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Una russa in finale a Wimbledon. Ah, no...

Accanto al nome di Elena Rybakina c'è la bandiera del Kazakhstan, ma lei è russa. E si giocherà il titolo nell'edizione anti-Putin. L'hanno bombardata sull'argomento: “Io dico grazie al Kazakhstan”. La vera storia della ragazza che rifiutò 15 offerte di college americani per provarci con il tennis.

Riccardo Bisti
8 luglio 2022

I media russi sono stati chiari, peraltro in tempi non sospetti. “Elena Rybakina ha detto che non avrebbe cambiato la sua cittadinanza sportiva, se ne avesse avuto l'opportunità”. L'hanno scritto un anno fa, dopo che si era fatta notare al Roland Garros battendo Serena Williams. Ë la questione del momento, la Cover Story del giorno insieme al forfait di Rafa Nadal. Una storia beffarda, una sorta di presa in giro per gli organizzatori di Wimbledon. Nell'anno in cui russi e bielorussi non sono ammessi, una moscovita arriva in finale. Ma forse era scritto nel destino di Elena Rybakina, anzi, Lena, come la chiamano dalle sue parti. È nata il 17 giugno, stesso giorno di Venus Williams. Non poteva che farsi notare sul Centre Court, laddove Venus si è imposta cinque volte. Ma chi vuole tenere bassa la fiamma delle polemiche è stato fortunato: la Rybakina è timida, sorride poco e parla ancora meno, con una voce dolce e flautata che stride con un fisico statuario: 184 centimetri, gambe lunghissime e servizi che viaggiano a 190 km/h. Con queste armi ha battuto Simona Halep e sfiderà Ons Jabeur per il titolo ai Championships. “Ons è una ragazza molto simpatica - dice Elena - l'ho conosciuta tanti anni fa durante un WTA 125. Ero lì con mio padre, non sapevamo come raggiungere il club e lei ci diede una mano perché aveva una macchina”.

Magari non l'inizio di un'amicizia, ma un bell'aneddoto prima di una finale inedita. Elena non dice dove e quando è successo. Lo diciamo noi: Chicago, nel settembre 2018. Lei perse nelle qualificazioni, la Jabeur al primo turno. Nozionismo fine a se stesso? Forse, ma settembre 2018 è un mese cruciale nella vita della Rybakina. Dopo aver conosciuto la sua futura avversaria in finale a Wimbledon, qualche settimana dopo (a Tashkent) conobbe coach Stefano Vukov, l'uomo che le avrebbe permesso di arrivarci, a questa finale. Storia interessante, la sua: cittadino croato, ma si può considerare italiano perché si è spostato a Milano quando aveva pochi mesi. In Italia ha conosciuto il tennis, e in Italia ha portato la Rybakina per effettuare la preparazione invernale nel 2019. A Roma, sotto la guida di Adriano Albanesi, già coach di Lesia Tsurenko. Si trovarono talmente bene da restare più del previsto, ed ebbero ragione: Lena ha iniziato il 2020 con una vittoria (Hobart) e tre finali, vincendo 19 delle prime 23 partite. Con quei risultati è entrata tra i top-20, ma la pandemia era dietro l'angolo. 

«Kazakhstan? La tempistica è stata perfetta. Loro cercavano giocatori, io cercavo qualcuno che mi aiutasse. Hanno creduto in me ed è stata una buona combinazione. Ci siamo trovati» 
Elena Rybakina
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Elena Rybakina ha condotto il Kazakhstan alle Bllie Jean King Cup Finals

“Lo stop è stato molto duro perché ero in ascesa e per me era tutto nuovo – ha raccontato in una lunga conferenza stampa – al ritorno è stato difficile perché in quei mesi non mi sono allenata. Poi sono arrivati infortuni, malattie e allergie. Ma il mio allenatore mi diceva di continuare a lavorare, in attesa della forma migliore. Qui a Wimbledon non sono nemmeno in perfetta forma, dovrò migliorare ancora in vista dei prossimi tornei, ma in questi giorni ho capito che non è necessario essere al 100% per arrivare in fondo ai tornei”. E che tornei. Soltanto il tempo ci dirà se la Rybakina può essere una top-player stabile, o magari una meteora come ne abbiamo viste fin troppe. Adesso, suo malgrado, è una Cover Girl per via delle sue origini. Era il 2018 quando la federtennis kazaka ha avvicinato lei e la sua famiglia, proponendo il contratto standard riservato a tanti giocatori: strutture, sostegno, denaro e tutto quello che serve in cambio della cittadinanza e della disponibilità incondizionata a giocare in BJK Cup e alle Olimpiadi. “Mi hanno contattato loro, è stato facile accettare perchè hanno creduto in me quando non ero troppo forte. Il loro aiuto è stato fondamentale”. I genitori sono rimasti a Mosca, lei non ha voluto dire dove risiede. “Mi sposto in base alle esigenze del tour - racconta – tra un torneo e l'altro mi alleno in Slovacchia, ho effettuato dei blocchi di allenamento a Dubai. Direi che non vivo da nessuna parte. Non trascorro molto tempo in Russia”. Non racconta tutto. Per esempio, non dice che ha trascorso il lockdown a Mosca. Le sue risposte sono condizionate dall'attuale situazione geopolitica. Ma non sarebbero state diverse nemmeno in tempo di pace, visto che il Kakakhstan ne acquisito l'identità umana, non solo tennistica. Il Paese non prevede la doppia cittadinanza, dunque è improbabile che le sia rimasto anche solo il passaporto russo.

Quando le hanno chiesto se si sente ancora russa, si è un po' indispettita. “Cosa significa per te sentirsi in un certo modo? Io sono qui per giocare e mi sto godendo il percorso. Mi spiace per i giocatori che non ci sono, ma io sono qui e cerco di fare del mio meglio”. Si è resa conto – o le hanno detto – che certe frasi potrebbero essere strumentalizzate, così ha dato una risposta più netta rispetto al giorno prima, quando le sue parole destavano meno attenzione. “È una domanda molto difficile – aveva detto giovedì – sono nata in Russia, ma sto rappresentando il Kazakhstan. Ho già svolto un lungo viaggio: ho giocato Olimpiadi e BJK Cup, ho ricevuto aiuto e sostegno. Avverto il sostegno della gente e sono felice di rappresentare il Kazakhstan perché sto portando risultati, il che è ottimo per lo sport nel Paese. Ma per me è difficile dire esattamente come mi sento”. Risposta più schietta (e veritiera) rispetto a quella post-semifinale, ma ci sta. D'altra parte è arrivato a Londra Bulat Utemuratov, presidente della federtennis kazaka, miliardario ed ex braccio destro dell'ex presidente (per alcuni dittatore) Nursultan Nazarbaev. Era nel suo angolo, ha fatto un gran tifo. Con un soggetto del genere nei paraggi, meglio tenere un basso profilo. Da ragazzina praticava ginnastica e pattinaggio insieme alla sorella, ma le hanno detto che difficilmente avrebbe avuto una carriera perchè era troppo alta. E così ha conosciuto il tennis, allenandosi presso il mitico Spartak Mosca, laddove è cresciuta sotto la guida di Andrei Chesnokov ed Evgenia Koulikovskaya, giocatrice ambidestra che una ventina d'anni fa entrò tra le top-100 giocando soltanto dritti.

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I genitori della Rybakina volevano che si trasferisse in un college americano, ma lei ha voluto provarci col tennis. Oggi è in finale a Wimbledon

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Elena Rybakina ha dovuto rispondere a diverse domande sulle sue origini russe

“Mi sono resa conto molto tardi di poter diventare una professionista. Per anni ho effettuato solo corsi collettivi, al mattino andavo a scuola e mi allenavo al pomeriggio. Da junior non ero troppo promettente, poi i miei genitori mi hanno imposto di finire le scuole superiori”. In effetti ha traccheggiato nei tornei minori fino a quando ha vinto un torneo di Grade 3, ad Almetievsk, cittadina russa non troppo distante dal confine col Kazakhstan. Segno del destino? Lì è iniziata una bella carriera junior che l'ha portata al numero 3 del mondo, con tanto di vittoria al Bonfiglio in finale contro Iga Swiatek. Qualche settimana dopo giocò la semifinale al Roland Garros mentre preparava l'esame di maturità. “E con i miei genitori fu un incubo”. Vittoria dopo vittoria, ha capito che il tennis poteva diventare qualcosa di più e ha stracciato le offerte ricevute dalle università americane. Si narra che ne gliene abbiano recapitate una quindicina e che papà Andrei fosse orientato a spedirla negli Stati Uniti. “Forse questa va bene...” diceva, ma Lena lo bloccava sempre. Aveva deciso di fare la tennista, o almeno provarci. In quel periodo è arrivata l'offerta del Kazakhstan. Fu semplice accettare, anche perché si era spenta la possibilità di allenarsi seriamente in Russia. Era finita sotto l'ala protettrice di Evgenia Linetskaya, ex n.35 WTA, e aveva trovato un investitore pronto a sponsorizzarla, ma a due condizioni: le avrebbe pagato solo i viaggi (e non gli allenamenti) e voleva che qualcuno si occupasse a tempo pieno di lei. Con un importante sacrificio economico, la Linetskaya si assunse la responsabilità e garantì strutture e allenamenti gratuiti, con tanto di sparring e preparatore atletico. “Il padre ci aveva promesso il 15-20% dei suoi primi prize money, poi ha litigato con il proprietario della struttura – racconta la Linetskaya – così ci venne detto che la Rybakina avrebbe dovuto pagare il campo come tutti gli altri”.

E così, vista l'assenza di risorse e il disinteresse della federtennis russa, la chance è tramontata. Pochi mesi dopo è arrivato il Kazakhstan. “La tempistica è stata perfetta. Loro cercavano giocatori, io cercavo qualcuno che mi aiutasse. Hanno creduto in me ed è stata una buona combinazione. Ci siamo trovati”. Più si parla dell'argomento, più la Rybakina si innervosisce. Le hanno chiesto se in questi giorni ha sentito qualche giocatrice russa, e in quel momento ha rischiato di perdere la pazienza. “Non sto guardando il telefono così spesso. Sono nata in Russia, ma ora sono kazaka. Non so perché dobbiamo tornare su questo argomento, ho già risposto...”. Non sapeva che Shamil Tarpischev, presidente della federtennis russa e uomo di potere, le aveva appena fatto i complimenti. “L'erba è la superficie perfetta per lei: serve bene, i suoi colpi sono piatti e puliti. Può vincere Wimbledon e sarebbe meritato. È fantastico che sia andata così, faremo il tifo per lei”. Frasi che profumano di quella propaganda che gli organizzatori di Wimbledon e il governo britannico (che peraltro è in crisi) tanto temevano. Un timore che è all'origine della scelta di tenere Medvedev e company lontani da Londra. In queste ore, Elena Rybakina dovrà essere brava a isolarsi e non farsi strumentalizzare. Magari farà una chiacchierata con i suoi genitori, con i quali si è sentita col contagocce. Giusto qualche messaggio dopo ogni partita. “Forse non vogliono disturbare la mia routine”. O magari potrà scherzare con Stefano Vukov, che qualche tempo fa ha rivelato la sua principale debolezza: la cioccolata. “Durante il torneo di San Pietroburgo 2020 le promisi che le avrei acquistato 2 chili di Kinder Bueno se fosse arrivata in finale: missione compiuta!”. Bontà a cuor leggero, dice lo spot della nota cioccolata. Mai come in questo momento, Elena Rybakina ha bisogno di restare a cuor leggero. Con o senza cioccolata. Con o senza il passaporto russo.