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CASO RUSSIA

Wimbledon War: come è stato possibile?

La guerra tra Russia e Ucraina ha ormai raggiunto i due mesi. Il mondo dello sport ne è stato sempre più coinvolto fino alla clamorosa decisione di Wimbledon: escludere russi e bielorussi. Ma come si è arrivati a questo punto? Ecco una dettagliata ricostruzione dei fatti.

Giulia Zoppi
23 aprile 2022

Il tennis è uno sport molto internazionale. I suoi interpreti si sentono cittadini del mondo, rappresentanti di se stessi e molto meno delle loro nazioni. Tuttavia le guerre hanno la capacità di mettere in dubbio le soggettività, capovolgendo il paradigma e stravolgendo l’ordine delle cose. All'inizio del torneo di Indian Wells, il 7 marzo scorso, il mondo del tennis stava ancora cercando di capire come affrontare la questione sollevata dalla feroce invasione russa dell'Ucraina, iniziata 11 giorni prima. L'Association of Tennis Professionals (che sovrintende al tennis maschile) e la Women's Tennis Association (che gestisce il tour femminile) hanno cancellato i tornei in Russia per dare un segnale immediato. La Federazione Internazionale (ITF) ha bandito Russia e Bielorussia (quest'ultima per la sua attività di fiancheggiamento al regime russo) dalle competizioni a squadre, Coppa Davis e Billie Jean King Cup, peraltro entrambe nel 2021 dalla Russia, anche se non hanno più lo stesso prestigio del passato. Ma c'era il problema su come agire con i singoli atleti: il dilemma ha mostrato alcuni parallelismi con quello che il tour ha dovuto affrontare negli anni '70-'80, quando i manifestanti anti-apartheid hanno messo in crisi intere nazioni, facendo pressioni sul Sud Africa. I tennisti sudafricani sono stati esclusi dalle Olimpiadi nel 1988, quando la disciplina fu definitivamente reintrodotta dopo essere stata sport dimostrativo a Los Angeles 1984. Ma i singoli professionisti sudafricani hanno continuato a giocare nel tour, sia pure tra molte difficoltà, affrontando proteste ed esclusioni in alcuni Paesi. I gruppi anti-apartheid hanno cercato di farli bandire persino dall'Australian Open 1990, ma senza riuscirci.

Gli organi di governo del tennis hanno convenuto che i tennisti russi e bielorussi non avrebbero più dovuto competere sotto il nome o la bandiera delle loro nazioni. Una scelta politica, sollecitata dalla tennista ucraina più famosa Elina Svitolina, che al WTA di Monterrey avrebbe rinunciato a giocare con la russa Anastasia Potapova se i giocatori russi e bielorussi non si fossero proclamati "neutrali". All'atto pratico, si è trattato di rimuovere sigle e bandiere accanto ai nomi dei giocatori. Ma Marta Kostyuk — promettente giocatrice diciannovenne che da bambina si allenava con la madre in un club nella parte occidentale di Kiev — ha pensato che non fosse abbastanza. Kostyuk ha giocato a Indian Wells contro la belga Maryna Zanevska, nata a Odessa, la città portuale ucraina dove vivono ancora i suoi genitori e laddove si è temuto un assalto russo via mare. Kostyuk, vestita con una gonna blu e canotta gialla, i colori della bandiera dell'Ucraina, ha vinto in tre set per poi abbracciare la sua avversaria. Erano entrambe in lacrime. In seguito, Kostyuk ha dichiarato che "Vedere i giocatori russi sul posto mi fa davvero male. Sentirli discutere su come trasferire i loro soldi dopo le sanzioni, è aumentare il divario tra noi e loro”. Alexandr Dolgopolov si è subito detto d’accordo. Ritiratosi l'anno scorso dal tennis, non prima di essere diventato uno dei migliori giocatori nella storia dell'Ucraina, ha raggiunto il numero 13 ATP nel 2012. Suo padre, un rispettato allenatore di tennis internazionale, aveva giocato per l'Unione Sovietica. Dolgopolov è nato a Kiev, ma ha trascorso gran parte della sua vita lontano dall'Ucraina, stabilendo la sua residenza a Monte Carlo. L’ex tennista ha subito affermato che consentire ai russi di giocare come neutrali "non cambia nulla". In un’intervista alla BBC da Kiev, dove è tornato per combattere gli invasori, ha aggiunto: "Sono bravi ragazzi, ma, senza offesa per loro, credo che la Russia dovrebbe essere eliminata da qualsiasi disciplina sportiva”. Nelle ultime ore ha fatto sapere che nessun tennista russo si è fatto sentire per sapere come sta. "Non mi hanno nemmeno chiesto se fossi vivo".

«I singoli atleti non dovrebbero essere penalizzati o impossibilitati a competere a causa della loro provenienza o delle decisioni prese dai governi dei loro Paesi»
Comunicato WTA
ASICS ROMA

L'evidente sgomento di Andrey Rublev: "Prima del mio gesto a Dubai avevo ricevuto brutti messaggi"

Anche Sergiy Stakhovsky, un altro ex giocatore ucraino noto per l’inaspettata vittoria su Roger Federer a Wimbledon nel 2013, era a Kiev per combattere l’invasione nemica. Anche lui ha sostenuto che i giocatori russi debbano essere banditi dagli eventi a squadre, ma non crede sia giusto che vengano penalizzati i singoli giocatori. Ha dichiarato che sono arrivati ​​​​dove sono non con il sostegno dello Stato, ma affidandosi solo alle loro famiglie e allo sforzo individuale: “Sono cresciuti tutti all'estero e ora vivono all'estero” ha spiegato l’ex tennista di Kiev. Accetta che continuino a competere come neutrali, ed è grato ai giocatori russi che si sono detti contrari alla guerra, anche se lo hanno fatto senza clamore o dichiarazioni nette. Nessun giocatore russo si è dichiarato contrario alla guerra più rapidamente e chiaramente di Andrey Rublev. Dopo aver vinto la sua semifinale a Dubai, Rublev ha fatto notizia ben oltre gli Emirati, scrivendo sull'obiettivo della telecamera non la sua firma o il classico cuore, ormai costume post-partita di molti, ma un chiaro: "Niente guerra, per favore” aggiungendo che “Le mie partite non sono importanti, quello che sta succedendo è molto più terribile". Una dichiarazione coraggiosa in un ambito, quello del tennis professionale, dove è molto difficile trovare atleti che prendano posizioni di un certo peso. Da allora non ha più voluto parlare di guerra. Per i giocatori russi è pericoloso criticare il governo ed è imbarazzante, o peggio, parlare delle difficoltà che loro stessi devono affrontare da molte settimane. Nelle conferenze stampa post partita delle ultime settimane, Rublev è sembrato sempre teso e distratto, in difficoltà nel trovare le parole giuste. "Tutto quello che posso dire è che, ovviamente, è terribile", ha puntualizzato. In un'altra occasione ha detto che sperava di gareggiare "fuori dalla politica". Purtroppo per lui, è dannatamente complicato. Prima che Rublev si trasferisse in Spagna per legarsi a coach Fernando Vicente si era allenato e formato a Mosca in sofisticate strutture di allenamento. La Russia proponeva programmi di sviluppo giovanile all’avanguardia, dovuti, in gran parte, a Boris Eltsin, enorme appassionato del nostro sport. Qualche settimana fa è giunta voce che il governo britannico fosse in trattativa con Wimbledon per bandire i giocatori russi che non avessero denunciato Putin.  Quando è stato domandato a Rublev, nella conferenza stampa successiva alla sconfitta in semifinale, come facesse a rimanere concentrato sul suo tennis in un momento del genere, è rimasto seduto in silenzio per un momento, a testa bassa. Il suo accovacciarsi dietro il microfono era quello di un uomo in trappola, desideroso di trovarsi altrove. "Non lo so - ha quasi sussurrato - cerco di concentrarmi di più sul tennis, di eliminare tutte le cose che possono richiedere energia extra o disturbarmi... Vedremo se riesco a continuare così".

A due mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina il tennis professionistico è tornato a discutere animatamente dopo la decisione di Wimbledon di escludere i giocatori russi e bielorussi, attraverso le voci critiche di ATP, WTA e di Novak Djokovic, campione che ama far parlare di sé per scelte eterodosse, ma che ha il pregio di prendere posizione quando serve. Wimbledon ha rotto gli indugi, portando la Lawn Tennis Association a prendere la stessa decisione: impedire a russi e bielorussi di partecipare al circuito sull'erba che precede Wimbledon e include eventi a Eastbourne e al Queen's Club di Londra. "Dato il profilo dei campionati nel Regno Unito e in tutto il mondo, è nostra responsabilità svolgere la nostra parte negli sforzi diffusi di governo, industria, istituzioni sportive e creative per limitare l'influenza globale della Russia, attraverso decisioni forti, prive di ambiguità", hanno rimarcato da Wimbledon nella nota ufficiale. "Nelle circostanze di tale aggressione militare ingiustificata e senza precedenti, sarebbe inaccettabile per il regime russo trarre vantaggio dal coinvolgimento di giocatori russi o bielorussi con i campionati". Nato nel 1877, Wimbledon scatterà il 27 giugno. Sebbene ATP e WTA non abbiano grosso margine di manovra sul torneo, potrebbero rispondere riducendo o azzerando i punti messi in palio dal torneo, mentre non è da escludere che i giocatori coinvolti possano intraprendere azioni legali. La WTA si è detta "molto delusa" dalla decisione di Wimbledon, mentre l'ATP in una dichiarazione separata l'ha definita "ingiusta" e ha affermato che questa presa di posizione ha "Il potenziale per creare un precedente dannoso per il gioco". "I singoli atleti non dovrebbero essere penalizzati o impossibilitati a competere a causa della loro provenienza o delle decisioni prese dai governi dei loro Paesi - ha affermato la WTA - la discriminazione e la decisione di concentrare tale discriminazione contro gli atleti che gareggiano da soli come individui, non è né giusta né giustificata".

Daniil Medvedev è il tennista russo di più alta classifica. Il suo primo exploit di un certo livello è arrivato proprio a Wimbledon, quando batté Wawrinka nel 2017

La notizia dell'esclusione di atleti russi e bielorussi da Wimbledon ha destato grande scalpore su scala internazionale

Si è espressa anche Martina Navratilova: "Non credo che sia la cosa giusta da fare", sottolineando che, sebbene gli ucraini siano le vittime di questa guerra, bandire i giocatori russi e bielorussi li rende "vittime”, ponendo l’accento sul carattere discriminatorio di questa scelta. Alexandr Dolgopolov ha elogiato la mossa, mentre è lecito chiedersi se la decisione di escludere russi e bielorussi porterebbe qualcuno a solidarizzare anche con gli atleti esclusi, considerata la loro estraneità alle azioni di Putin. Wimbledon ha lasciato aperta la possibilità di rivedere la sua posizione: "Se le circostanze cambieranno sostanzialmente da qui a giugno, valuteremo e risponderemo di conseguenza". Ma ciò richiederebbe probabilmente al governo britannico di ammorbidire la sua posizione o richiedere una rapida risoluzione della guerra a favore dell'Ucraina: al momento, sembrano scenari poco probabili. Sono quattro i tennisti russi classificati tra i top-30 ATP, incluso il numero 2 Daniil Medvedev, campione in carica del singolare maschile degli US Open, anche se si sta riprendendo da un'operazione e non sta giocando da un paio di settimane. La Russia ha poi cinque donne tra le top-40, guidate dalla numero 15 Anastasia Pavlyuchenkova. La bielorussa Aryna Sabalenka è classificata n. 4 ed è stata una semifinalista a Wimbledon l'anno scorso.

Dmitry Peskov, l'addetto stampa del Cremlino, ha espresso sgomento per la decisione inglese: "I nostri giocatori sono tra i primi nella classifica mondiale - ha detto ai giornalisti durante un briefing - ancora una volta, è inaccettabile rendere gli atleti ostaggi di pregiudizi politici, intrighi e azioni ostili nei confronti del nostro Paese”, ha concluso con evidente disappunto. Funzionari dell'ATP e della WTA hanno espresso sostegno all'Ucraina, ma hanno sostenuto che i giocatori russi e bielorussi non dovrebbero essere incolpati dell'invasione o delle politiche dei loro paesi e hanno osservato che diversi tennisti di spicco, tra cui Andrey Rublev e Anastasija Pavlyuchenkova, hanno chiarito la loro opposizione alla guerra da molte settimane. "Certo, è molto tragico quello che sta succedendo nel mondo", ha detto Yevgeny Kafelnikov, l’ex giocatore russo, già n.1 ATP alla fine degli anni '90, intervenendo da Mosca. “Sono totalmente scioccato da quello che sta succedendo, ma tenere in ostaggio persone come Medvedev, Rublev e Pavlyuchenkova è sbagliato, sapendo che tipo di posizione avevano preso sin dall'inizio. Penso che Wimbledon stia commettendo un errore. Sono andati un po' troppo oltre". Non resta che sperare in uno scenario geopolitico meno drammatico, un’evoluzione che porti alla conclusione della guerra e perché no, di rivedere alcuni tra i giocatori e le giocatrici più forti del circuito, competere per il titolo più prestigioso di tutti, al quale ambiscono dopo mesi di faticosi allenamenti e di tornei.