The Club: Bola Padel Roma
IL RACCONTO

Il mio amico Adriano

Un ragazzotto dai fianchi larghi e le gambe storte ma che toccava la palla come pochi e si muoveva con un’eleganza unica. Questo era Adriano: scanzonato, ironico, irriverente, forse spinto a queste guasconate da una paura che non voleva trasparisse

Cino Marchese
9 luglio 2020

Ho visto per la prima volta Adriano in una finale di Coppa Croce ad Alessandria, in quello che è stato anche per diversi anni il mio Circolo. Credo fosse il 1967 e Adriano ricevette un premio per il miglior giovane di quel concentramento finale vinto dal TC Parioli, il club per cui giocava questo ragazzotto interessante e dotato di una classe pura e genuina. Fisicamente non era un granché, aveva i fianchi larghi, le gambe storte, ma si muoveva benissimo ed era elegante e armonioso. Toccava la palla come pochi e aveva una sensibilità incredibile. Era anche potente, con un’apertura alare rimarchevole e si vedeva che, messo insieme un po’ di muscoli, avrebbe servito benissimo. Poi era un bel ragazzo con quel sorriso naturale e ironico e un viso bellissimo. In poche parole, aveva tutto per diventare un campione e un personaggio. Dopo un paio d’anni mi sono trasferito a Roma e Adriano non aveva tradito le attese: nel 1970 si era aggiudicato il titolo italiano in una finale storica a Bologna contro Nicola Pietrangeli, successo che ripeté l’anno dopo a Firenze.

Ormai era una star dello sport italiano. In più, quella sua aria scanzonata lo aveva consacrato come un beniamino del pubblico. A Roma impazzava ancora la Dolce Vita e Adriano aveva molto successo con le donne: i suoi flirt con Mita Medici e Loredana Bertè erano una delle materie preferite dei settimanali pettegoli. Tutto ciò era anche il cruccio di Mario Belardinelli, suo grande profeta e maestro di vita. Mario non si dava pace per il rendimento di Adriano, fortemente altalenante, capace di exploit fantastici ma anche di cocenti disfatte. Dopo alcuni mesi di ambientamento nella mia nuova residenza romana, mi sono iscritto al CT Fleming, un circolo in quegli anni particolarmente di moda e frequentato da personaggi dello spettacolo, dai calciatori della Lazio di Maestrelli, Chinaglia in testa, e da quella gioventù dorata sempre in vista nei locali notturni e nei luoghi di vacanza più esclusivi.

Adriano Panatta con Loredana Bertè (con la quale ha avuto una storia) e Mia Martini

Fisicamente non era un granché, aveva i fianchi larghi, le gambe storte, ma si muoveva benissimo ed era elegante e armonioso. Toccava la palla come pochi e aveva una sensibilità incredibile

Ovviamente Adriano, con il fido Bertolucci, aveva preso casa nei paraggi e quando era a Roma era sempre lì. Per me fu l’occasione di conoscerlo bene, di diventare suo amico e di frequentarlo assiduamente. Di Adriano ammiravo l’intelligenza, la capacità di capire al volo le cose e il carattere scanzonato ed estroverso, tipico dei romani, di cui era un chiaro esponente. La sua grande personalità faceva sì che lo amavi o lo detestavi: anche al Foro Italico, la maggioranza lo amava, ma tanti altri venivano sperando che perdesse. La capacità di suscitare questi contrasti è tipica dei personaggi speciali, quelli con grande carisma. Nelle frequentazioni Adriano si è sempre circondato di personaggi discutibili che io non ho mai particolarmente condiviso; ma lui era fatto così e gli si perdonava tutto. Sono diventato intimo dei suoi genitori e spesso andavo a cena da loro. Il padre Ascenzio era il suo ritratto nel modo di fare e di comportarsi. Era ironico, spiritoso e gli piaceva scherzare su tutto e su tutti. La madre Liliana era una donna fantastica, dolce e apprensiva che si preoccupava sempre dei suoi figli e dei loro problemi. Romana come nessun’altra, era il vero fulcro di tutta la famiglia. Entrambi avevano un amore smisurato per Adriano e ne hanno condiviso sempre i momenti esaltanti e quelli tremendi.

Lo amavi o lo detestavi: anche al Foro Italico, tanti venivano sperando che perdesse. La capacità di suscitare questi contrasti è tipica dei personaggi speciali, quelli con grande carisma

Appena messosi in luce, la IMG, il potente gruppo di management creato da Mark Mc Cormack, lo aveva messo sotto contratto e il suo agente era Ian Todd che poi divenne il mio capo. Ian è un tipo molto dinamico e aveva da poco avviato la divisione europea del Gruppo. Molto ambizioso, era anche lui innamorato di Adriano e del suo modo di essere, della sua maniera di vestirsi e di come sapeva muoversi nelle più disparate situazioni. Ian si definiva un grande ammiratore del nostro Paese e Adriano pretendeva che perdesse quella sua aria inglese e fosse più italiano. Ian veniva spesso a incontrare Adriano e quando un giorno, salendo su un volo Alitalia a Londra, le hostess gli si rivolsero in italiano, rimase fiero e soddisfatto, convinto di avercela fatta. Arrivato a Roma, raccontò l’episodio ad Adriano, anche lui fiero di essere riuscito a trasmettergli i concetti base che deve seguire un uomo elegante. Lo guardò attentamente e approvò la giacca blu ben tagliata, i pantaloni di flanella grigi, la camicia azzurra e la cravatta, le scarpe con i fiocchetti; poi gli sollevò i pantaloni per controllare i calzini che erano drammaticamente corti, come portavano i middle class inglesi. Adriano sobbalzò e bocciò inesorabilmente il tentativo di Ian di sembrare italiano. È una storia che ancora oggi Ian racconta e che offre un ritratto di chi fosse Adriano in quel momento e dell’immagine che voleva trasmettere.

Un’altra storia che spiega la sua cura impeccabile dell’immagine è capitata il giorno della finale del Roland Garros del 1976. Faceva caldo, lo stadio era pieno e alcuni minuti prima dell’ingresso in campo dei giocatori negli spogliatoi deserti Adriano cercava di trovare il massimo della concentrazione con un gruppo ristretto di amici venuti apposta da Roma. Dall’altra parte dello stanzone, Harold Solomon con suo padre cercava di fare lo stesso. All’improvviso Adriano strillando chiamò Solly e lo invitò ad andare di fronte al grande specchio accanto alle scale che portano al campo. Harold con riluttanza e chiedendosi cosa mai volesse il suo avversario, andò verso lo specchio e qui Adriano, bello, aitante, alto e in piena forma, si trovò di fianco il piccolo Solly con quella sua faccia da topo un po’ curva e poco attraente. Adriano lo guardò e gli disse: «Ehi, chi pensi vincerà questa partita?». Al quel punto, il piccolo Solomon lo mandò a quel paese e tornò al suo cantuccio mentre Adriano era soddisfatto per quell’ulteriore pressione psicologica che aveva creato ad arte. Questo era Adriano: scanzonato, ironico, irriverente, ma molto umano e forse spinto a queste guasconate da una paura che non voleva trasparisse.

Il padre Ascenzio era il suo ritratto: ironico, spiritoso gli piaceva scherzare. La madre Liliana era una donna fantastica, dolce e apprensiva, romana come nessun’altra

La vita di Adriano è costellata di situazioni abnormi che gli hanno molto condizionato la sua carriera, che avrebbe dovuto essere ben più ricca di risultati importanti. In quegli anni, Bjorn Borg ha dominato in lungo e in largo e, specialmente sulla terra battuta, non perdeva quasi mai. A Roland Garros, ha partecipato 8 volte e ne ha vinti 6. Le due volte che ha perso è stato sempre contro Adriano. Se Adriano non fosse stato travolto dagli eventi e invece di scappare da McCormack per mettersi in proprio, fosse rimasto, probabilmente ora vanterebbe ben altro palmares. Adriano però la sua vita l’ha voluta vivere a suo modo e ha sempre preferito seguire il suo istinto, anche se spesso lo ha portato fuori strada, costringendolo a dei recuperi drammatici e a volte disperati.

Anche la sua vita privata è stata movimentata, ma ha sempre avuto come riferimento la bellissima moglie Rosaria che gli ha dato tre figli meravigliosi.
La prima volta che vidi Rosaria fu a Viareggio e mi ricordo che rimasi letteralmente incantato dalla sua bellezza, ma anche dall’acuta intelligenza e dal savoir faire. Adriano l’aveva conquistata strappandola a un rampollo di uno dei più ricchi uomini di quei tempi. Lo fece alla sua maniera, in modo spregiudicato e con grande coraggio, confrontandosi con il rivale nel suo campo che era quello delle corse veloci sull’acqua.

Il compagno Paolo

Panatta e Bertolucci giocavano il doppio a occhi chiusi, perché Paolo riusciva a sopportare Adriano, una vera impresa dal momento che non smetteva mai di rompergli le scatole. A tal proposito vi racconto una storia che accadde a Roland Garros nel 1977. Adriano era il vero re di Parigi e dopo la sua vittoria l’anno prima si era consacrato come una vera superstar. Dopo un primo turno agevole, Adriano e Paolo dovevano giocare il doppio contro due pischelli, uno americano e l’altro ecuadoregno, Ricardo Ycaza, campione del mondo junior. Era abbastanza tardi e la partita venne messa sul campo 2, quello con i gradoni di fianco alla club house. Per la sera, avevamo prenotato alle 21.00 da Chez Fernand, a St. Germain de Pres, locale molto di moda in quegli anni e con il proprietario amico di Ilie Nastase. Andando in campo, Adriano disse agli amici con cui dovevamo andare a cena che avrebbe sbrigato la pratica contro i due ragazzini e che sarebbe stato puntuale. I loro avversari erano già in campo e Adriano, mostrando una certa fretta, vinto il sorteggio decise di rispondere. A quel punto, l’americano che nessuno conosceva disse al suo compagno: «Ma lo sa Panatta che servo molto bene?». Adriano lo sentì e, rivolto a Bertolucci, disse: «Ma lo hai sentito quel brufoloso capellone cosa ha detto?». E Paolo: «Sì, ha detto che serve molto bene…». «Ma come si permette questo qui? E come si chiama?» chiese Panatta. «John McEnroe» rispose Bertolucci.

Il nostro gruppo aveva seguito la scenetta e non vedevamo l’ora che la partita iniziasse. Ovviamente servì McEnroe e Paolo a destra era il primo a rispondere. Adriano era una furia e voleva fargliela vedere a quel brufoloso ragazzotto, il quale però fece partire un servizio imprendibile. Adriano cominciò a insultare Paolo per essersi fatto buggerare in quella maniera, ma Paolo gli rispose: «Guarda che ha servito veramente bene!». Adriano era sempre più furioso, ma John lo infilzò come un tordo. E Paolo tutto contento: «Allora, come ha servito il brufoloso?». Cominciò una lotta incredibile che durò tre set. Alle 21.30, i nostri riuscirono a vincere. Ovviamente la cena saltò, però avevamo scoperto un campione.