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IL PERSONAGGIO

“I Challenger sono più duri dei tornei ATP”

È l'opinione di Ramkumar Ramanathan. Il numero 1 indiano si è finalmente aggiudicato un torneo al 127esimo tentativo e adesso punta a qualificarsi per il suo primo Slam. “Nei Challenger i giocatori hanno più fame, c'è una competizione micidiale”. E anche peggiori condizioni di vita...

Riccardo Bisti
28 dicembre 2021

Al 127esimo tentativo, Ramkumar Ramanathan ce l'ha fatta. Al penultimo torneo dell'anno si è aggiudicato il primo Challenger in carriera. Per riuscirci è dovuto andare a Manama, in Bahrain, in un torneo sponsorizzato addirittura dal Ministero dell'Interno. Da quelle parti, si sa, la commistione tra sport e politica è piuttosto forte. Non ha avuto bisogno di particolari imprese, visto che non ha battuto giocatori meglio piazzati di lui. Numeri alla mano, il più forte è stato Jay Clarke (n.231 ATP) in semifinale. Ma il valore simbolico è inestimabile, ancor di più dei punti che gli hanno permesso di chiudere tra i top-200 per la quinta stagione di fila. Ormai 27enne, Ramanathan si è spesso incagliato a un passo dall'ultimo step, quello dei tornei ATP. In carriera ha vinto ben 16 tornei ITF, ma per vincere un Challenger ha dovuto tribolare parecchio. Le aveva provate tutte, ai quattro angoli del globo, ma aveva raccolto al massimo sei finali. Ne stava nascendo un complesso. Adesso deve superarne un altro, ancora più significativo sul piano economico: passare finalmente le qualificazioni in uno Slam. Fino a oggi ne ha giocate 22, ma non ha mai annusato l'aria buona (e relativo prize money) dei tabelloni principali.

Si è spinto per due volte al terzo turno, nel 2018 in Australia e qualche mese fa a Wimbledon. Anche qui c'è il rischio che possa nascere un blocco mentale. Di sicuro è un danno economico, tale da obbligarlo a giocare i campionati interni in India. Archiviato il faraonico progetto IPTL, prosegue la competizione nazionale denominata Pro Tennis League, la cui formula ricalca quella della (fu) super-esibizione voluta da Mahesh Bhupathi. Giocando per i Pro Veri Supersmashers, li ha condotti in semifinale ma poi ha perso contro Niki Poonacha dopo aver avuto tre matchpoint. Pazienza: rimane pur sempre il numero 1 indiano e per questo è stato celebrato in una serata di gala organizzata da AMPA Group, azienda leader nel settore immobiliare che gli fa da sponsor. Dopo aver ricevuto un omaggio dall'amministratore delegato Palaniappan Ampa, ha parlato dell'imminente trasferta in Australia, laddove giocherà le qualificazioni al via il 10 gennaio. “Non voglio mettermi pressione, voglio continuare a provarci. Sono felice della siuazione in cui trovo, prenderò le cose come verranno”.

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"Nei tornei ATP può capitare di vincere qualche partita perché l'avversario non si impegna troppo. Al contrario, la fatica e le sfide in un torneo Challenger sono immense"
Ramkumar Ramanathan

Ramkumar Ramanathan vanta una vittoria contro un top-10: nel 2017 batté Dominic Thiem sull'erba di Antalya

L'indiano è in viaggio per l'Australia proprio in queste ore, più carico che mai per la sua dodicesima stagione da professionista, in cui spera di raggiungere il Sacro Graal dei top-100 ATP. C'è arrivato vicino nel 2018, quando ha artigliato la finale al torneo ATP di Newport, sull'amica erba, accomodandosi al numero 111. In quei giorni faceva il tifo per lui Leander Paes, occasionale mentore, con il quale aveva scattato una foto quando era bambino. Il problema è che Ramkumar ha limiti precisi, soprattutto nel gioco da fondo, nel dialogo con il rovescio, e in risposta al servizio. Anche se i genitori lo hanno spedito in Spagna quando aveva 15 anni, non ha mai snaturato un tennis d'attacco, fatto di un morbido serve and volley. Non gli è riuscita la transizione che, per esempio, aveva permesso a Somdev Devvarman di diventare un ottimo tennista da cemento. Non a caso, l'ultimo indiano prima di lui ad arrivare in finale in un torneo ATP. Oppure a Sumit Nagal, che ha nella terra battuta la sua migliore superficie. Ma il grande equilibrio del tennis attuale gli concede ancora qualche speranza.

Voglio restare in salute e giocare tanti match come ho fatto negli ultimi anni. Se entrassi tra i top-100 sarebbe il massimo. Credo che se continuerò a giocare bene e crescere come giocatore, potrò abbattere questa barriera”. L'obiettivo non è esattamente dietro l'angolo, visto che partirà dal n.184. E la strada può essere molto lunga, specie se frequenti soprattutto il circuito Challenger, laddove i punti in palio sono quelli che sono. Vincere a Manama gli ha fatto scalare appena una quarantina di posizioni. Eppure si tratta di tornei molto, molto competitivi. Pur essendo un tipo tranquillo e posato, Ramanathan ha sganciato la frase da titolo. “Ho giocato sia nei Challenger che nel circuito ATP, e la differenza non è molta. Anzi, se me lo chiedete, i Challenger sono più duri. I tennisti sono molto più motivati a vincere, hanno il fuoco dentro. Nei tornei ATP, se sei testa di serie, può capitare di vincere qualche partita qua e là perché l'avversario non si impegna troppo. Al contrario, la fatica e le sfide in un torneo Challenger sono immense”. La frase va contestualizzata: è certamente vero che i tornei ATP garantiscono un livello medio più alto, ma probabilmente Ramanathan alludeva alla condizioni di vita complessive dei Challenger.

Il sogno di vincere il titolo a Newport si bloccò in finale contro Steve Johnson

Nel 2022 tornerà in calendario il torneo ATP di Pune. Nell'ultima edizione, Ramanathan ha giocato il punto del torneo contro il nostro Caruso

Nel circuito maggiore, i tennisti sono trattati come delle star e possono concentrarsi solo sul tennis. Scendendo di livello, le questioni logistiche diventano un fattore nella vita di tutti i giorni. Spesso si gioca in luoghi periferici, difficili da raggiungere, con l'organizzazione spesso affidata a volontari che non conoscono alla perfezione le esigenze dei professionisti. E allora può diventare complicato anche un trasferimento, il reperimento di un campo d'allenamento, un buon pasto, o anche soltanto procurarsi un tubo di palle nuove. Elementi che si sommano a un livello di gioco altissimo, non così dissimile da quello del circuito maggiore. Il tutto per un montepremi non trascendentale. Per questo, i frequentatori dei Challenger hanno spesso insaziabile fame di vittorie. Per loro non esistono settimane di transizione, tornei per provare schemi o tattiche nuove. Ogni settimana può essere quella giusta. Ramanathan lo sa bene, visto che ha impiegato quasi otto anni per vincere il suo primo titolo. È stato il modo migliore per chiudere una stagione complicata, in cui è stato tra i tanti atleti contagiati dal COVID. Ha appreso della positività a marzo, quando si trovava a Oeiras per giocare l'ennesimo Challenger. Ha passato l'isolamento lontano da casa (anche se ha ancora un appoggio a Barcellona, laddove si è rifugiato non appena il virus è passato) e, soprattutto, ha vissuto a distanza l'angoscia per il ricovero di papà Ramanathan, ex giocare di badminton che lo aveva iniziato al tennis quando aveva cinque anni.

È stato ricoverato, ha avuto sintomi ben più pesanti del figlio, e in un Paese complicato come l'India non era scontato che si riprendesse. Per fortuna è andata bene e il figlio ha ripreso a concentrarsi sul tennis. A Wimbledon è stato a tanto così da fargli il regalo più bello, ma la qualificazione è sfumata al termine di un'infinita battaglia contro Marc Polmans (persa 11-9 al quinto). Ma Ramkumar ha la capacità di non deprimersi. E finalmente ha potuto scattarsi una foto col trofeo del vincitore. Oltre alla famiglia, il primo pensiero è andato per il coach Tyagarajan Chandrasekaran, una sorta di mentore che lo segue fin da quando era un bambino ed è convinto che i top-100 siano un traguardo fattibile. “Ram ha risorse meravigliose. Gli ho sempre suggerito di sfruttare i suoi punti di forza: ha un gran dritto, uno splendido servizio, un discreto rovescio e ottimi colpi al volo. A Ranama è stato aggressivo ogni volta che ne ha avuto bisogno, e la sua fiducia è cresciuta dopo ogni match”. Tra gli obiettivi del 2022 c'è anche la qualificazione per le Davis Cup Finals: nel primo weekend di marzo, l'India se la vedrà con la Danimarca a New Dehli nel turno preliminare. “I nostri avversari sono molto forti, possono contare su Holger Rune e Mikael Torpegaard. Ma giocheremo sull'erba, decisione collettiva di allenatori e giocatori. Sento che sarà un fattore a nostro favore”. Quasi un passeggiata, per chi si è forgiato nel purgatorio quotidiano dei tornei Challenger.