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CONFESSIONE

Il grande assente si chiama Kyrgios. Il depresso

Fermo da quasi un anno, Nick Kyrgios ha fatto parlare di sé per le polemiche via social. Oggi confessa di aver conosciuto la depressione a seguito dei colloqui con alcuni psicologi. “Non potevo vedere un campo da tennis, volevo prendermi un anno sabbatico. Adesso non so se smetterò a 27-28 anni. Si vedrà”.

Riccardo Bisti
16 novembre 2020

Ai tempi dei suoi primi successi, si pensava che Nick Kyrgios sarebbe diventato un habitué delle ATP Finals. Con quel talento lì, unito all'irriverenza nell'affrontare i migliori, l'australiano aveva tutto per una carriera sfavillante. Da allora è passato qualche anno e i numeri sono scoraggianti. Una sola stagione chiusa tra i top-20 (il 2016), appena sei titoli ATP, una finale Masters 1000 (Cincinnati 2017) e due quarti negli Slam, l'ultimo quasi sei anni fa. Mentre Schwartzman, Rublev o gli stessi Tsitsipas e Medvevev si giocano il torneo dei maestri, lui si trova a Canberra dopo aver fatto parlare di sé per le infinite polemiche scatenate su Twitter, soprattutto sul comportamento dei colleghi durante la pandemia. Ha scelto di non giocare nella seconda parte dell'anno, è sceso al numero 45 ATP e non ha perso la verve dialettica. Indossando la canotta dei Milwaukee Bucks, la numero 34 di Giannis Antetokounmpo, fa il punto sul suo presente. Aveva appena terminato una sessione di allenamento in cui aveva spaccato una racchetta e l'aveva lanciata contro una recinzione: tutto regolare. “Rifarei al 100% la scelta di non giocare lo Us Open – attacca l'australiano – non cambierei con nient'altro questo lungo periodo trascorso a casa, davvero”. Il giornalista gli fa una serie di domande sui presunti rimpianti. Darebbe di nuovo dello spione a Boris Becker? “Subito”. Se la prenderebbe ancora con Kitty Chiller (responsabile del comitato olimpico australiano che lo aveva spinto a rinunciare ai Giochi di Rio)? “Sicuro. Si è messa sulla difensiva solo perché ho affermato che è arrivata 14esima nella sua gara di pentathlon”.

E poi c'è il match di Shanghai 2016, uno dei tanking più evidenti nella storia del tennis. “Lo rifarei perché è stato uno dei migliori di sempre” scherza Kyrgios, che si prese otto settimane di squalifica e 25.000 dollari di multa. Ma sa che su questo argomento è meglio esprimersi seriamente, e allora aggiunge: “Lo rifarei perché mi ha fatto capire che avrei dovuto stare lontano da quel torneo. Non faceva per me. Eravamo a fine anno, stavo viaggiando già da parecchio. Avevo raggiunto il picco della mia capacità di giocare ad alto livello. Dovevo tornare a casa e rinfrescare la mente in vista dell'estate australiana. Quindi mi è servito per imparare a gestire meglio la programmazione”. Michael Chammas, autore dell'intervista, racconta di non aver avuto il coraggio di chiedergli un parere sulla polemica con Wawrinka del 2015, quando disse in modo non troppo elegante che Thanasi Kokkinakis aveva avuto una relazione con Donna Vekic, allora fidanzata dello svizzero. Però aggiunge che l'australiano non vive di rimpianti e non dà troppo peso alle opinioni altrui. Ma tutti hanno un punto debole. Per caso, è saltato fuori. “Il mio rimpianto è aver avuto a che fare con uno psicologo dello sport”. Fu costretto a farlo dopo le bizze di Shanghai. Mentre cercava risposte alle sue domande, è finito nella spirale della depressione. “Sentivo che mi stavano dicendo cose completamente sbagliate – dice – mi hanno messo in testa un sacco di cose che non erano vere... sì, me ne pento”.

"Pensavo che non mi sarebbe piaciuto andare oltre i 27-28 anni. Ho tanti acciacchi, ma sento di avere ancora molto nel serbatoio. Se volessi, potrei giocare più a lungo. Vedremo, c'è un grande punto interrogativo" Nick Kyrgios
La fantastica vittoria contro Rafael Nadal a Wimbledon 2014. Qualche giorno dopo, Nick Kyrgios avrebbe perso la nonna

Da lì, il pensiero di mettere da parte il tennis. Una semplice valutazione di costi e benefici: il tennis gli ha dato grandi possibilità, ma gli ha fatto (e gli sta facendo) pagare un costo salato. “Stavo vedendo uno psicologo prima dell'ATP Cup e ho pensato che fosse il momento di prendermi un anno sabbatico”. Come John McEnroe nel 1986, con la differenza che l'americano aveva già vinto sette Slam. Il palmares di Kyrgios è desolante, se rapportato al talento. “Ero arrivato a un punto in cui non potevo guardare un campo da tennis, non avevo sentimenti felici, non volevo esserci. Non avevo nessuna motivazione. Il tennis non mi rendeva felice, anzi, diminuiva la mia energia. Ha avuto un impatto negativo sulla mia vita”. E allora c'è stata l'idea di cercare la felicità altrove. Non voleva ritirarsi definitivamente, ma prendersi una pausa, fare un passo indietro. La decisione stava maturando a marzo, al punto da confidarla a Jack Sock, uno dei suoi amici più stretti nel tour. Poi il mondo è cambiato all'improvviso. “È successo per la motivazione sbagliata, ma forse era il momento giusto per ripartire dalle basi. Ha fatto miracoli anche per Jack. Conosco parecchi tennisti che se la passano male perché hanno avuto problemi con la pressione e le aspettative. I tennisti non conducono una vita normale”.

E allora Kyrgios ha effettuato una sorta di ripristino. Usa spesso questo termine, come se la sua vita fosse un computer o un telefonino da resettare e riportare alle impostazioni di fabbrica. Si è dedicato alle sue passioni, ha respirato l'aria della sua comunità. Belle parole: il tempo ci dirà se questo maledetto 2020 ci ha consegnato una persona nuova. Nel dito medio di Kyrgios è tatuato il numero 74. Si tratta di un omaggio alla nonna Julianah, morta proprio all'età di 74 anni pochi giorni dopo Wimbledon 2014, quando un giovanissimo Nick maramaldeggiò contro Nadal. Per lui, è stata una perdita amara. Negli ultimi tre anni della sua vita, non l'aveva praticamente vista a causa del tennis. “Quando ricevi la notizia inizi a rimpiangere i viaggi e la lontananza. Ti domandi cosa stavi facendo di così importante. Io non sono mai stato a casa, non ho la fortuna degli europei: a loro basta prendere un aereo o un treno e tornare a casa subito dopo una sconfitta. Io non ho avuto quel lusso”. Kyrgios non dice che il tennis non sia importante, ma oggi ha altre priorità. Per esempio, non si arrabbia più di tanto se perde. “Non mi interessa” dice, come a rafforzare il concetto. “Adesso so che cosa voglio dalla mia vita”. A suo dire, il tennis è soltanto un lavoro. “È la piattaforma che mi permette di fare le altre cose che desidero. Io la vedo così”.

Kyrgios è molto amico di Jack Sock: lo scorso marzo, gli aveva confidato che si sarebbe preso una pausa dal tennis. Poi è arrivato il COVID
Per mettere insieme i momenti più significativi della carriera di Kyrgios, l'ATP ha dovuto realizzare un filmato di ben 25 minuti

In una delle tante dichiarazioni strappa-titolo, aveva detto che non avrebbe giocato oltre i 27 anni di età. Alla data limite manca meno di un anno e mezzo. “Avrò comunque diritto alla pensione”, e lì non si capisce se stia scherzando. In Australia si domandano se il suo rientro nel 2021 sarà l'inizio di un lungo tour d'addio. “In effetti, a inizio carriera pensavo che non mi sarebbe piaciuto andare oltre i 27-28 anni – racconta – ho tanti acciacchi, ma sento di avere ancora molto nel serbatoio. Se volessi, potrei giocare più a lungo. Vedremo, c'è un grande punto interrogativo. Potrei scegliere di smettere domani, può sempre capitare qualcosa che mi convinca a dire basta. In questo momento non ho una data in mente”. Attorno a lui, tutto si misura con i numeri. Nella vita quotidiana, ma soprattutto nel tennis. Titoli, vittorie, classifiche. Per lui non è così. Non misura il successo in titoli. “Sono lieto di aver fatto tutto a modo mio, ho dimostrato alla gente che si può fare. Che si sbagliavano a pensare che non potessi. Ho dato la speranza che può esserci un altro modo per arrivare. Ho battuto praticamente tutti, e l'ho fatto a modo mio”. È vero: ha battuto ventuno volte un top-10 (e undici un top-5), ma ci si domanda come sarebbe andata se si fosse comportato in modo convenzionale. Non avremo la controprova. Il suo modo di fare ha attirato parecchie critiche, anche in patria. Quelle sul tennis gli scivolano addosso.

Ma c'è qualcosa che gli dà fastidio: il razzismo, vero o presunto. Nel 2015, l'ex atleta olimpionica Dawn Fraser lo intimò a tornare da dove era venuto. Secondo lui, un vero atto di razzismo. “Sono nato in Australia, sono cresciuto qui e mi occupo sempre di razzismo. Negli Stati Uniti, molte persone di colore mi hanno detto che si sentono rappresentate da me. Per me è davvero così. Affronto sempre queste cose, non c'era neanche bisogno che le prendessi davvero a cuore. Semplicemente, le vivo ogni giorno”. Questo è il Kyrgios attuale. Persona nuova? Lo scopriremo vedendolo sul campo e osservandone gli atteggiamenti. Per adesso, sembra che non voglia dichiarare guerra a nessuno. Nemmeno a quel Novak Djokovic con cui ha polemizzato per la scelta di organizzare l'Adria Tour. “Non mi aspetto situazioni conflittuali, perché giocatori come lui tendono ad avere un team di 5-6 persone che si prendono cura di tutto”. In altri tempi avrebbe cercato il confronto, magari lontano da occhi indiscreti e presunti intermediari. Forse è davvero cambiato, o semplicemente cresciuto. Ma c'è qualcosa che non torna. O meglio, che non è lineare. Non è possibile che Nick Kyrgios sia numero 45 ATP. E non sia mai andato nemmeno vicino a giocare le ATP Finals. Il torneo con in campo i migliori otto tennisti del mondo.