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Attento Matteo, la matematica ha cambiato Garin

La sapiente guida di Franco Davin sta trasformando Cristian Garin. Da ex promessa mancata (e poco professionale), il cileno è entrato tra i top-20 ed è sempre più scrupoloso. Con queste armi, proverà a scippare a Berrettini la semifinale alla Caja Magica.

Riccardo Bisti
7 maggio 2021

Cristian Garin e Jaume Munar si sono allenati insieme. Avevano creato un mini-team presso l'accademia di Rafael Nadal e furono affidati a Tomeu Salva-Vidal, ex migliore amico di Rafa, riciclatosi come coach. Dopo qualche tempo, Garin ha abbandonato la Spagna per rifugiarsi di nuovo in Sudamerica. Salva-Vidal disse che aveva più talento, qualità fuori dal comune, ma che la professionalità di Munar era un'altra cosa. Il tempo sta dando le risposte: il maiorchino è emerso prima, ma non è ancora entrato tra i top-50 ATP nonostante abbia appena compiuto 24 anni. Al contrario, Garin aveva bisogno di smaltire la sbornia di certe aspettative e trovare le persone giuste accanto a sé. Non deve essere facile giocare a tennis in Cile dopo Marcelo Rios, Nicolas Massu e Fernando Gonzalez, creatori di un'epopea irripetibile. Eppure Garin sembrava poter raggiungere i loro livelli già dal 2013, quando vinse il Roland Garros junior. Lungo il percorso, battè Alexander Zverev e Borna Coric. Gli anni successivi sono stati un calvario, tra cambi di coach e scelte sbagliate, dettate da una condotta non sempre professionale.

I media cileni rimarcavano senza pietà i successi del tedesco e del croato, come a volerlo sbeffeggiare. Garin ha provato sulla sua pelle che il tennista non può concedersi distrazioni. Quando ha messo ordine nella sua testa, ha preso il via: messi in archivio quattro anni di purgatorio nel circuito Challenger, ha vinto ben cinque titoli ATP in due anni. Il più importante è arrivato lo scorso anno, a Rio de Janeiro. A guidarlo dalla panchina, il Gringo Andres Schneiter, ex giocatore argentino di medio livello. Uno che aveva portato Mariano Puerta in finale al Roland Garros. Lo scorso anno, Garin gli ha dato il benservito. “Mi spiace che l'abbia presa male e abbia detto che non gli ho comunicato la decisione – dice il cileno, che oggi affronterà Matteo Berrettini nei quarti a Madrid – invece l'ho chiamato e l'ho ringraziato per tutto. L'ho lasciato perché la carriera del tennis è corta, bisogna sfruttare il tempo a disposizione. Sentivo che non stavo più migliorando”. Ormai nell'orbita dei top-20 ATP (è stato n.18, oggi è 25), aveva bisogno di qualcuno che potesse fargli fare il salto di qualità.

PLAY IT BOX
"Con Davin abbiamo cambiato il lancio di palla. Inoltre mi sento migliorato con il dritto e ha messo ordine nel mio tennis, così come nel gioco di gambe"
Cristian Garin

Cristian Garin tra l'amore per sushi e pizza... e l'odio per la cyclette

Qualche like reciproco su Instagram fu notato dai media cileni, i quali anticiparono la notizia dell'accordo con Franco Davin, uno dei migliori tecnici in circolazione. Ha firmato gli ultimi due Slam vinti da sudamericani (Gaudio e Del Potro), ed è riuscito nell'impresa di portare Fabio Fognini tra i top-10. Chiusa l'avventura con l'azzurro, ha seguito Kyle Edmund (oggi fermo ai box per un'operazione al ginocchio). “Sono stato contattato da David Tosas, manager di Cristian – racconta Davin – sapevano che avevo chiuso con Edmund e anche loro erano in cerca. Ci eravamo allenati insieme un paio di volte allo Us Open, ma non ci conoscevamo così bene”. Tra i due si è sviluppata una buona chimica, superiore alle difficoltà di salute che hanno impedito a Garin di andare in Australia (ha avuto il COVID, ma se l'è cavata con qualche giorno di sintomi modesti). Oggi Garin sembra pronto al definitivo salto di qualità, magari avvicinare quei top-10 che il Cile non accarezza dei tempi di Fernando Gonzalez. “Di Cristian mi colpiscono potenza ed esplosività, oltre alla rapidità di gambe” dice Davin, che ammette l'esistenza di giocatori più forti di lui.

Ma mi aspetto che possa giocare alla pari con tutti. Non mi pongo obiettivi numerici, ma vorrei che giochi al livello che esprime in allenamento”. Soprannominato “Tanque”, il cileno è un bel torello: alto 1.85 per 85 chili, ha il baricentro basso e ha il fisico di un mediano di rottura. Sul piano tennistico ricorda vagamente Sebastien Grosjean. Paradossalmente serve peggio del francese, che pure gli rendeva una decina di centimetri di altezza. Ma con Davin sta lavorando anche su questo: l'approccio al coaching del tecnico argentino è molto particolare. Grande appassionato di matematica, fa grande affidamento sui numeri. Si fa aiutare da Marcelo Albamonte, un matematico di professione, che gli scodella dati su dati sui giocatori allenati. “Ed è un bel vantaggio segnarsi tutto, perché dopo un buon numero di match aiutano il giocatore a capire dove sbaglia, indirizzando al meglio gli allenamenti. In questo modo, il giocatore è più concentrato”. Questo approccio fu decisivo con Fognini: forte dei numeri, Davin gli elencò con precisione certosina i suoi punti deboli, un mix di lacune tecniche e mentali che gli avevano impedito di raggiungere certi traguardi.

Franco Davin riuscì nell'impresa di far vincere il Roland Garros a Gaston Gaudio

La finale di Monaco di Baviera 2019, vinta da Garin su Berrettini al tie-break decisivo

“Erano evidenti, davano un grosso vantaggio agli altri – ricorda Davin – gliele abbiamo mostrate e ha capito. È venuto fuori l'orgoglio, il desiderio di migliorare, e Fabio ha iniziato ad apprezzare la competizione”. Risultato? Vittoria a Monte Carlo e approdo tra i top-10, primo italiano dopo 40 anni. In Garin ha trovato meno talento, ma un tennista più giovane e per questo plasmabile. “Franco mi ha fatto capire gli errori che commetto durante un match, oltre a invitarmi a riflettere su quello che sbaglio – racconta il (quasi) 25enne di Iquique – abbiamo cambiato il lancio di palla, inoltre mi sento migliorato con il dritto e ha messo ordine nel mio tennis, così come nel gioco di gambe. Sono migliorato moltissimo”. Archiviato il problema COVID, è arrivato il quinto titolo ATP (il primo col nuovo coach), sulla terra casalinga di Santiago del Cile. Da allora, terzo turno a Monte Carlo ed ecco i quarti a Madrid. È la seconda volta che va così avanti in un Masters 1000 (c'era arrivato a Parigi Bercy 2019), ma adesso vuole fare un passo in più. I successi su Verdasco, Koepfer e Medvedev certificano una forma in crescendo. E poi ha vinto l'unico precedente sul rosso contro Berrettini (finale di Monaco di Baviera 2019). Alla Caja Magica sarà un venerdì sera di fuoco, perché il Nuovo Garin è ancora più forte di quello di allora.

Come (quasi) tutti i sudamericani è maturato tardi (è entrato tra i top-100 a 22 anni), ma adesso è diventato molto scrupoloso. Grazie a Davin, ha compreso l'importanza della programmazione, degli allenamenti, del riposo, dell'idratazione e di una corretta alimentazione. Cose che fanno la differenza, così come la capacità di uscire dalla zona di comfort. “A Buenos Aires ero reduce dalla malattia e ho giocato molto male. Era mercoledì sera. Il giorno dopo non avevo voglia di fare niente, ma Franco mi ha obbligato ad allenarmi. Era la cosa migliore da fare. Quello sforzo mi ha permesso di stare meglio rapidamente. E così è nato il mio successo a Santiago”. Si discute spesso sull'importanza dei coach e dell'influenza che possono avere sul rendimento di un giocatore. Nel caso di Franco Davin, beh, non ci sono dubbi. Per questo, il match di stasera (secondo incontro dalle 19, diretta Sky Sport) è la classica buccia di banana. La buona notizia è che Berrettini è altrettanto professionale, scrupoloso, intelligente e ben guidato. Conosce alla perfezione le difficoltà a cui andrà incontro. In palio c'è una semifinale Masters 1000, per lui sarebbe la seconda in carriera. Guai pensare all'imminente Foro Italico, anche perché gli incroci di tabellone gli hanno dato una grossa chance. Sognare una finale è lecito. Matteo la meriterebbe, ma occhio a Garin. Il cileno che sta cambiando grazie alla matematica.