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IL CASO

Terra maledetta!

Sconfitta dopo sconfitta, Daniil Medvedev continua a ribadire il suo astio per la terra battuta. Le difficoltà tecniche sono innegabili, ma siamo sicuri che sia tutto lì? Due anni fa batteva Djokovic e andava in finale a Barcellona...

Riccardo Bisti
13 maggio 2021

L'ultima classifica ATP ha premiato Daniil Medvedev. Il russo ha superato Rafa Nadal ed è salito al numero 2 del mondo, alle spalle di Novak Djokovic. Status importante, fatto di onori ma anche di oneri. Tra questi, l'obbligo di rispettare ogni superficie. “Non mi piace per niente la terra rossa – dice Medvedev – c'è sempre un brutto rimbalzo, poi dopo la partita siamo sempre sporchi”. Argomentazioni discutibili, ma tant'è. L'avversione del russo verso questa superficie sta diventando patologica: l'ha confermato al Foro Italico, battuto piuttosto nettamente dal connazionale Aslan Karatsev. Durante il match si è lasciato andare a siparietti autodistruttivi (per lui) e divertenti (per chi era in tribuna, per esempio Andrey Rublev). È arrivato ad auspicare che arrivi il prima possibile il torneo di Halle, prima tappa sull'erba. “I miei colpi e il mio movimento non funzionano” dice Medvedev, che in carriera ha giocato 32 partite su terra nel circuito ATP. Ne ha vinte 12 e perse 20, con una percentuale di successi indegna per un giocatore del suo livello. E deve ancora vincere la sua prima partita al Roland Garros.

Sembra che Medvedev si stia un po' crogiolando in questa dinamica. Non accadeva da anni che un top-player avesse un'avversione così grande nei confronti di una superficie. Commenti del genere erano solitamente rivolti all'erba. Thomas Muster la evitava sistematicamente (in tanti anni ha giocato solo quattro volte a Wimbledon), mentre Marcelo Rios diceva che fosse buona solo per pascolare le mucche, frase poi presa in prestito da diversi altri giocatori. Negli ultimi 20 anni, la standardizzazione delle superfici ha uniformato rapidità di rimbalzo e – di conseguenza – i risultati. Non è un caso che tre dei sette giocatori ad aver completato il Career Grand Slam appartengano a questa epoca. Per questo, l'avversione di Medvedev per la terra battuta incuriosisce perché inusuale. Intanto è lecito domandarsi: ha ragione? Le complessità tecniche, in effetti, esistono. “Per molti tennisti è normale dare grande rotazione alla palla. Io devo cambiare il mio gioco, adattarmi, e questo mi rende più vulnerabile”.

PRIMA
"Non voglio giocare qui! Non voglio giocare su questa superficie!"
Daniil Medvedev

A Madrid, Medvedev si è lamentato della terra rossa per tutto il match contro Davidovich-Fokina. Alla fine ha vinto... e guardate cos'ha scritto sulla telecamera!

Medvedev possiede due fondamentali quasi privi di rotazione. Il topspin permette di aggiungere controllo alla palla, evitando che scappi via in lunghezza. Al contrario, i colpi del russo sono leggeri e ficcanti. Sulle superfici rapide, i suoi colpi scivolano via e mettono in difficoltà gli avversari. Sulla terra è il contrario: la superficie assorbe la velocità del colpo e la palla rimbalza più alta e lenta. Un colpo privo di grande rotazione risulta quasi innocuo, come se fosse una freccia priva di veleno. Per Medvedev è dunque difficile adottare un gioco offensivo e presentarsi a rete. A Madrid, durante il match contro Davidovich-Fokina, si lamentava spesso della scarsa efficacia dei suoi attacchi. Stessa storia per il servizio. Medvedev possiede un'ottima prima palla: durante l'Australian Open, Tsitsipas lo ha paragonato addirittura a John Isner. Al contrario, sulla terra la botta piatta non paga un granché. C'è poi l'effetto opposto: se le armi di Medvedev sono meno efficaci, quelle degli avversari diventano pericolose.

Alcuni studi hanno certificato che una palla in topspin molto carico (4.000 giri al minuto) dimezza la sua velocità dopo l'impatto e rimbalza molto alta. È il colpo più efficace del repertorio di Nadal. E si spiegano (anche) così i recenti ottimi risultati di Matteo Berrettini. Al contrario, se la palla è priva di rotazione perde molta più velocità. Traduzione: la palla di Medvedev arriva più lenta e controllabile. Altra controindicazione: i colpi senza rotazione sono più radenti alla rete, dunque corrono il rischio di essere respinti dal nastro. Per ovviare a questo problema, si può ricorrere a traiettorie più alte... Ma c'è il pericolo opposto: la palla scappa via in lunghezza. “In realtà Daniil riesce a tenere la palla in campo – dice coach Gilles Cervara – ma i suoi colpi non sono efficaci come sui campi duri. Parlo di velocità, rotazione, pesantezza, tempi di reazione”. C'è poi la questione atletica. “Daniil si muove bene, ma la terra richiede un tipo di movimento diverso rispetto al duro. L'equilibrio è diverso, dunque anche l'esecuzione del colpo”. Medvedev non è ai livelli di Naomi Osaka, che deve ancora automatizzare la scivolata, però il suo gioco di gambe non è così efficace.

Daniil Medvedev ha grossi problemi negli spostamenti sul rosso: spesso scivola soltanto dopo l'impatto

Soltanto due anni fa, Daniil Medvedev si prendeva lo scalpo di Novak Djokovic a Monte Carlo

Anni fa, Andre Agassi era riuscito ad addomesticare la terra rossa. “Anziché correre, frenare bruscamente e colpire, sulla terra devi scivolare, allungarti, quasi danzare – diceva l'americano – prevalgono i movimenti passivi”. Molti tennisti cresciuti sul cemento impiegano anni per automatizzare la terra battuta, ma c'è anche chi non ce la fa. Medvedev ha compiuto 25 anni lo scorso febbraio e ha davanti a sé una decina d'anni di carriera. Il tempo non gli manca, così come gli esempi positivi. Per esempio, Andy Murray. Per anni si è sentito a disagio (nonostante abbia trascorso anni cruciali presso l'accademia Casal-Sanchez di Barcellona), poi è diventato un ottimo terraiolo fino a raggiungere la finale a Parigi. Il case study più interessante, forse, arriva proprio dalla Russia. A inizio carriera, Maria Sharapova ammise di sentirsi sulla terra rossa come una mucca su ghiaccio. È finita che il Roland Garros è stato l'unico Slam che ha vinto per due volte. Attualmente, il problema numero 1 di Medvedev è la scivolata. Corre verso la palla, colpisce e poi scivola solo dopo l'impatto. Non è pensabile che un atleta di così alto livello non sia in grado di risolvere il problema, allora è legittimo ipotizzare che abbia un cattivo approccio mentale.

È come se fosse convinto di non essere competitivo sul rosso, e scenda in campo travolto dai cattivi pensieri. A ben vedere, il suo storico nei tornei minori non è malvagio: 6 vittorie 4 sconfitte nei Challenger, 20 vittorie e 7 sconfitte nei Futures. Ok, era un altro livello, ma le sue partite le ha vinte. E vogliamo parlare del 2019, quando è addirittura arrivato in finale a Barcellona e vanta gli scalpi di Tsitsipas e Djokovic? Sono forse risultati di un tennista incapace sul rosso? Insomma, sembra che si sia un po' troppo calato nel personaggio di nemico giurato della terra battuta (ma perché, poi?). Non fa altro che rimarcare le sue difficoltà. Tuttavia, un campione deve trovare il modo di superarle. Nel suo angolo a Madrid si è visto Igor Andreev, forse il russo più terraiolo di sempre. Probabilmente era lì nelle vesti di capitano della BJK Cup russa, però avrà sicuramente qualcosa da suggerirgli. Insomma, Medvedev non giocherebbe la partita della vita sulla terra rossa. Glielo concediamo. Ma non è accettabile che il numero 2 del mondo scenda in campo già sconfitto, o che vada a caccia di alibi non appena le cose vanno male. Ha uno status da difendere e, soprattutto, rispettare. Da anni vive in Francia, una delle nazioni con più campi in terra battuta, quella che ospita il più importante torneo rosso. Non può rassegnarsi a figure come quella di Roma. Manca un mese ad Halle, e in mezzo c'è uno Slam: che vuole fare, buttare via il suo tempo?