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LA STORIA

Chi batterà l'ultimo grande record?

Fallendo i due matchpoint nella finale di Wimbledon 2019, Roger Federer non è diventato il più anziano vincitore Slam. Il primato rimane di Ken Rosewall, che però a breve si dovrà guardare da Nadal e Djokovic. E pensare che rischiò di non giocare la finale dell'Australian Open 1972 a causa del traffico...

Riccardo Bisti
6 gennaio 2023

Timidezza e modestia sono qualità sempre più rare. Qualche anno fa, un addetto alla sicurezza dell'Australian Open provò a essere fiscale perché il badge di Ken Rosewall non permetteva di entrare in certe aree. Lui sarebbe andato via senza fiatare, non fosse che qualche giornalista alzò il ditino, dicendo che quel signore avrebbe potuto accedere ovunque. Nessun tennista, oggi, direbbe quello che Rosewall pronunciò dopo la vittoria all'Australian Open 1972: “Non è un bene per il tennis che uno come me possa ancora vincere”. Timidezza e modestia, appunto. Ma quel successo rimane storico: il 3 gennaio 1972 aveva 37 anni, 2 mesi e 1 giorno. Ancora oggi è il più anziano ad aver vinto uno Slam. Il primato ha vacillato a Wimbledon 2019, quando Roger Federer si è trovato avanti 8-7 e 40-15 nel quinto set della finale contro Djokovic. Avesse vinto l'ultimo punto, la storia del gioco avrebbe preso un'altra direzione. Invece il record appartiene ancora a Muscle, soprannominato così con ironia: era magrolino, 175 centimetri di altezza per 68 chili. Se Federer non è riuscito a strapparglielo, adesso i candidati si chiamano Rafael Nadal e Novak Djokovic. Non sarà semplice: lo spagnolo potrà farlo soltanto a partire dallo Us Open 2023, il serbo dovrà attendere un anno in più per avere l'età adeguata.

Questo primato rimane la traccia più evidente di Rosewall nella storia del tennis, ed è un peccato. Il nativo di Sydney è stato il giocatore maggiormente penalizzato dalla divisione tra dilettanti e professionisti. A fine 1956 aveva vinto quattro Major e aveva appena impedito a Lew Hoad di ottenere il Grande Slam, stoppandolo nella finale degli US Championships. Ma si era appena sposato, aveva la licenza media, e i soldi offerti da Jack Kramer gli avrebbero fatto comodo. Così divenne professionista e dovette saltare ben 45 Slam. Negli undici anni da reietto avrebbe vinto 15 Slam “pro”: un banale calcolo algebrico direbbe che ha vinto 23 Slam, persino più di Nadal, ma alcune proiezioni sostengono che sarebbe arrivato addirittura a 26. In un'intervista del 2011 con Stefanos Semeraro, ha ammesso che al momento del passaggio a professionista era certo che non avrebbe più giocato Slam. Invece l'armonizzazione del 1968 gli permise di tornare nel carrozzone a 34 anni: vinse il primo torneo “Open” di sempre (Bournemouth), poi il primo Slam (Roland Garros). Avrebbe poi vinto lo Us Open 1970 e due edizioni dell'Australian Open. L'ultima fu quella dei record e c'è una storia che merita di essere raccontata.

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I PIÙ ANZIANI VINCITORI SLAM

1) Ken Rosewall - 37 anni, 2 mesi e 1 giorno (Australian Open 1972)
2) Roger Federer - 36 anni, 5 mesi e 20 giorni (Australian Open 2018)
3) Ken Rosewall - 36 anni, 4 mesi e 12 giorni (Australian Open 1971)
4) Rafael Nadal - 36 anni e 2 giorni (Roland Garros 2022)
5) Roger Federer - 35 anni, 11 mesi e 8 giorni (Wimbledon 2017)
6) Ken Rosewall - 35 anni, 10 mesi e 11 giorni (Us Open 1970)
7) Rafael Nadal - 35 anni, 7 mesi e 27 giorni (Australian Open 2022)
8) Roger Federer - 35 anni, 5 mesi e 21 giorni (Australian Open 2017)
9) Novak Djokovic - 35 anni, 1 mese e 18 giorni (Wimbledon 2022)
10) Andres Gimeno - 34 anni, 9 mesi e 30 giorni (Roland Garros 1972)

Le fasi salienti di Ken Rosewall nei tornei del Grande Slam

A fine 1971, le tensioni tra la ILTF (vecchio acronimo della federazione internazionale) e il WCT di Lamar Hunt (circuito di cui Rosewall faceva parte) erano al picco. Salvo accordi, i partecipanti al circuito non avrebbero potuto giocare i principali tornei. Per schivare il problema, gli organizzatori dell'Australian Open anticiparono il loro torneo, in modo che si giocasse prima dell'entrata in vigore dell'embargo. Si giocò dal 27 dicembre 1971 al 3 gennaio 1972 e il piano funzionò a metà, perché diversi giocatori non avevano voglia di viaggiare (e giocare) nel periodo natalizio. Per questo non c'erano Rod Laver, Arthur Ashe e Stan Smith. Il tabellone era guidato da John Newcombe, che però si fece sorprendere nei quarti da Mal Anderson, cariatide degli anni '50. Anderson aveva 36 anni e aveva ripreso a giocare da poco dopo quattro anni passati a fare il maestro di tennis e squash. Si impose 9-7 al quinto, e sullo slancio superò anche Alex Metreveli (unico non australiano a giungere nei quarti). Giocò una finale più che dignitosa, ma Rosewall era più forte di lui. Muscle rimontò da 1- 4 e 3-5 nel primo set, e cancellò ben quattro setpoint nel terzo.

Alla fine si impose 7-6 6-3 7-5 e potè stringere tra le sue esili mani l'imponente Norman Brookes Trophy. E pensare che rischiò di non giocarla nemmeno, quella finale. Nella sua autobiografia Muscles: the Story of Ken Rosewall racconta un gustoso aneddoto: mentre si recava a Kooyong rimase bloccato nel traffico e rischiava di non arrivare in tempo. Fermò un vigile in sella a una moto: “Lascia perdere amico, non ti faranno mai entrare,c'è troppa gente” rispose l'uomo, che non l'aveva riconosciuto. Timido e modesto, Rosewall gli mostrò i documenti per dimostrare che doveva recarsi a Kooyong per giocare, non per fare lo spettatore. E allora la strada si aprì come le acque del Mar Rosso e la polizia lo scortò fino all'impianto che ha ospitato il torneo fino al 1987, e che all'epoca aveva una capienza di 11.800 spettatori. Ok, non c'erano Laver, Ashe e Smith, ma gli australiani avevano una fame infinita di tennis. Nella struttura a ferro di cavallo del campo centrale si assieparono 12.500 persone, forse 13.000. Molti si sedettero sugli scalini, altri addirittura per terra a bordocampo. Fu il record assoluto di pubblico in una finale dell'Australian Open, battendo il primato di trentotto anni prima, quando circa 9.500 spettatori assistettero a Perry-Crawford.

Gli australiani hanno intitolato il Centrale di Sydney a Ken Rosewall soltanto nel 2008

Dallas, 14 maggio 1972: l'atto finale delle WCT Finals è stato uno dei più grandi match di sempre

Uomo di una semplicità disarmante, Rosewall non ha mai alimentato il mito sulla sua longevità agonistica. Anzi, un giorno l'ha spiegata così: “Sono andato avanti perché non avevo una grande cultura e non sapevo nulla di affari. Il tennis era la mia passione e la mia unica fonte di guadagno, dunque ho proseguito finché ho potuto”. Non si è certo arricchito, giacché quel successo gli fruttò 2.240 dollari che arrotondò vincendo il doppio con Owen Davidson. Mentre si godeva il successo, era convinto che non avrebbe più giocato Slam (proprio come quindici anni prima...), invece ebbe la possibilità di giocare altre due finali, entrambe nel 1974, entrambe contro il rampante Jimmy Connors. Le perse nettamente ma sarebbe rimasto competitivo per tutti gli anni '70, fino a vincere gli ultimi tornei (Hong Kong e Tokyo) a 43 anni compiuti. Manco a dirlo, record assoluto. “Sono stato fortunato perché il tennis non è cambiato molto dall'inizio alla fine della mia carriera” sussurra quando gli chiedono combe abbia fatto a essere così longevo. Ed è sorprendente come non abbia mai provato a reclamare il suo ruolo nella storia del gioco, specie in relazione all'amico-rivale Rod Laver, multi-celebrato ancora oggi in virtù dei due Grand Slam. Ok, gli hanno intitolato il Campo Centrale dell'Olympic Park di Sydney (ma in ritardo, nel 2008) ma la sua memoria è fin troppo sfumata.

Se è vero che nell'eterna rivalità contro Laver è in leggero svantaggio (Su 164 scontri diretti, Rod è avanti 89-75) ha vinto alcuni dei più importanti: non solo le prime due finali “pro” del 1968, ma anche la leggendaria finale delle WCT Finals 1972, da molti considerata la più bella partita di tutti i tempi. Giusto ricordarlo, perché il suo record pare destinato a cadere. Se e quando Rafael Nadal o Novak Djokovic riusciranno a batterlo, cadrà un altro piccolo mattoncino nella memoria collettiva di questo immenso campione, che nel 2016 ha superato un piccolo ictus e che il 27 aprile 2020 è rimasto vedovo per la scomparsa della moglie Wilma Mclver. Però, a differenza dei campioni di oggi, ha avuto un enorme privilegio: nessuno gli ha mai chiesto quando si sarebbe ritirato. “Non lo abbiamo mai fatto perché ci sembrava di offenderlo” ricordò Bud Collins, decano dei giornalisti americani, scomparso nel 2016. Quarant'anni dopo, Roger Federer avrebbe ricevuto centinaia domande sull'argomento, fino a sbuffare dopo una sconfitta a Miami nel 2016: “Non so quante volte dovrò ancora rispondere prima di stufarmi e smettere di farlo...” disse. Adesso tocca a Nadal, che ha già manifestato il proprio disappunto durante la United Cup. E state certi che prima o poi capiterà anche a Djokovic. Nel cambio, forse, a Ken Rosewall va bene così. Per le persone timide e modeste si accontentano di poco.