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LA STORIA

First Name Unknown, il tibetano senza nome

Prima che Fnu Nidunjianzan prendesse una racchetta in mano, in Tibet non c'erano campi da tennis. Normale: a 5.000 metri d'altezza le palline si spaccano all'impatto con la racchetta. Un percorso da film lo ha portato prima a Dallas, poi da Bollettieri, infine alla Princeton University. Con un sogno: portare il tennis cinese a vette inesplorate.

Riccardo Bisti
20 febbraio 2024

Il Tibet è noto per due ragioni: il Monte Everest e la residenza del Dalai Lama. Nonostante lotti per l'indipendenza, il governo cinese non gliel'ha mai riconosciuta. Oggi c'è una suggestione tutta nuova: potrebbe diventare famoso grazie al tennis. Il prescelto ha un nome piuttosto complicato da scrivere, figurarsi da pronunciare: Fnu Nidunjianzan. E già il nome di battesimo sarebbe una storia: Fnu non è altro che l'acronimo di First Name Unknown, termine utilizzato negli Stati Uniti per identificare i cittadini stranieri dal nome sconosciuto. Poco importa: come tutti gli asiatici che mettono piede negli Stati Uniti, anche lui ha avuto un soprannome. E questo sì, è facile da ricordare e pronunciare: Top, in onore del rapper sudcoreano idolatrato dalla sorella. Se fate un giro su Google e scrivete Tennis players from Tibet, scoprirete due cose: 1) Il primo risultato è la pagina Instagram di Nidunjianzan. 2) Il padre di Saisai Zheng, ottima giocatrice di qualche anno fa (n.34 in singolare, 15 in doppio) era originario del Tibet. Ma Saisai non aveva certo iniziato lì, perché giocare a tennis da quelle parti è una follia. A causa dell'altitudine media di quasi 5.000 metri, secondo Nidunjianzan, le palline hanno un paio di opzioni: o si sgonfiano, o esplodono al momento dell'impatto.

Prima che lui iniziasse a colpire, infatti, non c'era un solo campo da tennis in tutta la regione. Ma papà Nimazhaxi, ex atleta, voleva che suo figlio praticasse sport. Lo vedeva come un modo per uscire dalla mentalità tibetana, incredibilmente chiusa. Un giro nella Cina continentale gli fece scoprire badminton, ping pong e basket. Tra i tre... scelse il tennis. Quando tornò a casa, il padre costruì un campo per permettergli di giocare. Per un bel po', è rimasto l'unico campo da tennis in tutto il Tibet, prima che ci costruissero sopra un supermarket. Per fortuna, la federtennis tibetana (sì, ce n'è una) ha poi provveduto a realizzarne uno al coperto. Il padre è stato il primo coach di Top, ma essendo un autodidatta non aveva le idee molto chiare. Per esempio, confondeva lo swing della racchetta con il lancio del giavellotto. Ben presto si rese conto che doveva farsi da parte, così la famiglia si è trasferita a Chengdu, 2.000 km più a est. Fu lì che Nidunjianzan iniziò a giocare a tennis con qualche velleità, innamorandosi del gioco e formando il suo stile sotto l'amorevole guida di coach Dong Guo, una sorta di Dalai Lama tennistico. Gli è ancora legatissimo, e ogni volta che torna in Cina lo va a trovare.

A Bradenton gli assegnarono un alloggio accanto ai campi, laddove veniva svegliato ogni mattina dal grunting di Maria Sharapova e dai colpi puliti di Sebastian Korda e Denis Shapovalov.

Ma il destino era in agguato e si è preso cura di lui sotto le sembianze di Timmy Allin, ex giocatore di livello universitario. Aveva giocato nello Utah e aveva ottenuto una borsa di studio accademica per studiare cinese in una qualsiasi università della Cina. Scelse proprio Chengdu e – a tempo perso – insegnava presso il Chengdu City Club, lo stesso in cui si allenava Top. Proprio in quel momento la famiglia stava cercando qualche occidentale che aprisse Top a una dimensione internazionale. Secondo Allin, in Cina c'è un approccio troppo robotico al tennis. I giovani vengono considerati parte di una catena di montaggio: colpire, colpire, colpire. Non c'è spazio per tattica o fantasia. Così ha invitato Nidunjianzan a Dallas, per fargli conoscere una realtà tutta nuova. Partirono Top e mamma Gasheng, senza parlare una parola d'inglese. L'impatto non fu dei migliori: a causa della povertà linguistica, dissero ai doganieri che volevano restare nel Paese per tre ore anziché tre mesi. Soltanto l'ausilio di un interprete avrebbe risolto l'equivoco.

Era il 2012 e il piccolo Nidunjianzan rimase affascinato dagli Stati Uniti: c'era un mix di razze e culture e, soprattutto, lo avevano accolto come uno di loro. Inoltre si innamorò a prima vista di Subway, la catena di fast food che fa concorrenza spietata a McDonald's. Avendo la necessaria disponibilità economica, la famiglia ha scelto il top: la IMG Academy di Bradenton, uno dei luoghi più iconici del nostro sport. Lo misero in un alloggio accanto ai campi, laddove veniva svegliato ogni mattina dal grunting di Maria Sharapova e dai colpi puliti di Sebastian Korda e Denis Shapovalov. Avrebbe dovuto restarci per tre anni, invece il suo sogno a occhi aperti è durato dieci. Andava a scuola, dedicava un paio d'ore alle lezioni collettive e un'ora extra con Pat Harrison, papà di Ryan e Christian, nonché coach di diversi giocatori di livello. Inoltre doveva occuparsi delle incombenze quotidiane, perché la madre non parlava inglese e la sorella (studentessa a Boston) veniva giusto un paio di volte al mese.

In poco tempo, Nidunjianzan è diventato il miglior tennista della Princeton Unversity

Dopo dieci anni di permanenza, il sentito commiato dell'IMG Academy a Nidunjianzan

Nidunjianzan è stato un discreto tennista junior, accomodandosi al numero 107 ITF. Però non ha mai messo piede nei tornei del Grande Slam. Qualche anno fa, in piena pandemia, si è trovato davanti a un bivio: provare a fare il professionista oppure iscriversi al college? Il Piano A è sempre stato quello di giocare a tennis, ma in pochi riescono a uscire vincenti dall'imbuto. Lui ci ha riflettuto a lungo, poi ha scelto di costruirsi un Piano B in una delle più rinomate università del Paese, la Princeton University, nel New Jersey. L'ha scelta grazie ai consigli di Alam Kam, il suo miglior amico a Bradenton. “Al college puoi giocare tanto e migliorare il tuo gioco, oltre a curare l'istruzione e fare esperienza” gli ha detto Pat Harrison. All'inizio sembrava un passo indietro, invece Top si è integrato benissimo nella nuova realtà fino a diventare il numero 1 della squadra e ottenere il riconoscimento di All Ivy (miglior giocatore delle otto università private del nord-est americano, di cui fa parte Princeton). E così ha mosso i primi passi nei tornei professionistici fino a vincere il suo primo torneo, la scorsa primavera a Huntsville, Alabama.

Lungo il percorso ha battuto un ottimo giocatore come Thai Son Kwiatkowski, certificando la qualità del suo gioco. La scorsa estate, anziché andare in vacanza, ha sfruttato il periodo estivo per giocare alcuni tornei ITF in Europa, compreso uno a Pescara. Ha ottenuto risultati discreti, portandosi al numero 800 ATP. Un problema al polso lo ha bloccato per tutto l'autunno (ma almeno gli ha dato la possibilità di tornare in Tibet, laddove mancava da quattro anni), ma oggi Top è ben deciso a... puntare al top. L'ultimo ranking ATP lo vede in 870esima posizione, ma non è un problema. Per un po' continuerà a fare il tennista-studente, dopodiché proverà a riesumare il Piano A, quello di diventare professionista. È il suo sogno e vuole coltivarlo, magari sfruttando le wild card che di tanto in tanto vengono concesse ai migliori giocatori provenienti dal College. “Il tennis cinese è lontanissimo da dove dovrebbe essere – racconta – il mio sogno è diventare il giocatore che lo porti dove merita”. Zhizhen Zhang, Yibing Wu e (soprattutto) Juncheng Shang gli stanno davanti e stanno apparecchiando un bel futuro. Ma nessuno di loro proviene dal Tibet, laddove si gioca a 5.000 metri d'altitudine e le palline si spaccano all'impatto con la racchetta.