavoro degli organi periferici (Comitati Regionali in testa) per raccoglierne il maggior numero possibile. Secondo l'attuale Statuto FIT, si possono portare in Assemblea fino a cinque deleghe: significa che una singola persona ha in mano sei voti. A una lettura poco attenta, sembra che l'emendamento provi almeno a normalizzare questo sistema.

In realtà non cambierà niente, poiché il numero massimo di deleghe rimarrà cinque per le federazioni con almeno mille affiliati. E il tennis ne ha più di tremila. Ma torniamo all'emendamento: se il tentativo di invalidare la legge tramite la Corte Costituzionale partiva dal mondo del tennis, con i continui ricorsi di Roberto Pellegrini e Carlo Capodaglio, è legittimo pensare che il motore di questa iniziativa sia il nuoto. Il primo firmatario, infatti, è il deputato umbro Raffaele Nevi. Quest'ultimo è presidente vicario del gruppo parlamentare di Forza Italia alla Camera: la nomina è arrivata su proposta di... Paolo Barelli, che di Forza Italia è capogruppo alla Camera, ma è anche presidente della Federazione Italiana Nuoto dal 2000, proprio come Binaghi con il tennis. Per la verità, Barelli è attualmente sospeso dagli organi internazionali per presunti illeciti e violazioni del Codice Etico di World Aquatics (l'ex FINA, la federazione internazionale del nuoto), e non potrebbe ricoprire ruoli fino al 2025. A livello nazionale tuttavia, è stato pienamente riabilitato mentre è in attesa del CAS di Losanna per la squalifica in campo internazionale. Rimane comunque interessato alla modifica di legge, e allo stesso tempo è innegabile la sua vicinanza a Nevi: non solo appartengono alla stessa forza politica, ma lo stesso Nevi lo ha definito “collega e amico”.

Raffaele Nevi è il primo firmatario dell'emendamento che cancellerà il limite di mandati per i presidenti federali

Salvo improbabili ribaltoni, dunque, quelli che il Fatto Quotidiano ha definito boiardi dello sport potranno candidarsi all'infinito: per Binaghi è un enorme sospiro di sollievo, poiché – in caso di rielezione – sarà ancora in carica in anni fondamentali per il tennis italiano, nei quali abbiamo ottime chance di vincere la Coppa Davis (o meglio, ciò che ne resta) e uno Slam al maschile. Nella sua ultima apparizione pubblica, in occasione del lancio del Masterplan per le ATP Finals di Torino, ha aggiunto che l'Italia farà il possibile per mantenerle anche nel quinquennio 2026-2030, ed è chiaro che uscire di scena in anni così importanti avrebbe rappresentato una grossa delusione. Una delusione a cui si era preparato, poiché – in assenza di certezze sulla modifica alla legge – erano iniziate le manovre per individuare un candidato di continuità e pare che fosse stato individuato uno dei suoi fedelissimi: voce e nome si erano rapidamente diffusi, nonostante il riserbo (ma i sorrisi complici) del diretto interessato. Invece all'assemblea elettiva per il quadriennio 2025-2028 ci sarà ancora il nome di Angelo Binaghi, che avrà bisogno di appena il 66,66% dei voti, soglia superata in cinque delle sei precedenti elezioni.

Nel 2000 Rino Tommasi arrivò al 36% contro il suo 63%, mentre nel 2004 il cagliaritano superò il 75% contro Luigi Tronchetti Provera. Da allora ha sempre corso da solo e raccolto percentuali bulgare, anche se le ultime elezioni hanno dato un esito non troppo incoraggiante: dopo il 94,94% nel 2008, il 95,28% nel 2012 e il 96,5% circa del 2016, nel 2020 c'è stato un sensibile calo di preferenze. Detto che si espressero (direttamente o per delega) il 56% degli aventi diritto, di questi votarono per Binaghi il 78,71%, con ben 405 schede bianche. A parte il disinteresse di quasi metà degli affiliati, il 21% dei presenti andò a Roma appositamente per lasciare scheda bianca. Un dato di cui non si è mai parlato ma che deve far riflettere sul reale consenso. Certo, non dovrebbe mettere a rischio la (settima) rielezione, visto un margine di dodici punti percentuali rispetto al 66,66% di cui avrà bisogno. Se sarà candidato unico non avrà problemi ed è difficile ipotizzare avversari, visto che corre da solo da vent'anni e questo monopolio – per varie ragioni – ha desertificato l'opposizione, perlomeno quella attiva. Starà agli addetti ai lavori (affiliati in primis) valutare se è una buona notizia.