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LA STORIA

Era il principe del topspin. Fu costretto al ritiro a 22 anni

Molti pensano che Kent Carlsson fosse destinato a vincere il Roland Garros. Icona degli anni 80, giocava un tennis molto personale, ma è stato costretto al ritiro ad appena 22 anni a causa dei guai alle ginocchia. Lo avevano definito Il Principe del topspin. Oggi alleva cavalli da competizione e non sopporta i tennisti di oggi: “Troppo viziati”.

Riccardo Bisti
2 agosto 2020

“Se la rete del tennis fosse alta come quella della pallavolo, sarebbe il più grande di tutti i tempi”. Parola di Bud Collins. Qualcuno pensa che Kent Carlsson avrebbe vinto almeno un paio di Roland Garros, se solo il ginocchio lo avesse lasciato in pace. Invece la sua vicenda si è interrotta bruscamente a 22 anni, costretto a un ritiro precoce, previsto ma non contemplato. Una volta gli dissero che aveva le ginocchia di un 70enne, conseguenza di uno squilibrio esistente dalla nascita. Una gamba era più lunga rispetto all'altra: 3 centimetri che hanno impedito al biondo di Eskilstuna di raccogliere quello che avrebbe meritato. Quello che credeva di raggiungere. E quello che pensavano gli sponsor: il noto marchio di racchette Prince gli dedicò una pubblicità in cui lo definiva Il principe del topspin. All'epoca non c'era occhio di falco, ma sarebbe stato interessante conoscere i giri al minuto del suo dritto. C'è da credere che non fossero troppo distanti dai 3.600 di Rafael Nadal. Pure lui sofferente al ginocchio, il maiorchino ha avuto la fortuna di nascere diciotto anni dopo e preservarsi grazie a medicina, progresso e fisioterapia. Niente a che vedere con il povero Kent, icona dei magici anni 80. Ok, il decennio ha offerto tennisti più vincenti e carismatici, ma fermatevi a guardarlo. Con quei capelli lunghi, biondissimi, non sarebbe stato perfetto per gli Europe o una qualsiasi band di quegli anni? D'altra parte, erano gli anni dell'hair metal... Ma il giovane Kent non aveva tempo per le frivolezze. Fin da piccolo, aveva dovuto sudare per ottenere i suoi risultati.

Cresciuto in pieno Borg Boom, passava giornate intere presso il TK Hobby. I campi erano sempre occupati, così si limitava a giocare contro il muro. Ma appena si liberava uno spazio, lui e i suoi amici si fiondavano in campo. “A 7 anni, pur essendo così piccolo, mi diedero una deroga per accedere alla scuola tennis”. Ci videro giusto, perché Carlsson era pressoché imbattibile. Prima in Svezia (ha vinto 4 volte la Kalle Anka Cup, importante torneo locale, record assoluto), poi in Europa (è stato campione europeo per tre anni di fila), infine nel mondo. A 15 anni batteva i più grandi, ma la federtennis svedese voleva fargli giocare l'Orange Bowl under 16. Dopo una serie di insistenze, soprattutto di papà Lars Goran, poté giocare tra gli under 18. Vinse il torneo battendo in finale Emilio Sanchez. Come se non bastasse, avrebbe vinto il Roland Garros junior ad appena sedici anni, nel 1984. L'anno dopo era già tra i top-50 ATP. Sembrava la naturale evoluzione di Borg e Wilander grazie a un dritto molto personale, dal topspin esasperato, figlio dell'evoluzione dell'attrezzatura. Il problema, tuttavia, riguardava le ginocchia. Aveva 13 anni quando un medico, il dottor Jan Ekstrandt, lo avvisò che presto sarebbero arrivati i problemi. “La tua unica speranza è curare a dovere le ginocchia”. Gli credette a metà, continuando ad allenarsi come un forsennato, ma con un accorgimento: passava soltanto due ore al giorno sul campo da tennis. Per il resto faceva palestra, esercizi, rafforzamento muscolare.

"Se la rete del tennis fosse alta come quella della pallavolo, Kent Carlsson sarebbe il più grande di tutti i tempi" 
Bud Collins

Nel suo magico 1988, Kent Carlsson ha vinto cinque tornei. Il più importante ad Amburgo, in finale su Henri Leconte

Per un po' ha retto, ma il primo crack è arrivato ad appena 19 anni, quando si fece male durante un match contro Mecir, a Indian Wells. Fu la sua ultima partita lontano dalla terra battuta. Andò avanti per un po', ma il 25 agosto 1987 fu costretto a operarsi: legamenti e cartilagine del ginocchio sinistro. In tutta la carriera, ha giocato appena 13 match sulle altre superfici. Non lo ricordano in molti perché ha vissuto l'anno d'oro nel 1988, quando la Svezia dominava il tennis. Mats Wilander vinse tre Slam, Stefan Edberg si impose a Wimbledon. E Carlsson? Fece razzia di successi sulla terra battuta. Vinse cinque tornei (il più importante ad Amburgo) su sette finali, raccogliendo un bilancio di 50 vittorie e 8 sconfitte. Quei risultati lo portarono al numero 6 ATP. A fine stagione, la Svezia aveva dodici top-100. L'anno prima, al Roland Garros c'erano la bellezza di ventidue svedesi. Avete letto bene: ventidue. Il suo grande rimpianto riguarda il Roland Garros: aveva i numeri per arrivare in fondo, ma quell'anno si incagliò negli ottavi contro un altro connazionale, il non irresistibile Jonas Svensson. L'anno dopo, il ginocchio (protetto da un'enorme fasciatura) riprese a scricchiolare. Nel 1989 si presentò a Kitzbuhel, perse al secondo turno e non sapeva che sarebbe stato il suo ultimo torneo.

Si operò ancora una volta, stilando un ambizioso piano per ritrovarsi. “7-8 ore al giorno, per sei giorni a settimana. Mi sentivo fortissimo”. Avrebbe dovuto riprendere nel 1990, al torneo di Monte Carlo (dove nel frattempo si era trasferito). Non fece in tempo, perché si fece di nuovo male, nel modo più banale: uscendo dall'auto, prima di recarsi al ristorante. “In quel momento ho capito che era finita. Sono andato dai miei genitori e dal mio coach Lasse Eriksson per comunicare la decisione”. Scelta dura ma inevitabile, perché le sue ginocchia non erano più in grado di sorreggerlo. Lasciò nell'indifferenza, anche perché la Svezia era il bengodi del tennis. Pochi si preoccuparono di lui. Chi lo fece, puntò il dito contro il padre. Troppo severo, lo avrebbe sottoposto a carichi di allenamento e pressioni eccessive. Carlsson non l'ha mai mandata giù: “Prima di tutto, senza i miei genitori non sarei arrivato così in alto – dice, stizzito – mio padre era una persona gentile, ha fatto di tutto per me. Dicevano che era un padre padrone, che mi spingeva troppo. Falso: ero io a mettermi pressione, se c'era qualcuno che mi suggeriva di rallentare, era proprio lui. Io mi sono bruciato a causa del tennis”.

A 30 anni dal ritiro, Kent Carlsson si occupa di un allevamento di cavalli insieme alla moglie
Al Roland Garros non è mai andato oltre gli ottavi. Nel 1987 ha perso contro Yannick Noah
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    Le partite giocate da Kent Carlsson su una superficie diversa dalla terra battuta. Dopo l'infortunio del 1987, ha abbandonato i campi in cemento.

Ne parla con commozione, anche perché il padre è scomparso tanti anni fa, nel 1993, a causa di un tumore. Glielo comunicarono nel 1988, subito dopo la sconfitta in finale di Davis contro i tedeschi (quella dell'incredibile sconfitta di Wilander contro Carl-Uwe Steeb). “Tutto nacque con un melanoma. Prendeva troppo sole, nessuno gli disse che era pericoloso e il problema si è diffuso in tutto il corpo. Ha lottato per cinque anni, poi si è arreso nel 1993”. Ancora oggi gli capita di preparare i pasti e portarli a mamma Annemo e al suo nuovo compagno: amore, oltre a senso di riconoscenza. Molto prima di Dustin Brown, furono proprio i Carlsson a lanciare la moda del camper a funzione tennistica. Da ragazzino, nella sua città non aveva margini di crescita. Gli suggerirono di spostarsi a Bastad, tempio del tennis svedese. Per ridurre i costi, i genitori comprarono un camper e vi trascorsero un'estate intera. “Siamo stati ospiti in un campeggio di Bastad e ci trattarono benissimo, era come una grande famiglia” ricorda con commozione il tennista che – sia pure con una carriera breve – vanta una percentuale sul rosso migliore rispetto a Courier, Bruguera, Kuerten, Moyà e Ferrero.

Il punto di riferimento della sua vita rimane la moglie Elisabet: si sono incontrati nel 1986 mai più lasciati, condividendo gloria, popolarità e progressivo oblio. Adesso si sono dedicati ai cavalli. Nel 1995 hanno acquistato una fattoria nei pressi di Eskilstuna e sono arrivati ad avere 15 puledri da competizione. “Questo lavoro è diventato uno stile di vita. Mia moglie è addestratrice, mentre io seguo più la parte amministrativa. È dura come quando giocavo, ho preso questo lavoro molto sul serio”. I lunghi capelli biondi sono scomparsi, la silhouette non è più quella di un tempo, ma i ricordi rimangono. E con loro i rimpianti. Dopo il ritiro, ha pressoché abbandonato il tennis. Sul finire degli anni 90 ha allenato un paio di finlandesi (Niklas Kroon e Aki Rahunen): non è andata bene e si è progressivamentre allontanato. “Oggi non lo seguo molto. E sapete perché? Non mi piacciono i tennisti di oggi, sono troppo viziati. Ai miei tempi stavamo in 4-5 in una stanza d'hotel, magari al freddo. E si stava bene”. Altri tempi, altro tennis. Altre persone.

Kent Carlsson ha giocato 17 finali ATP, vincendone nove