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LA STORIA

Il Giocatore Perfetto

Novak Djokovic festeggia la settimana numero 311 da numero 1 del mondo: superato il record di Roger Federer. Esattamente quattordici anni fa, il giornalista Peter Bodo lo osservava a Indian Wells ed ebbe un'illuminazione: per lui, era il Giocatore Perfetto. Ecco cosa scrisse.

Staff Tennis Magazine
8 marzo 2021

Lunedì 8 marzo 2021 Novak Djokovic festeggia un record a cui teneva moltissimo: superando Roger Federer, diventa il tennista ad aver trascorso più settimane al numero 1 del mondo. Un altro passo verso un sogno mai nascosto: essere considerato il più forte tennista di tutti i tempi. È l'occasione giusta per riportare un articolo premonitore di Peter Bodo: nel marzo 2007, il noto giornalista americano lo vide giocare a Indian Wells e sostenne di essersi trovato davanti al Perfect Player. All'epoca poteva sembrare azzardato, visto che Djokovic aveva vinto appena tre titoli e si trovava al numero 13 ATP. Ma da lì a poco la sua carriera sarebbe svoltata: finale a Indian Wells, vittoria a Miami e – sei mesi dopo – prima finale Slam allo Us Open. E le previsioni di Bodo si sarebbero rivelate clamorosamente azzeccate.



Oggi sono andato a dare un'occhiata a Novak Djokovic nella sua partita contro Julien Benneteau, un francese che in questo torneo ha giocato molto bene seguendo una formula semplice e spesso letale: commettere pochi errori e costringere l'avversario a vincere tirando i colpi necessari per farlo, senza alcun regalo. Sono arrivato allo Stadium 2 sul punteggio di 3-3, mentre la maggior parte del pubblico osservava la sfida tra Andy Murray e Nikolay Davydenko sul campo centrale. Mi sono seduto dietro la linea di fondocampo dal lato nord, in terza fila, in mezzo ad alcuni anziani sovrappeso che si abbronzano braccia e schiena da gallina su panchine verdi. La prima cosa che ho annotato sul mio taccuino, quando Djokovic ha tirato un rovescio che gli ha fruttato il break per il 5-3, è stata: “Una grande rotazione del tronco, spesso punteggiata da un'espirazione gutturale”. Ritengo importante la rotazione del tronco da quando ho visto per la prima volta il suo miglior interprete, il Gattone Miloslav Mecir. Lo slovacco sembrava non correre mai: era sempre in attesa della palla, e non sembrava colpire così forte. Ma la palla si staccava dalle corde come lo schiocco di un tappo di champagne e con un ritmo inatteso. Djoker è altrettanto pulito, ma mette più rotazione sulla palla ed è meno disposto a difendere rispetto a Mecir. La sua palla finisce per essere più pesante e pericolosa.

La rotazione del tronco raggiunge la massima efficienza solo con un ottimo timing, e questo è l'altro talento del Djoker: la combinazione tra timing e rotazione produce la massima energia senza la massima velocità di rotazione. Questa è una definizione abbastanza buona di efficienza del colpo. Servendo per il set, Djoker si è trovato in svantaggio 0-40, e a quel punto ha emesso un ruggito viscerale. Infuriato, ha lanciato il suo berretto in campo. Il gesto sembrava porre fine alla maledizione, perché ha vinto i due punti successivi con feroci vincenti di vincenti di dritto a sventaglio, ognuno dei quali aveva il marchio di un colpo fuori al comune, ma senza essere tirato con disperazione. Djokovic è un ragazzo fantastico. Ha raggiunto la parità con un altro grande dritto inside-out, ma stavolta anche la palla è schizzata via dalla corda. “Shit!” ha gridato Benneteau. Poi, forse ricordando di essere francese, lo ha modificato in “Merde!”. Un gruppo di studenti universitari a torso nudo, con i cappellini da baseball indossati all'indietro, secondo l'attuale moda del campus, sono entrati in tribuna e si sono messi a guardare. Benneteau stava giocando abbastanza bene da forzare la mano a Djokovic, e ogni volta che quest'ultimo commetteva un errore – o tirava un vincente – lo punteggiava con un grido di guerra o un pugno chiuso. È un ragazzo emotivo, ma questo non influisce sul suo lavoro di colpitore: non lo porta a prendere una decisione sbagliata, frettolosa o sconcertante, problema comune a parecchi giocatori.

PRIMA
"Gli ho detto che non ero lì per baciargli il sedere, ma pensavo che fosse di quanto più vicino al Perfect Player avessi mai visto, e gli ho chiesto se fosse una questione di natura o educazione" Peter Bodo
Il torneo di Indian Wells 2007 segnò la prima grande finale tra Novak Djokovic e Rafael Nadal. Vinse lo spagnolo, ma il serbo si sarebbe preso la rivincita a Miami

Spesso i giocatori emotivi sono perfezionisti: è stato il mantra di John McEnroe per tutta la sua carriera, così come una comoda scusa per tutti i suoi capricci. Andy Murray e Djokovic sono così, e il loro più grande nemico è quel perfezionismo che però li ha portati così lontano. La loro sfida è impedire a quel perfezionismo di diventare una forza distruttiva. Djokovic sembra avere un certo controllo su questo aspetto, perché il suo gioco non ha particolari alti e bassi. I momenti di nervosismo sono solo un'espressione del perfezionismo che lui sta tenendo a bada.
Ed ecco un'altra cosa. Osservando Richard Gasquet ho notato che i suoi piedi lavorano molto, a volte sembrano pinne mentre colpisce la palla. Ho pensato che anche i piedi di Djokovic fossero attivi, eppure Djokovic acquista un momento di immobilità extra mentre il movimento è ancora in corso, e questo gli consente di colpire la palla con una sfumatura di potenza e precisione in più. Djokovic ha brekkato facilmente Benneteau nel primo gioco del secondo set, poi ha tirato qualche gran servizio nel game successivo. Il servizio di Djokovic è una cosa bellissima, aerodinamico come una scultura di Brancusi, letale come il colpo di un cobra. È un servizio molto simile a quello di Pete Sampras, anche se probabilmente è un po' più lento. Djoker si allinea con i piedi quasi paralleli alla linea di fondo, con l'anteriore sinistro piuttosto lontano dal destro, al punto che il suo polpaccio sembra essere piegato. Quando inizia il suo movimento senza fronzoli, sposta leggermente il peso sul piede posteriore, quanto basta per liberare la gamba sinistra e agire come un pistone per pompare il corpo verso l'alto e in avanti. Il movimento è continuo, raccogliendo forza e velocità che raggiungono il massimo quando colpisce la palla. La racchetta sembra inghiottire la palla prima di sputarla via con una forza esplosiva: a forma di uovo se sta cercando la rotazione in kick, dilatata come un proiettile giallo se il tiro è forte e piatto. Quando Djoker ne ha scagliato un altro che lo ha portato sul 2-0, Benneteau ha scosso la testa.
Un uomo in triste comunione con il suo destino imminente.

In questo momento ho annotato la frase più famosa nella storia della critica rock. Dopo aver osservato per la prima volta lo sconosciuto Bruce Springsteen, il critico Jon Landau scrisse: “Ho visto il passato del rock'n'roll lampeggiare davanti ai miei occhi. E ho visto qualcos'altro: ho visto il futuro del rock'n'roll, e il suo nome è Bruce Springsteen”. I giochi hanno preso a scorrere velocemente. Benneteau stava perdendo sangue con rapidità e on poteva fare nulla per arginare la marea. Molto di questo è dovuto alla capacità di Djokovic di spingere senza incertezze, senza perdere concentrazione. Una perfetta esecuzione è un atto di alto livello: basta un frammento di dubbio o distrazione per cadere in errore. Quel giorno, però, il Djoker non stava per cadere. La mia nota successiva è una parentesi mentre Djokovic sta per servire nel quarto game del secondo set. Si accende l'altoparlante che rimbomba: “La giovane campionessa Nicole Vaidisova firmerà autografi presso lo stand di Tennis Warehouse!”. Giuro: quando ho finito di annotarlo, Djokovic era sul 4-0. Quando Benneteau ha tenuto il suo turno di servizio per il 4-1, ho avuto la sensazione che Djokovic stesse prendendo fiato. Ha poi vinto i due game successivi, terminando la partita col punteggio di 6-3 6-1. Benneteau è sempre stato nelle mani di Djokovic? Dipende da come la guardi. Per come l'ho vista io, ha tenuto la partita, l'ha mostra a Djoker e in effetti gli ha detto: se puoi prenderla, è tua. E Djokovic l'ha presa. Mi sono allontanato pensando di aver appena osservato il Giocatore Perfetto, quindi ho pensato: “Che diamine, potrei anche dirglielo”. L'ATP mi ha messo in contatto con Djokovic. In particolare, ero interessato a conoscere con maggior dettaglio come fosse possibile che un ragazzo senza particolare accesso all'allenamento di alto livello, e le risorse che richiede, avesse un gioco più pulito del piatto di un bambino durante la notte degli spaghetti.

Nel 2007, Peter Bodo aveva paragonato il servizio di Novak Djokovic a quello di Pete Sampras
I colleghi provano a definire Novak Djokovic con una singola parola

Mi sono seduto con Djokovic in un ufficio vuoto, fuori dalla sala giocatori. Nel caso vi interessi, ha un aspetto impressionante, quasi vecchio stampo, da anni 50, valorizzato dalla postura eretta di un soldato. Non ha acconciatura, soltanto capelli corti e scuri, di lunghezza uniforme. Un aspetto spartano. Quello che potrebbe sfuggire dalla TV è che ha tratti molto raffinati, perfettamente bilanciati come il suo gioco, anche se i suoi occhi sono vicini. È amichevole e diretto. Gli ho detto che non ero lì per baciargli il sedere, ma pensavo che fosse di quanto più vicino al Perfect Player avessi mai visto, e gli ho chiesto se fosse una questione di natura o educazione.
Inizialmente ha riso alla mia affermazione. Poi ha detto: “Posso dire che da una parte è il destino. In Serbia non abbiamo mai avuto un top-15 dopo Boba Zivojnovic, così per me è stato difficile crescere e avere successo. Ma è una cosa a metà tra il mio talento e il lavoro del mio primo allenatore, quindi sono stato molto fortunato ad averlo”. Quel mentore era una donna, Jelena Gencic, che aveva lavorato anche con Monica Seles e a un certo punto ha viaggiato con Goran Ivanisevic (ebbi la possibilità di incontrarla brevemente). Djokovic dice che la Gencic gli ha dato le nozioni di base e lo ha vegliato come un falco tra i 6 e gli 11 anni, dopodiché la famiglia gli ha concesso di andare presso l'accademia dell'ex stella jugoslava Nikki Pilic, decisione presa su consiglio della Gencic. In Germania ha potuto conoscere giocatori del calibro di Goran Ivanisevic e Boris Becker. “È stato difficile per la mia famiglia lasciar andare il figlio di 12 anni in un altro Paese, ma dopo i primi giorni lo zio che mi ha accompagnato a Monaco di Baviera mi ha lasciato da solo. Era qualcosa che dovevo fare”.

All'inizio Djokovic tirava il rovescio a una mano, ma si è descritto come ragazzo magro e senza particolare potenza, quindi era spesso costretto sulla difensiva. Per questo ha scelto la soluzione bimane. Tutto il resto ha continuato a svilupparsi naturalmente. Pilic, che aveva aiutato Ivanisevic con il suo servizio (“E tu sai come serviva” scherza Djokovic) ha messo a punto anche lo sviluppo di Djoker. L'unica altra cosa che Djokovic ha modificato da quando è entrato tra i professionisti è il suo dritto. Ha giocato bene a Parigi nel 2005, ma a fine torneo la Gencic lo ha preso da parte e gli ha detto: “Stai giocando alla grande, ma quando hai la possibilità di fare il punto con il dritto ci metti troppa rotazione. Colpisci più piatto”. In merito alla sua forza mentale, Djokovic ha detto: “Sono maturato molto. Sto cercando di trattenere il più possibile le emozioni, ma mi piace urlare in campo. Mi piace combattere. Mi piace competere. Io sono questo”.
E cosa ne pensava di questo teoria del Giocatore Perfetto?
Rise di nuovo. “Non posso dire di essere il tennista perfetto. Nessuno può essere perfetto e penso di avere molto su cui migliorare (ha citato il servizio, sfruttare di più le occasioni e presentarsi più spesso a rete). Forse non è perfetto, ma è un giocatore straordinariamente dotato che non verrà annullato nemmeno dal suo perfezionismo.