The Club: Bola Padel Roma
WIMBLEDON

Il bivio di Wimbledon: tamponi obbligatori o liberi tutti?

I casi di Cilic e Berrettini fanno scattare l'allarme: e se ci fosse un focolaio ai Championships? Alize Cornet pensa che al Roland Garros sia andata così, nel silenzio dei giocatori. Pare che Wimbledon starebbe aggiornando i protocolli, ma la reintroduzione dell'obbligo dei test rischia di azzoppare il torneo...

Riccardo Bisti
29 giugno 2022

È diventata una questione etica, quasi filosofica. Conoscendo Matteo Berrettini, possiamo soltanto immaginare quanto sia grande la sua delusione per il forfait a Wimbledon. Un forfait che Matteo avrebbe potuto evitare se non si fosse sottoposto al tampone che ha evidenziato la positività al COVID. Per lui è un dramma sportivo, per gli italiani una disdetta, ma per il resto dell'ambiente è stato lo scoppio di una bolla. Se nei tempi più cupi della pandemia le bolle erano fisiche, quella di oggi era cognitiva. A pungerla sono arrivate le parole di Alize Cornet, che ha celebrato in modo un po' inusuale il suo 62esimo Slam consecutivo, che le ha permesso di eguagliare il record di Ai Sugiyama. E a New York lo supererà. Dopo la vittoria contro Yulia Putintseva, ha raccontato quanto accaduto al Roland Garros. In assenza di protocolli specifici, si sarebbe scatenato un focolaio tra giocatori, i quali avrebbero raggiunto un tacito accordo per non testarsi e continuare a giocare (e vivere) senza restrizioni. “Ci sono sempre stati ritiri di vario genere – ha detto la Cornet in una dichiarazione raccolta dall'Equipe – è capitato che in certi tornei ci fosse un'ecatombe di gastroenteriti a causa del cibo avariato, con 2-3-4 forfait.

È sfortuna, non è che mettiamo un protocollo per la gastroenterite. Adesso il COVID è diventato endemico, esistono i vaccini.... Se torniamo indietro, non mi va bene. Al Roland Garros c'è stata un'epidemia di COVID, ma nessuno ne ha parlato. Nello spogliatoio ce l'avevamo tutti e nessuno ha detto nulla. Ma quando la notizia esce sulla stampa, con il coinvolgimento di grandi giocatori, la questione diventerà delicata e mi preoccupa un po'”. Secondo la francese, dunque, bisognerebbe lasciar correre il virus e lasciare ai tennisti la discrezionalità se tamponarsi o meno, se giocare o meno. “Spero che Wimbledon abbia il buon senso di non cambiare protocollo per il resto del torneo: ci hanno già tolto i punti, questo sarebbe troppo”. La Cornet lascia intendere che si tratta di una sensazione condivisa nello spogliatoio: “Abbiamo pagato il prezzo, siamo stati in una bolla per un anno e mezzo, ci siamo vaccinati tutti, ma a un certo punto devi capire che il COVID fa parte della nostra vita. Ci sono giocatori che lo prendono nel posto sbagliato, ma una psicosi sarebbe fuori luogo. Abbiamo già pagato e spero che tutto questo sia alle spalle”.

«Credo che a Parigi ci siano stati alcuni casi e un tacito accordo tra noi. Non ci mettiamo certo a fare il test per metterci nei guai» 
Alize Cornet
PLAY IT BOX

Sottoponendosi a un tampone, Matteo Berrettini si è assunto il rischio di saltare Wimbledon

Il discorso della francese pecca di egoismo. Se è vero che gli effetti e i sintomi del virus sono trascurabili nel 99% dei positivi, a maggior ragione se si tratta di atleti, rimane il problema della contagiosità. Il paragone con la gastroenterite e qualsiasi altro infortunio non regge, perché in quel caso rimane un problema circoscritto al singolo. Un tennista che circola e gioca liberamente con il COVID può mettere a repentaglio la sicurezza del prossimo, a partire dai soggetti più fragili. “Quando a Parigi c'è stato il ritiro della Krejcikova, si è capito che tutto lo spogliatoio avrebbe potuto essere contagiato. Il fatto è che abbiamo tre sintomi, prurito alla gola, giochiamo e non ci sono problemi. Credo che a Parigi ci siano stati alcuni casi e un tacito accordo tra noi. Non ci mettiamo certo a fare il test per metterci nei guai. Poi ho visto delle ragazze con la mascherina, forse perché sapevano di essere positive e non volevano contagiare. Ci vuole anche un certo senso civico”. L'ultima frase lascia perplessi: l'appello al senso civico è corretto, ma quanto detto in precedenza lascia intendere che la Cornet sarebbe la prima a evitare il test in caso di sintomi più o meno severi.

Ripetiamo: il problema non è la gravità della malattia, soprattutto per gli atleti, ma la contagiosità del virus. Probabilmente il passaggio verso la normalità avrebbe dovuto essere più graduale. Siamo passati da tornei blindati, con obbligo costante di test e disposizioni molto rigide, a un liberi tutti che ha favorito una recrudescenza del virus. I numeri, purtroppo, lo certificano (oltre a dirci che il tasso di ospedalizzazione si è ridotto, segno che il virus è sempre più endemico: la Cornet ha ragione quando dice che il COVID fa ormai parte delle nostre vite). Ci auguriamo che la francese e tutti gli altri giocatori non abbiano problemi, ma il suo auspico rischia di essere disatteso: proprio in queste ore, Wimbledon sta effettuando una revisione dei protocolli COVID. I casi di Cilic e Berrettini (ex finalisti di questo torneo) sono troppo fragorosi per non prevedere contromisure. Nei giorni scorsi, i due si sono allenati con Djokovic e Nadal, prime due teste di serie del torneo. Qualcuno teme che possa esserci spazio per un focolaio tra i giocatori.

ASICS

Finalista nel 2017, Marin Cilic salterà Wimbledon perché positivo al COVID

Nadal rivela: "Mi hanno detto che se hai sintomi sei tu a decidere se effettuare o meno il test"

Non vorremmo essere nei panni degli organizzatori: se da una parte è corretto (doveroso?) che i protocolli sanitari vengano aggiornati, dall'altro c'è un business di cui tenere conto. Già azzoppato dalla scelta di non accogliere russi e bielorussi, nonché dall'assenza di punti ATP, il torneo subirebbe un colpo durissimo se un top player dovesse dare forfait per COVID. E sarebbe un dramma se le eventuali positività emergessero nelle fasi finali. In effetti è legittimo nutrire qualche sospetto: da quando il COVID ha fatto irruzione nelle nostre vite, non è mai successo che emergessero positività di tennisti nelle fasi finali dei tornei. Fateci caso: casi di questo tipo sono emersi sempre a inizio torneo, quando un forfait è ancora tollerabile per gli organizzatori. Pensate al caso estremo di una positività di un finalista alla vigilia della finale... sarebbe un dramma commerciale. Fino a oggi, non esistono protocolli preventivi per i giocatori, anche perché il governo del Regno Unito ha eliminato ogni restrizione. Ma la recente epidemia costringe l'All England Club a rivedere le misure attuali.

“Come evento globale, continuiamo a collaborare con l'Agenzia per la sicurezza della salute pubblica del Regno Unito, oltre che alle autorità locali – ha detto un portavoce – abbiamo continuato a migliorare le operazioni di pulizia e forniamo postazioni di igienizzazione delle mani, offrendo supporto medico a chiunque si senta male. Stiamo seguendo le linee guida del Regno Unito sulla valutazione dell'isolamento di qualsiasi potenziale malattia infettiva. Anche il nostro team medico continua a indossare le mascherine per qualsiasi consulto”. Va bene, ma la questione è un'altra, ben diversa, e la conoscono tutti: aggiornare i protocolli significherebbe rendere obbligatori i tamponi per ogni giocatore, a prescindere da sintomi più o meno dichiarati. Sarebbe etico – come è stato etico il comportamento di Matteo Berrettini – ma è un rischio enorme per il torneo, lo spettacolo, i diritti TV e tutto il resto. Come si comporterà Wimbledon?