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LETTERA APERTA

Perché l'hai fatto, Alexander?

Rimangiandosi gesti e parole degli ultimi tre anni, Alexander Zverev accetta di giocare Brasile-Germania. Proprio lui, che aveva fieramente difeso il format storico boicottando l'attuale competizione. Si pensava che avesse imparato dal padre, dalla gloriosa storia della Germania e dalla sua stessa esperienza. Non era così.

Riccardo Bisti
2 marzo 2022

Caro Alexander,
in altri tempi ti avrei chiamato Sascha, perché in fondo sei affezionato al tuo soprannome. Ma oggi non è possibile. Quando ho letto che avevi risposto alla convocazione della Germania, mi è cascato addosso un mondo virtuale.
Un mondo di certezze che avevi costruito tu, con i gesti e con le parole.
Perché proprio tu, che avevi dichiarato boicottaggio perpetuo a questa competizione?
Perchè proprio tu, che avevi esaltato il vecchio format, quello con cui la Davis è diventata leggenda?
In questi tre anni, le tue dichiarazioni profumavano di fiera opposizione alla traballante narrativa che esaltava la Rivoluzione Kosmos, provando a difendere qualcosa che non era difendibile. E adesso, che il giochino si sta sgretolando sotto i loro piedi, fanno una silenziosa retromarcia nel silenzio degli stessi che – per insipienza o convenienza – avevano esaltato un format che si è autodistrutto in un paio di edizioni, perchè accetti di giocare una partita che non ha niente a che vedere con quello che hai amato?
Non ci volevo credere. Sono andato sul sito della DTB, federazione ricca e seria, che non ti ha fatto inutili battaglie quando ti sei schierato contro questa competizione. Si ostinano a chiamarla Coppa Davis, ma in realtà è un bicchiere vuoto, senza odori né sapori. La DTB ha scelto di mantenere un good standing con te, condizione necessaria per farti giocare le Olimpiadi. E tu li hai ripagati con una splendida medaglia d'oro. Volevo capire cosa ti avesse spinto ad andare a Rio de Janeiro, laddove giocherai un paio di insipidi singolari al meglio dei tre set, contro Thiago Monteiro e uno tra Felipe Meligeni e Thiago Seyboth Wild. Ho trovato un'intervista in chiaro stile da ufficio stampa, in cui non c'erano domande ma semplici assist. “Giocare per il mio Paese è sempre molto importante per me, e sono orgoglioso di rappresentare la Germania – hai detto – insieme ai miei compagni, ho il grande obiettivo di vincere un giorno la Coppa Davis. Ogni volta che si presenta un'opportunità, sono felice di fare la mia parte. Anche se ho criticato il nuovo format, potrebbe esserci l'opportunità di giocare di nuovo per la Germania”.

Frasi che non dicono nulla, che non spiegano perché hai scelto di tradire te stesso e migliaia di appassionati che, sin da quel maledetto 16 agosto 2018, si sono assiepati dietro uno striscione immaginario con scritto #ChangeItBack. Hai iniziato a criticare il nuovo formato nel 2018, precisando che non avresti giocato le Finals di Madrid. In verità hai giocato un match nel 2019, ma era sotto casa tua, contro una squadra modesta. Ci poteva stare, non era un attentato alla tua coerenza. E infatti non solo non sei andato a Madrid, ma negli stessi giorni hai accompagnato Federer nella sua tournèe sudamericana, quasi a voler oscurare quello che accadeva alla Caja Magica. L'anno scorso sei tornato sull'argomento in almeno due occasioni. Durante il torneo di Monaco di Baviera, avevi detto: “Spero che si torni al vecchio sistema, laddove c'erano emozioni, coinvolgimento e passione. La Davis è diventata un torneo come un altro, paragonabile all'ATP Cup”. Dal tuo tono e dal tuo sguardo, si capiva che non era un complimento. Avevi persino lanciato una proposta: “Bisognerebbe fare come nel calcio, giocandola ogni 2-4 anni e renderla qualcosa di davvero importante”. Hai trovato il tempo di parlare di Davis anche in piena sbornia post-olimpica. “Con queste modalità non giocherò. Però spero di tornare a giocarla in futuro: appena tornerà il vecchio format, con la formula casa-trasferta e le sfide nel weekend, ci sarò”. Ti eri esposto in prima persona e questo ti rendeva credibile. Certo, avevi la fortuna di non aver bisogno di questa competizione: tanti giocatori hanno ingoiato il cambiamento, magari turandosi il naso, perché ingolositi dal maxi montepremi promesso (promesso...) da Kosmos. Tu no: con decine di milioni nel conto in banca, non hai certo bisogno di qualche migliaio di dollari in più.

ASICS ROMA
«La Davis è andare in Sudamerica, è andare in Australia, come ho fatto io quando era la vera Coppa Davis. Sì, spero che la gente si renda conto che la Davis è più che una semplice questione di denaro e di tutto quello che ci stanno offrendo ora» 
Alexander Zverev, 15 novembre 2019

2018: un grande Alexander Zverev è il principale artefice dell'impresa tedesca in Australia

Mi avevi convinto: amavi la vera Davis e ti sarebbe piaciuto vincerla, magari da eroe. In fondo avevi mostrato stimmate importanti: nel 2018 ti sei sciroppato una faticosa trasferta in Australia e hai regalato un gran successo alla Germania, battendo De Minaur 7-6 al quinto e intascando il punto decisivo, spegnendo gli ardori di Kyrgios. Avevi imparato dopo aver bevuto il calice amaro l'anno prima, quando eri stato il principale responsabile della disfatta interna contro il Belgio, perdendo un folle doppio contro Bemelmans-De Loore e il singolare decisivo contro Steve Darcis. Ci stava: la Davis è una dimensione parallela che va ben oltre la vicenda agonistica. E tu stavi imparando la lezione. Di sicuro ti aveva insegnato qualcosa papà Alexander Sr., che ha giocato 36 partite per l'Unione Sovietica tra il 1980 e il 1987. Non è stato forte come te, ma quando c'era da giocare per la sua nazione non si è mai tirato indietro. Su ogni superficie, in ogni periodo dell'anno, aveva sempre detto sì. Gli è capitato di giocare contro i più forti e non ha mai vinto, ma li ha fatti sudare. Ha costretto a stare in campo per cinque set gente come Anders Jarryd, Tomas Smid, José Luis Clerc, Ramesh Krishnan, Slobodan Zivojnovic e Claudio Mezzadri. Anche campioni come Mats Wilander e Miloslav Mecir non hanno passeggiato contro di lui. Nel 1991 si è trasferito in Germania, laddove qualche anno dopo sei nato tu. I giovani d'oggi non hanno un grande rispetto per la storia, ma tu avevi capito la lezione. Se il tuo papà ti avrà fatto conoscere lo spirito della Davis, qualcuno ti avrà raccontato la grande tradizione del tuo Paese. Antica e gloriosa, fatta di piccoli-grandi eroi, di trionfi e di qualche tragedia. Come quel match del 1937, quando il Barone Gottfried Von Cramm arrivò a pochi punti dal portare in finale la Germania hitleriana, lui che era contro il regime. Non è vero che prima di quella partita ricevette una telefonata dal Fuhrer, anche se la leggenda alimenta il falso mito. È certo che il suo match decisivo contro Don Budge arrivò addirittura a ispirare un libro, “A Terrible Splendor” di Marshall Jon Fischer. Si giocò a Wimbledon e il clamore per quella partita causò addirittura la chiusura degli affari a Wall Street.
Probabilmente sarai a conoscenza della tragica storia di Michael Westphal, il numero 2 della Germania Ovest nei primi anni di Boris Becker. Da numero 54 ATP, vinse un incredibile singolare contro Tomas Smid (n.17) nella semifinale del 1985.

Alla Festhalle di Francoforte rimase in campo per 5 ore e 29 minuti, perse i primi due set, rischiò di rimetterci le ginocchia quando il tappeto sintetico si sgretolò sotto i suoi piedi mentre giocava una volèe, e finì per vincere 17-15 al quinto. Già, perché all'epoca non c'era il tie-break, nemmeno nei primi quattro set. Le fasi finali di quella partita tennero incollati allo schermo oltre 12 milioni di tedeschi. Fu il picco della carriera di un ragazzo che quattro anni prima aveva contratto l'AIDS, in occasione di un rapporto una compagna di classe tossicodipendente. Il suo fisico si spense in fretta e morì nell'indifferenza, nel giugno 1991. Oggi riposa proprio ad Amburgo, laddove tu sei nato, nel cimitero di Ohlsdorf. La sua tomba è una piccola torretta senza foto e con qualche fiore. Il povero Westphal oggi sarebbe nel più cupo oblio, se non ci fosse stata la Coppa Davis.
Ti avranno raccontato della clamorosa impresa allo Scandinavium di Goteborg, pochi giorni prima del Natale 1988. La Germania non aveva mai vinto l'Insalatiera, e ci riuscì grazie alla folle impresa di un onesto mestierante, di nome Carl-Uwe Steeb. Era numero 53 del mondo e fu schierato soltanto perchè conosceva la terra battuta (superficie scelta dagli svedesi) meglio di Eric Jelen. Terminata la stagione, fece cinque settimane di allenamento intensivo sul rosso per presentarsi alla Mission Impossibile contro Mats Wilander, che quell'anno aveva vinto tre Slam su quattro ed era quasi imbattibile. Dopo una settimana di ritiro a Dusseldorf, era carico di adrenalina e vinse dopo cinque ore di lotta, dopo aver perso i primi due e annullato un matchpoint sul 6-5 al quinto. Una risposta vincente di dritto che lui ricorda male, visto che sostiene che l'abbiano inizialmente chiamata fuori. “Per due secondi ho perso quella partita, poi hanno verificato il segno e ho capito di essere ancora vivo”. Le immagini lo smentiscono: non ci fu alcuna verifica, nessun overrule. Ma cosa importa? I tedeschi vinsero addirittura 3-0, fecero una festa memorabile e poi vennero ricevuti da Richard von Weizsacker, presidente dell'allora Germania Ovest. Grazie a quel successo, Steeb fu poi accolto come un eroe nel suo paese d'origine, Mogglingen, 3.000 anime a due passi da Stoccarda. “Conoscevo tutti, l'accoglienza fu qualcosa che non dimenticherò mai”. Ancora oggi lo ricordano per questo. Grazie alla Davis.

Boris Becker e Michael Westphal, piccoli grandi eroi della Davis tedesca degli anni '80

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Il miracoloso successo di Carl-Uwe Steeb nella finale del 1988 contro Mats Wilander, allora n.1 del mondo

I tuoi illustri connazionali Boris Becker e Michael Stich avrebbero regalato altre due Insalatiere al tuo Paese, nel 1989 (ancora separati dall'est) e nel 1993 (con la Germania finalmente riunita).
Ma la Davis è anche dolore. Tu stesso lo avevi sperimentato alla Fraport Arena di Francoforte, in quel weekend di febbraio contro il Belgio. Ma nulla di paragonabile a quello che patirono Becker e Stich a Mosca, nel 1995. I due non si sopportavano, ma in nome della bandiera mettevano da parte ogni screzio. Però i russi allagarono il campo fino a renderlo un pantano. Una palude ingiocabile che permise ad Andrei Chesnokov di scippare ai tedeschi una finale che avrebbero meritato, con nove matchpoint annullati a un disperato Stich, in preda a una crisi di pianto dopo la sconfitta. E sai chi c'era a consolarlo, con fare quasi fraterno? Proprio lui, Boris Becker. Solo la Davis avrebbe potuto produrre questo miracolo. Da allora il tennis tedesco si è ridimensionato, incapace di rivivere certe glorie. Avevi 10 anni quando giocarono un'altra semifinale, ancora a Mosca, ancora persa tra le polemiche. Giurarono che i russi avessero avvelenato il cibo di Tommy Haas, bloccato sul più bello da una misteriosa intossicazione alimentare. Qualche anno prima, la Germania aveva addirittura vissuto l'umiliazione di due anni in Serie B.
Poi sei arrivato tu, una sorta di angelo caduto dal cielo, l'aspirante numero 1 che aspettavano da tre decenni. Tu che ti eri immerso nello spirito della competizione e avevi capito tutto. C'è una tua frase, pronunciata il 15 novembre 2019, durante le ATP Finals, che raccontava tutto.

"Penso che la Coppa Davis sia l'evento più storico che abbiano nel tennis. Ha più di 100 anni, con le gare in casa e in trasferta. La Coppa Davis è l'atmosfera, giocare per tre giorni al meglio di cinque set in partite molto complicate. Questa è la Davis per me, non giocarla in un'unica sede, in una settimana, per decidere tutto. Quella non è la Coppa Davis. La Davis è andare in Sudamerica, è andare in Australia, come ho fatto io quando era la vera Coppa Davis. Sì, spero che la gente si renda conto che la Davis è più che una semplice questione di denaro e di tutto quello che ci stanno offrendo ora. È storia, ed è la storia del tennis. Si, è più di quello che hanno messo sul tavolo per i giocatori". Leggerla adesso fa male, e ti fa perdere credibilità.
Ho voluto crederti quando hai risposto alle critiche di Juan Carlos Ferrero, quando diceva che non ti presentavi puntuale agli allenamenti.
Ho voluto crederti quando hai lasciato intendere che Ivan Lendl fosse un po' troppo autoritario, con la pretesa di cambiare tutto in un team già collaudato.
Ho voluto crederti quando hai negato con veemenza le accuse di Olga Sharypova, la tua ex fidanzata, che sostiene di essere stata vittima di violenza privata.
Ho provato a mettermi nei tuoi panni per l'inaccettabile gesto di qualche giorno fa ad Acapulco, quando ti sei comportato in modo indecente con il giudice di sedia.
“Il suo atteggiamento verso la Davis mitiga gli errori, racconta qualcosa sulla sua statura morale” si poteva pensare.
Non so per quale ragione hai accettato di giocare questa competizione. Forse vuoi mettere un po' di tennis nelle gambe perché temi una squalifica dopo i fatti di Acapulco. Magari ti sei fatto convincere dal tuo amico Marcelo Melo, che per un weekend sarà tuo avversario ma ti ospiterà nel suo Paese natale.
Qualunque sia la ragione, mi spiace, non ti crederò più.
Almeno quando parlerai di Coppa Davis.