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LA STORIA

Doveva vincere Wimbledon. È finita così

La terza operazione all'anca sembra fatale per Laura Robson, ex baby-prodigio del tennis mondiale. Lo ha comunicato nel giorno del 27esimo compleanno, lasciando intendere che potrebbe non rientrare più. La spavalderia di quando vinceva Wimbledon junior a 14 anni è stata spazzata via da un fisico incredibilmente fragile.

Riccardo Bisti
22 gennaio 2021

Le foto scattate in estate, durante una vacanza in Italia, sembravano raccontare una persona felice. Forse Laura Robson ha capito che la felicità si può trovare anche lontano dal tennis. Nel giorno del 27esimo compleanno, ha annunciato quello che – con ogni probabilità – è il suo ritiro. Lo ha fatto con un post su Instagram, a quasi due anni dall'ultima partita, un malinconico abbandono al torneo ITF di Sunderland, dopo aver incassato un umiliante 6-0 da Harriet Dart. Era già nel dimenticatoio, lontana da chi - 11 anni prima - l'aveva osannata come possibile Nuova Regina di Wimbledon: aveva vinto la prova junior ad appena 14 anni. Lei non faceva niente per calmare le acque, promettendo un futuro da superstar. “Vincerò anche il torneo vero” diceva.

Potrà raccontare di non aver avuto la chance, perché la sua carriera è stata un calvario di infortuni, iniziato quando aveva appena 20 anni. Un delicato intervento al polso nel 2014 l'ha bloccata per un anno e mezzo, poi – dopo essere tornata a metà 2015 – si è dovuta operare di nuovo. Da allora, Laura non è più stata la stessa. Non si è nemmeno lontanamente avvicinata alla 27esima posizione colta nel 2013, quando aveva diciannove anni. L'anno prima aveva conquistato l'argento olimpico, in doppio misto con Andy Murray. Con lo scozzese non condivide solo la medaglia, ma anche il tremendo infortunio all'anca. L'aggettivo ha senso, perché si tratta di un problema-killer per chi gioca a tennis. I due hanno avuto esattamente lo stesso infortunio: un deterioramento della cartilagine nella zona dell'anca. Murray è stato sull'orlo del ritiro ma l'ha evitato con una ricostruzione completa, la Robson sembra aver varcato il Rubicone dell'addio.

ASICS ROMA
"Credo ancora che avesse le qualità per vincere Wimbledon. Guardate la Kvitova, che lo ha vinto due volte: Laura aveva la stessa capacità di portare via la racchetta dalla mano dell'avversaria"
Annabel Croft
Molto popolare in Gran Bretagna, Laura Robson è stata testimonial della catena di palestre Virgin Active

“Purtroppo mi sono operata per la terza volta all'anca la scorsa settimana – ha scritto la Robson – volevo a tutti i costi continuare ad allenarmi, ma soffrivo troppo e così l'intervento è stato inevitabile. Seguendo i consigli del chirurgo e di altri medici, ho scelto di dare priorità alla salute sul lungo termine. Non so cosa accadrà con il tennis, dipenderà da quello che succederà nei prossimi mesi. Ma il mio obiettivo è avere un vita felice e senza dolori. L'intero processo è stato estenuante dal punto di vista mentale”. E via ai ringraziamenti a chi le è stato vicino. Parole tristi, accompagnate da una foto con le stampelle, con un sorriso forzato, in mezzo alla campagna inglese. Parole che profumano di addio. Di testamento tennistico. Di fallimento. La Robson aveva ripreso ad allenarsi a dicembre, ma il carico di lavoro extra ha peggiorato la situazione.

Ritirarsi così, senza la possibilità di giocarsi le proprie carte al tavolo del tennis, deve essere durissimo. Anche perché Laura è sinceramente innamorata del nostro sport. Aveva già pensato al ritiro nel 2018, ma disse che non riusciva a pensare a una vita senza il tennis. Pur di tenere accesa la fiammella, si era concentrata sul doppio. Il problema all'anca è comparso nel gennaio 2018 e per qualche mese ha continuato a giocare, incoraggiata da diagnosi tranquillizzanti ma sbagliate. “Poi ho visto altri medici e mi hanno detto cose diverse” ammise nel giugno di quell'anno. Nemmeno limitarsi al doppio le ha dato serenità, così è arrivata la prima operazione. È tornata nel febbraio 2019 per un totale di tre tornei, poi si è bloccata di nuovo: operazione numero due, a dicembre. Con gioia, qualche settimana fa aveva annunciato la ripresa degli allenamenti. Oggi incassa l'ultima batosta, il terzo indizio che rappresenta la prova, forse definitiva.

Laura Robson mostra la medaglia d'argento colta a Londra 2012, in doppio misto con Andy Murray
La vittoria contro Na Li allo Us Open 2012, una delle migliori prestazioni di Laura Robson

“È stata una delle migliori colpitrici che abbia mai visto su un campo da tennis, era in grado di esprimere una naturale potenza – ha detto Annabel Croft, ultima britannica a vincere Wimbledon junior prima di lei (era il 1984), salvo ritirarsi a 20 anni e diventare apprezzata commentatrice – credo ancora che avesse le qualità per vincere Wimbledon. Guardate la Kvitova, che lo ha vinto due volte: Laura aveva la stessa capacità di portare via la racchetta dalla mano dell'avversaria. Inoltre aveva la mentalità giusta, le piaceva giocare sul Centre Court: credo che per lei sia stata ancora più dura tornare sui campi secondari e nei tornei più piccoli”. Qualcuno si domanda se quel titolo a Wimbledon, nell'anno della storica vittoria di Nadal su Federer, sia stato soprattutto un fardello. Crediamo di no: Laura è stata abituata sin da piccola a convivere con la pressione. Nata a Melbourne, figlia di australiani, si è stabilita in Gran Bretagna a sei anni dopo essere transitata da Singapore. Il suo talento precoce le ha fruttato una firma con Octagon quando aveva 10 anni, poi tramutata (l'anno dopo) in contratti con Wilson e Adidas. Ha battuto ottime giocatrici (Clijsters, Venus, Radwanska, Li) e ha colto una finale WTA, oltre a raggiungere per due volte gli ottavi in uno Slam: Us Open 2012 e Wimbledon 2013.

Quel risultato sembrava lo slancio giusto per il definitivo salto di qualità, invece si è tramutato in un inatteso canto del cigno. Doloroso riconoscerlo, se avviene ad appena 19 anni. Da allora, Laura ha trascorso più tempo a riprendersi dagli interventi chirurgici che sul campo da tennis. Sul campo non si è più ripresa, battendo appena una top-100 negli ultimi sette anni (Varvara Lepchenko a Birmingham, nel 2016). “La classe non ti abbandona mai, ma gli infortuni rendono tutto più difficile se non sei in grado di allenarti – dice la Croft, intervistata dal Telegraph – inoltre lei aveva qualche problema di mobilità perché è piuttosto alta, direi un fisico alla Lindsay Davenport. E se sei costantemente bloccata, è difficile migliorare la parte atletica”. Negli ultimi anni si è fatta notare come commentatrice e opinionista, mostrandosi piuttosto brillante. Chissà che non possa seguire le orme della Croft. Non sarebbe male, per chi ha scelto di mettere la salute al primo posto. Ma che malinconia, per lei. Che tristezza, per chi si era fatto abbagliare dal suo dritto lungoliniea.