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LA STORIA

Quando il tennis femminile rischiò di fallire

Con i drammi Seles e Capriati, a metà anni 90 il circuito WTA si ritrovò senza sponsor e rischiò di chiudere i battenti: IMG minacciò la creazione di un tour alternativo. A complicare le cose, il no alla sponsorizzazione del marchio di assorbenti Tampax. Qualche anno dopo, tuttavia, Anna Kournikova avrebbe sdoganato la sessualità e spalancato le porte al business attuale.

Riccardo Bisti
23 agosto 2020

Il tennis è il principale sport professionistico femminile. Ci sono diversi tornei combined, in cui uomini e donne condividono campi, impianti, strutture. E i montepremi sono uguali, almeno negli Slam. Dopo l'atletica leggera, è anche lo sport femminile con il maggior tasso di globalizzazione: basti pensare che il ranking WTA rappresenta ben 84 paesi. Lo scorso anno, il montepremi complessivo aveva raggiunto i 180 milioni di dollari e il circuito è stato seguito da circa 700 milioni di spettatori. Se date un'occhiata alla classifica di Forbes sui 100 atleti più pagati al mondo, troverete due donne: Naomi Osaka e Serena Williams. Guarda un po', due tenniste. Se ci limitiamo a classifiche rosa, troveremo sempre 7-8 tenniste nella top-10. La parità di genere è ancora distante, e le differenze sono state messe a nudo dalla proposta di Roger Federer di fondere ATP e WTA. D'altra parte, il sindacato femminile non ha la stessa forza del maschile. Manca un leader carismatico e la strategia aziendale non è sempre impeccabile. Per esempio, hanno investito tantissimo sull'Asia e sono rimasti con un pugno di mosche in mano, almeno per il 2020. L'impossibilità di giocare le WTA Finals è un duro colpo per le casse WTA: tuttavia, il momento attuale è incredibilmente roseo se paragonato a quanto accadeva 25 anni fa, quando il tennis femminile stava per collassare.

L'anno X è il 1994: la più forte, Monica Seles, era fuori dal circuito perché stava curando le ferite psicologiche dopo l'accoltellamento di Amburgo. Nel frattempo, la promettente Jennifer Capriati faceva parlare di sé per furtarelli e consumo di marjuana. In un contesto simile, la WTA rimase senza sponsor principale. Kraft scelse di andarsene, mentre fu rifiutata la proposta di Virginia Slims, marchio di sigarette che aveva già sponsorizzato il tour fino al 1989. Il circuito fu profondamente indebolito, al punto che IMG (principale società di management) intervenne nel settembre 1994, chiedendo alla WTA di nominare un amministratore delegato entro il 1 ottobre. In caso contrario, le tenniste avrebbero avuto il diritto di organizzare un tour alternativo, come peraltro era accaduto decenni prima agli uomini. Se il progetto fosse andato in porto, la WTA avrebbe rischiato di morire. Il circuito femminile (all'epoca composto da WTA e WTC, acronimo di Women's Tennis Council) interpretò l'ultimatum di IMG come una sorta di ricatto, se non un tentativo di rivoluzione. Agendo come se avessero una pistola alla tempia, nominarono Anne Worcester, all'epoca 34enne. Fu il primo passaggio della fusione tra WTA e WTC, che si sarebbe completato l'anno seguente. Una risposta così veloce fornì una parvenza di vitalità, anche se le questioni economiche rimasero irrisolte.

Anne Worcester, presidentessa WTA in un delicato periodo di transizione
Tampax garantì alla WTA un anticipo di 3 milioni, senza impegno di restituzione in caso di risoluzione anticipata dell'accordo a causa di eventuali danni d'immagine. La proposta fu rifiutata: il tennis femminile non si sentì di associare il proprio nome a un'azienda di assorbenti.
Una rara puntata del magazine WTA, datata 1995

Qualcuno sussurrò che l'ultimatum IMG avesse vanificato un contratto di sponsorizzazione quasi firmato (si parlava di Diet Coke o Diner's Club, marchi di una certa importanza). Da parte sua, IMG sostenne che era un bluff e non ci fosse alcun contratto. Qualunque fosse la verità, i 6-7 milioni necessari per il 1995 non furono mai trovati. Ma qualche settimana dopo ci fu una maxi-proposta: la nota azienda di assorbenti Tampax offrì una partnership triennale e un investimento di almeno 10 milioni annui. Tra l'altro, data la particolarità dei loro prodotti, offrirono un paio di garanzie per convincere la WTA: non chiedevano che il nome Tampax comparisse come sponsor del circuito, accontendandosi del sottobrand Tambrands. Inoltre, garantirono all'associazione un anticipo di 3 milioni di dollari che la WTA non avrebbe dovuto restituire in caso di risoluzione anticipata dell'accordo a causa della cattiva pubblicità e degli eventuali danni d'immagine. La proposta fu rifiutata: il tennis femminile non si sentì di associare il proprio nome a un'azienda di assorbenti. “Sembra che per la WTA l'immagine sia davvero tutto” scrisse il Los Angeles Times, alludendo alla famosa pubblicità Canon con protagonista Andre Agassi.

L'opinione pubblica si divise: per qualcuno erano permalosi, per altri erano stati integerrimi. Ufficialmente, la WTA spiegò la decisione con motivazioni unicamente economiche. “Sarebbe fantastico lavorare con un marchio d'elite come Tambrands – disse la Worcester – ma quando abbiamo ricevuto l'offerta abbiamo condotto delle ricerche per valutare l'impatto sull'attrattiva della WTA sugli altri sponsor e sui diritti TV: secondo quasi tutti i nostri esperti, sul lungo termine questa partnership porterebbe un impatto negativo sul piano dell'immagine”. Non tutti la presero bene. L'agenzia Advantage, incaricata della ricerca di uno sponsor, parlò apertamente di errore. “Il tennis femminile ha avuto l'occasione di fare qualcosa di innovativo, di passare da schiavo a leader, mah ha scelto di avere paura”. Più morbida l'opinione di Martina Navratilova, che all'epoca era a capo del consiglio giocatrici. “Eravamo favorevoli alla soluzione, ma poi ci siamo rese conto che non era economicamente fattibile – disse – non possiamo rischiare di perdere 35 milioni di sponsorizzazioni locali perché non vogliono essere associati al brand Tampax WTA. C'è un muro da abbattere, ma adesso non sta a noi farlo”.

Il videoclip che fece scattare la scintilla tra Anna Kournikova ed Enrique Iglesias

Lo sapevi che...

Gli sponsor che hanno dato il nome al circuito WTA

1983 – 1989: Virginia Slims
1990 – 1993: Kraft General Foods
1995 – 1998: Corel
2000 – 2002: Sanex
2005 – 2010: Sony Ericsson

Il periodo senza sponsor andò avanti fino alla primavera, quando chiusero un accordo con Corel, azienda informatica canadese, specializzata nella produzione di software. Ma c'era un nuovo problema dietro l'angolo: nel 1996 sarebbe uscito il nuovo logo, cui il brand Corel WTA avrebbe dovuto sostituire il tradizionale WTA Tour. Il disegno prevedeva una leggera curva, che avrebbe rappresentato una scollatura. “Ovviamente era stato fatto con gusto, per far passare l'idea che era un circuito di donne. Eppure alcune giocatrici si sono indignate” disse la Worcester. Per questo, fu scelto un logo neutro, senza particolari allusioni alla femminilità, non fosse per la coda di cavallo della giocatrice stilizzata. Un paio d'anni dopo, la stampa scandalistica britannica avrebbe sdoganato concetti ben più espliciti: uscirono articoli sulla presunta cellulite di Martina Hingis e sulla vita privata di Anna Kournikova, all'epoca fidanzata con l'hockeista Pavel Bure. “È disgustoso che la stampa sia interessata solo al sesso e ai fidanzati delle giocatrici – disse la Worcester – lo trovo indegno e umiliante. Non capisco perché non si possa discutere di tennis”.

In quell'edizione di Wimbledon, Anna Kournikova giunse in semifinale e negli anni successivi avrebbe privato il tennis femminile di una presunta innocenza. Dopo la Kournikova, il concetto delle tenniste come giocatrici – ma anche come corpi – è stato sdoganato, senza essere più considerato oltraggioso. La stessa WTA si rese conto che era inutile negare l'essenza della femminilità, e iniziò a crearci un business. Il successivo main sponsor sarebbe stato Sanex, azienda di cosmetici. Sarebbe stato l'inizio di quello che vediamo oggi: una morale diversa, più soldi in circolazione e una WTA che – tutto sommato – può permettersi di non avere uno sponsor principale (che manca da ormai 10 anni) e non rischiare di fallire se non si giocano i tornei più remunerativi. Non sappiamo se sia un bene o un male: è semplicemente il progresso.