The Club: Bola Padel Roma
PORTE 13

La rivincita del tennista guerrigliero

Non capita quasi mai che un atleta torni più forte di prima dopo una sospensione per doping. Dopo 15 mesi di squalifica per colpe (soprattutto) altrui, Guillermo Canas riuscì nell'impresa. Nel marzo 2007 si tolse la soddisfazione di battere per due volte un Federer all'epoca inarrivabile. Il successo a Miami fu epica sportiva.

Riccardo Bisti
29 marzo 2023

“L'ATP mi ha lasciato solo. Non hanno mai riconosciuto quello che è successo, mi hanno soltanto attaccato”. Guillermo Canas pronuncia queste parole a mente fredda, anni dopo una squalifica che aveva bloccato la sua carriera sul più bello. Non c'è risentimento nelle sue parole, e nemmeno particolari idee complottiste. Ma non si possono slegare i quindici mesi di stop forzato tra il 2005 e il 2006 e la più bella impresa della sua carriera. In quel marzo 2007 ha compiuto un'impresa eccezionale, per cui è ricordato ancora oggi e che ha riabilitato – ancor più delle 18 pagine di sentenza del CAS di Losanna – un'immagine compromessa dall'errore di Salvador Chinchilla, medico del torneo ATP di Acapulco, il quale gli prescrisse un medicinale contenente idrocloritiazide (HCT), un diuretico che in sè non è dopante, ma fa parte della lista delle sostanze proibite perché potrebbe fungere da sostanza coprente. Questa storia merita di essere raccontata a dovere, perché Willy ha avuto la forza di tornare – come si dice in questi casi – più forte di prima. E lo ha fatto nel modo più fragoroso, battendo due volte in pochi giorni un tennista che all'epoca era imbattibile. Tra il 2006 e il 2007, Roger Federer era inavvicinabile. Rafael Nadal lo batteva solo sulla terra, Novak Djokovic era ancora agli inizi, gli altri erano distanti anni luce. Aveva perso l'ultima partita nell'estate 2006, contro Andy Murray a Cincinnati.

Da allora, soltanto trionfi: Us Open, Tokyo, Madrid, Basilea, ATP Finals e Australian Open. La sconfitta contro Canas all'esordio a Indian Wells fece clamore, ma uno scivolone dopo 41 vittorie di fila era quasi fisiologico. Per questo si presentò a Miami (pardon, a Key Biscayne) con rilucidata rabbia agonistica. Le vittorie contro Sam Querrey e Nicolas Almagro facevano pensare a una ritrovata routine vittoriosa. Ma negli ottavi c'era ancora lui, il 27enne di Tapiales, quartierone di 15.000 abitanti alla periferia di Buenos Aires. Era stato costretto a giocare le qualificazioni, poi aveva superato Henman, Ferrero (dopo tre ore di battaglia) e Gasquet. Insomma, sembrava tutto apparecchiato per una gustosa rivincita di Federer. Era martedì 27 marzo 2007, giorno dedicato agli ottavi di finale, ultimo match della sessione diurna. Non ce ne vogliano Carlos Alcaraz e Tommy Paul, protagonisti del match analogo nel 2023, ma c'era ben altro fascino. A partire dalla location, il campo centrale di Key Biscayne, isolotto collegato a Miami da un ponte costruito negli anni '40. Un parco spettacolare, forse un po' anacronistico, ma bellissimo. E un campo centrale da 13.000 posti in cui la passione globale per il Divin Federer si scontrava con il rumore dei latinos, da sempre protagonisti sugli spalti. Come tutti i match che profumano di epica, iniziò col sole e terminò due ore e trentanove minuti dopo, sotto la luce dei riflettori. Una battaglia spettacolare, un contrasto di stili entusiasmante e un'altalena di punteggio da brividi.

«L'ATP mi ha lasciato solo. Non hanno mai riconosciuto quello che è successo, mi hanno soltanto attaccato» 
Guillermo Canas
ASICS ROMA

Gli ultimi punti di Canas-Federer a Miami: a questo link si trova la sintesi completa 

Canas brekkò per primo, fu ripreso ma vinse ugualmente il primo al tie-break. Federer vinse agevolmente il secondo e il suo linguaggio del corpo lasciava intendere il nervoso, quasi il fastidio di dover faticare di nuovo con lo stesso avversario. Lo si intuiva dallo sguardo corrucciato, da dettagli all'apparenza insignificanti come il modo con cui ributtava la palla dall'altra parte dopo aver tenuto un turno di servizio. Nel terzo volava 2-0 e palla per il doppio break. Canas la salvò con una prima a uscire, poi trovò il controbreak nel sesto game. Il match diventò una battaglia punto a punto, entusiasmante, in cui Canas accompagnò la fase difensiva a un disegno tattico il più possibile aggressivo, persino con qualche discesa a rete. Alla finè la spuntò al tie-break, esultando in modo tutto sommato sobrio dopo l'ultimo servizio vincente. Federer la prese malissimo, freddo alla stretta di mano e rapido nell'uscire dal campo. Non gli andava giù perdere due volte di fila contro lo stesso avversario, peraltro in un match in cui aveva vinto più punti (111 contro 108). Lo svizzero avrebbe poi vinto gli ultimi due scontri diretti (Madrid 2007 e Roma 2008), ma quel match fu la Rivincita per eccellenza, e la maiuscola non è un refuso. Classe 1977 e proveniente da una famiglia semplice, Canas fu uno degli ultimi a godere del finto benessere dell'Argentina degli anni '90, quando l'allora presidente Carlos Menem impose la parità tra il peso e il dollaro americano. Talentuoso il giusto, cresciuto nel mito di Guillermo Vilas e del primo Maradona (anche se la sua unica fede calcistica è l'Independiente), ha avuto una buona carriera junior e grazie a una federazione ancora lontana dalle ristrettezze degli anni 2000 potè girare per i tornei giovanili. Fu proprio Vilas a metterlo sotto la sua ala protettrice. Una volta lo vide allenarsi e gli chiese: “Hai cambiato racchetta?”. In verità era rimasto senza e stava giocando con un telaio in prestito. Il Gran Willy alzò la cornetta, chiamò in Austria e a tempo di record arrivarono sei racchette Head tra le mani del piccolo Willy.

L'impatto tra i professionisti fu normale. Ingresso tra i top-100 a vent'anni e mezzo, dignitoso stazionamento per qualche anno prima di un infortunio al polso che lo fece giocare a intermittenza nell'anno 2000. L'anno dopo cambiò marcia, scalando oltre 200 posizioni, chiudendo al numero 15 e venendo nominato Comeback Player of the Year. Nel 2002 ha vinto il suo torneo più importante, il Masters 1000 di Toronto, battendo quattro top-10 lungo il percorso (Federer, Kafelnikov, Safin e Haas) più Andy Roddick in finale. Ma si fece ancora male nel 2003: la rimozione di una cisti al polso destro gli fece perdere quasi tutta la stagione, costringendolo all'ennesima rincorsa. Quella del 2004 fu impetuosa come quella di tre anni prima, poi giocò una prima parte di 2005 spettacolare, facendo il suo ingresso tra i top-10 e perdendo – col senno di poi – l'occasione della vita al Roland Garros, cedendo in cinque set nei quarti contro Mariano Puerta. Se c'era un momento in cui Rafa Nadal era ancora avvicinabile, era proprio quello. Ma Willy aveva un peso enorme dentro di sé: un mese prima gli avevano comunicato che era risultato positivo a un test antidoping svolto il 21 febbraio 2005 ad Acapulco. Idroclorotiazide, appunto. Vale la pena ricordare il contesto: nei primi anni 2000, l'impetuosa cavalcata della Legiòn, la più forte generazione di tennisti argentini, fu inquinata da ben otto casi di positività all'antidoping. C'era la convinzione – nemmeno troppo velata – che quei successi fossero aiutati dalla chimica. Prima di lui erano caduti nella rete Juan Ignacio Chela, Guillermo Coria, Mariano Puerta (due volte, il caso più clamoroso), Martin Rodriguez e Diego Hipperdinger. Dopo di lui sarebbe successo anche a Mariano Hood.

Guillermo Canas ha vinto sette titoli ATP. Il più importante è stato il Masters 1000 di Toronto nel 2002. Anche allora battè Roger Federer

Guillermo Canas non possiede profili social, e non è nemmeno facile trovarlo sull'account Instagram della sua scuola tennis

Canas fu il primo top-10 a finire nel mirino dell'antidoping: il tribunale dei social media non esisteva ancora, ma l'opinione pubblica era tutta contro di lui. In effetti aveva un fisico imponente e lo accompagnava a prestazioni atletiche eccezionali. Sembrava il capro espiatorio perfetto. “Non ho mai pensato a un complotto ai danni degli argentini, però è vero che in quel periodo ce n'era uno in finale ogni settimana. E il nostro Paese non contribuiva al business, non servivamo gli interessi economici” racconta oggi. Gli diedero due anni di squalifica e 276.000 dollari di multa. “È stato il momento più difficile della mia vita. Avevo fatto quello che mi era sempre stato raccomandato: non andare mai da un medico che non fosse quello del torneo. E nel mio corpo trovarono quello che mi aveva dato Salvador Chinchilla. Il problema è che sei colpevole fino a quando non dimostri la tua innocenza. Di solito è il contrario”. La storia è complessa e non vale la pena entrare nei dettagli, specie a distanza di diciassette anni. In sintesi, nonostante l'ostruzionismo del direttore del torneo (Raul Zurutuza), l'ostilità dell'ATP e le affermazioni del medico Chinchilla (poi smentite dalle verifiche fattuali), Canas dimostrò che il Rofucal (il medicinale contenente il diuretico proibito) gli era stato prescritto dal medico del torneo, il quale gli consegnò erroneamente la prescrizione destinata a un'altra persona. Il complesso (e costoso) ricorso al CAS di Losanna gli diede ragione, lasciandogli la responsabilità oggettiva per aver ingerito il medicinale senza controllare l'etichetta. “Ho pagato per una colpa commessa da altri” dice Canas, che riuscì ad averla vinta graze alla tenacia dell'avvocato Diego Garcia Saenz, dopo che lo studio spagnolo che lo aveva assistito in primo grado (e gli era stato consigliato dall'ATP...) non aveva ottenuto nulla.

Il direttore del torneo sostenne che Canas non era mai stato visitato da Chinchilla, e che il testimone che lo aveva visto nello studio del medico non era attendibile, perché non accreditato. Vero, ma la società di cui era dipendente lavorava per il torneo e lo avevano utilizzato proprio in quei giorni. Saenz scovò il super-testimone, riuscì a renderlo attendibile e fu la chiave per ottenere lo sconto. Canas tornò in campo nel settembre 2006, al Challenger di Belem, mentre Federer vinceva il suo terzo Us Open. “Al primo match scoppiai a piangere sul 6-0 5-0 in mio favore, perché mi resi conto che l'incubo era finito”. Vinse il titolo, come fanno i big, poi intascò altri quattro Challenger prima presentarsi al Double Sunshine da numero 60 ATP, perché nel frattempo aveva vinto il torneo ATP di Costa do Sauipe. Non tutti videro con favore il suo ennesimo ritorno. Tra i più scocciati c'era Ivan Ljubicic, sconfitto in semifinale proprio in quel torneo di Miami. “Dare una wild card a chi torna da una squalifica per doping è come consegnare una pistola a chi esce di galera” disse il croato. Canas aveva avuto cinque inviti, ok, ma quattro di questi erano nei Challenger. E soprattutto il suo caso ha segnato un prima e un dopo nella lotta al doping. “Dopo la sentenza, l'ATP disse che i medici dei tornei non sarebbero più stati sotto la sua responsabilità – ricorda Willy – e licenziò chi si occupava del tema. Dopo quell'episodio non si sono più occupati di doping, perchè la responsabilità passò all'ITF”. Tutto vero: il suo caso è l'ultimo in cui la controparte era l'associazione giocatori. Dopo allora, ogni ricorso sul tema fu gestito dalla Federazione Internazionale. Dopo quell'impresa, l'argentino risalì al numero 12 ATP, vicinissimo al suo best ranking, anche se non riuscì a stoppare un'altra serie vincente, quella delle vittorie su terra di Rafael Nadal. “Ci penserò io, vedrete” disse. Arrivò a sfidarlo qualche settimana dopo, in finale a Barcellona, ma perse 6-3 6-4. A interrompere la striscia ci avrebbe pensato Federer ad Amburgo.

«Il mio tennis si basava sul dritto, con l'obiettivo di far muovere l'avversario. Non era una tattica specifica per Federer, provavo a fare così con tutti. Ho avuto la fortuna che il mio gioco lo infastidisse più di altri»
Guillermo Canas

Ormai trentenne e sempre più logoro, perseguitato dai guai al polso, avrebbe avuto un lento declino che lo portò a giocare la sua ultima partita nel 2009, ad Amburgo, contro il nostro Potito Starace. Tergiversò per qualche mese, poi si rese conto che non aveva la forza per un quarto comeback. Annunciò il ritiro con una conferenza stampa proprio lì, a Crandon Park, durante l'amato torneo di Miami, laddove tre anni prima aveva scalato una montagna di nome Federer. Anche se qualcuno non gli ha mai creduto, Canas ha vinto la sua scommessa: lo avevano fatto fuori ma ha saputo tornare più forte di prima, dimostrando con i fatti che aveva ragione lui. E ha potuto ritirarsi sereno, cedendo alla sua più grande debolezza: il cibo. Goloso di dolci e di pizza (era arrivato a mangiarne tre al giorno), qualche anno dopo era arrivato a pesare 122 chili. “Quando mi sono sposato, nell'ottobre 2013, pesavo 118 chili. Dissi a mia moglie che peggio di così non sarebbe potuto essere”. L'amore con la brasiliana Fabiana Semprebon, ex modella di Victoria's Secret, Armani e Dolce & Gabbana, ha fruttato due figli (Juan, nato il 30 maggio 2014, e Liz, venuta al mondo il 6 ottobre 2021), mentre sul piano professionale ha scelto di vivere negli Stati Uniti, ovviamente a Miami. Lasciare l'Argentina fu una scelta obbligata, perché nel settembre 2008 fu vittima di un furto presso la casa dei genitori: i ladri riuscirono a rubargli l'auto, una Merdedes Benz SLK decappottabile, uno dei soli tre esemplari che c'erano in Argentina. In Florida ha iniziato a fare il coach: lo abbiamo visto al fianco di Paul Capdeville, Teymuraz Gabashvili, Mikhail Kukushkin, Jelena Jankovic e più di recente con Bernarda Pera.

Ma si è stufato di viaggare e oggi si concentra sulla sua accademia Canas Tennis, realizzata in società con Martin Garcia e Gustavo Uribe. Una scuola tennis con ben sette sedi (sei in Florida, una in Argentina) in cui svolge il ruolo di direttore, stilando programmi per tutti, dai bambini di tre anni fino agli adulti. Oggi Guillermo Canas è un uomo tranquillo, realizzato. Non ha bisogno di apparire, non sente la necessità di viaggiare, sa di aver vinto la sua battaglia. Se qualcuno la pensa diversamente, pazienza. Tanto nessuno gli toglierà la soddisfazione di quel tardo pomeriggio a Key Biscayne. “La strategia per battere Federer? Mica facile spiegarla – racconta – il mio tennis si basava sul dritto, con l'obiettivo di far muovere l'avversario. Non era una tattica specifica per lui, provavo a fare così con tutti. Ho avuto la fortuna che il mio gioco lo infastidisse più di altri”. È anche modesto, il buon Willy. D'altra parte non sente il bisogno di comparire sui social media. Non possiede un account personale, mentre per trovare una sua foto nel profilo Instagram della sua accademia bisogna scendere addirittura al ventesimo post. E allora figurarsi se si arrabbia perché l'ATP non ha messo online la sua impresa a Miami su Federer. Da qualche anno, ATP Media sta digitalizzando i contenuti video dal 1990 in poi, fornendo chicche su chicche agli abbonati a Tennis TV. Di quel Federer-Canas, ottavi di Miami 2007, non c'è traccia. Ma la vetrina globale di YouTube viene in soccorso ai curiosi, con una sintesi estratta dalla diretta di Polsat. Dieci minuti commentati in polacco, ma sufficienti per capire che il tennista guerrigliero aveva consumato la sua rivincita.