Problemi col visto: è iniziato il Nole-calvario

CASO DJOKOVIC

5 gennaio 2022

Riccardo Bisti

Un problema di natura burocratica ha bloccato Novak Djokovic all'aeroporto di Melbourne: sembra che il suo visto non prevedesse esenzioni mediche. La faccenda tarda l'ingresso a Melbourne (la polizia di frontiera ha comunque la facoltà di farlo entrare), ma ha alimentato forti tensioni politiche.

Non conosce fine la telenovela riguardante Novak Djokovic e la sua partecipazione all'Australian Open. Dopo il pandemonio a seguito dell'esenzione medica ottenuta dalle autorità australiane, e la dichiarazioni da duro di qualche politico, sembra che abbia qualche problema a lasciare l'aeroporto di Tullamarine, laddove è atterrato intorno alle 23.30 locali (le 11.30 di mercoledì mattina in Italia). Il problema sarebbe di natura burocratica e riguarderebbe il visto d'ingresso. Secondo quanto appreso da alcuni media, l'Australian Border Force si è resa conto che il visto di cui è in possesso Djokovic non consentirebbe esenzioni mediche per chi non è vaccinato. Le forze di confine hanno chiesto il supporto del governo del Victoria per facilitare l'ingresso del tennista, chiedendo formalmente un parere positivo alla sua richiesta di ingresso. A quel punto, i funzionari del Victoria hanno chiesto alle autorità federali di mettere per iscritto la richiesta: a sorpresa (ma non troppo) avrebbero ricevuto un diniego.

Pare evidente che si tratti di un dispetto tra forze politiche, ancora più divise a causa di questa faccenda. Va detto che le polizia di frontiera ha comunque il potere di consentire a Djokovic l'ingresso nel Paese, a prescindere dalle mosse del governo. Per intenderci, l'inghippo dovrebbe aver soltanto ritardato (e complicato) l'agognato ingresso. Ma la situazione non è certo risolta: in piena notte australiana, il ministro dello sport (ad interim...) del governo del Victoria ha pubblicato un tweet che sembra una dichiarazione di ostilità nei confronti del serbo. “Il governo federale ci ha chiesto se sosterremo la richiesta di visto di Novak Djokovic per entrare in Australia – ha scritto Jaala Pulford – non forniremo alcun supporto per la richiesta di visto individuale per partecipare all'Australian Open. Siamo sempre stati chiari su due punti: l'approvazione dei visti è di competenza del governo federale e le esenzioni mediche sono di competenza dei medici”.

Lo stato del Victoria ha scelto di non appoggiare la richiesta di visto d'ingresso chiesta da Djokovic

Uno scarico di responsabilità formalmente corretto, ma che lascia intendere la presa di posizione dello Stato, forte e chiara. Sull'argomento è intervenuta anche la Ministra degli Interni Karen Andrews, le cui frasi non sono state troppo rassicuranti: “Qualsiasi individuo che cerca di entrare in Australia deve rispettare i nostri severi requisiti di frontiera. Se il governo del Victoria e Tennis Australia possono consentire a un non vaccinato di competere all'Australian Open, è il governo del Commonwealth a far rispettare i nostri requisiti al confine australiano”. C'è molta politica nelle frasi delle istituzioni, anche perché il caso Djokovic è diventato una questione di stato. Nel frattempo – come avevamo ipotizzato – si fa sempre più strada la tesi secondo cui abbia ottenuto l'esenzione in virtù di una positività al COVID avuta negli ultimi mesi.

The Age, uno dei più importanti quotidiani australiani, ha raccolto le opinioni (anonime) di tre funzionari, i quali hanno definito altamente probabile che l'esenzione sia stata concessa per questo motivo. Altre testimonianze, sempre raccolte dal The Age, sostengono che le due commissioni chiamate a giudicare sarebbero state unanimi nella loro valutazione, anche se Carolyn Broderyck (responsabile medico di Tennis Australia) ha detto – sia pure in modo decisamente easy – che le stesse commissioni non hanno effettuato controlli sulla veridicità delle documentazioni presentate. (“Non hanno fatto lavoro di intelligence” ha detto). Da soap opera, quella di Novak Djokovic sembra essere diventata una spy story. Sarà molto interessante vedere come si comporterà il diretto interessato: continuerà a invocare la privacy, oppure cederà alle pressioni sempre più forti di chi gli chiede di rivelare (pubblicamente, oltre che alle autorità) le ragioni che lo hanno portato ad avere la tanto discussa esenzione?

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