THE SPECIALS

Italia batte Federer

Battere Roger Federer è qualcosa di speciale, che sia avvenuto in un torneo del Grand Slam o in eventi del circuito ETA under 14. Undici giocatori italiani possono vantare un successo sul fuoriclasse svizzero, solo Uros Vico addirittura due. Abbiamo rivissuto con loro quell’emozione

di Marco Caldara
15 dicembre 2020

Roger Federer ama l’Italia, dove ha vinto il suo primo torneo (Milano 2001), ha spesso passato le sue vacanze (Capri è tra le sue mete preferite) e trovato anche uno sponsor che gli ha offerto denari (ma non crediamo siano più uno stimolo, con i guadagni in carriera che avvicinano il miliardo di euro) ma anche esperienze diverse (vedi qui e qui), anche per chi vive un’esistenza non esattamente avara di emozioni. Roger non è però stato granché accondiscendente quando ha dovuto affrontare giocatori italiani sul campo; spulciando negli archivi, dai tornei giovani agli Slam, solo in dodici occasioni Federer è uscito sconfitto, in gran parte quando era ancora ragazzino. Marco Caldara li ha rintracciati per rivivere insieme un ricordo così speciale.

1995, Diego De Vecchis, ETA U14 Annecy (Francia) – 1° turno tabellone di consolazione, 6-3 6-2
«Ricordo di aver detto ai miei compagni di trasferta: menomale che gioco con questo Federer, così forse una partita la vinco». A parlare è Diego De Vecchis, coetaneo di Roger, che lo trovò sulla propria strada nel 1995, al torneo under 14 Les Petits Princes ad Annecy, in Francia. «Perdemmo entrambi al primo turno del main draw, così finimmo nel tabellone di consolazione. Ero felice di affrontarlo, Roger giocava già molto bene ma commetteva un sacco di errori. Al tempo mi sentivo nettamente più forte». In effetti, da under 14 il romano è stato fra i primi del mondo (insieme a gente come Hewitt, Rochus e Mathieu) e aveva ragione. Vinse 6-3 6-2 e poi pure il torneo di consolazione. «Ma il ricordo più curioso è di un’altra partita con Roger, al Trofeo Bonfiglio del 1997. Ci affrontammo al primo turno delle qualificazioni. Persi il primo set 6-4, poi salii 6-1 4-1 ma il match girò di nuovo e finimmo al tie-break. Sul 2-0 per lui, da fuori qualcuno ci gridò che al terzo set non era previsto il tie-break. Lo feci presente all’arbitro, ma ormai l’avevamo iniziato e bisognava finirlo. Roger serviva meglio di me, e lo vinse lui». Lo svizzero avrebbe poi superato le qualificazioni e raggiunto i quarti, iniziando a mostrare la stoffa del campione. De Vecchis, invece, non è mai entrato fra i primi 1.000 del ranking ATP e ha smesso ad appena 25 anni, arrendendosi all’ennesimo infortunio. Dopo l’addio ha cercato fortuna all’estero, insegnando per qualche tempo al Palm Beach Resort alla Maldive, prima di far rientro in Italia. «Tantissimi dei ragazzi che giocavano con noi da under sono arrivati in alto. Penso a Lopez, Robredo, Nalbandian, Youzhny, Melzer. È stata dura vedere che loro ci sono riusciti e noi no, forse siamo stati gestiti in maniera diversa dalla Federazione: a quel tempo facevano ancora qualche errore a livello strutturale». E Federer? «L’ho rivisto nel 2006, anno della finale al Foro Italico contro Nadal. Arrivò a Roma il giovedì per prepararsi al torneo e tramite Vittorio Selmi (allora tour manager dell’ATP, ndr) ci allenammo insieme. Si ricordava dei nostri match da ragazzini».

1995 e 1996, Uros Vico, Winter Cup U14 San Miniato (Pisa), finale 3°/4° posto, 6-4 6-2 e ETA U16 Torino, primo turno, 7-5 6-2
In Italia, lo scettro di anti-Federer appartiene al suo coetaneo Uros Vico, ex grande scommessa di Riccardo Piatti. Il romano di origini croate, numero 166 del mondo nel 2004 e poi coach di alcuni giocatori pro, è l’unico azzurro ad aver superato Roger per due volte, nel 1995 e nel 1996. La prima all’ormai scomparsa Winter Cup di San Miniato, una sorta di campionato a squadre under 14 per nazioni, che ha portato nel Pisano tutti i Fab Four e non solo. «Era la finale per il terzo posto, quindi non contava granché. Fu un match molto tranquillo, vinsi in due set (Federer tornò a casa con un bilancio di zero vittorie e 10 sconfitte fra singolare e doppio, ndr). Poi affrontai di nuovo Roger l’anno dopo, in un torneo ETA under 16 a Torino. La caratteristica principale di quel Federer era che con servizio e dritto lasciava già fermi gli avversari, cosa molto rara a quell’età, in quanto tutti tendono a tenere un po’ di più. Lui invece giocava in maniera diversa, cercava sempre il vincente e di dritto tirava proprio forte». Però aveva anche delle lacune importanti: «Di rovescio faceva fatica, giocava spessissimo il back e sbagliava parecchio. Mi ricordo che vinsi quei match attaccandolo molto spesso sul rovescio e andando a rete. Era molto nervoso, a Torino spaccò anche una racchetta». Insomma, di certo non ci si aspettava un uomo da 20 Slam. «Il fenomeno della nostra generazione era Olivier Rochus, che al tempo scherzava tutti. Federer era più indietro. Ma a 16/17 anni ha fatto un grande salto di qualità: quando lo affrontai di nuovo a fine 1998, in un Satellite in Svizzera, ci persi nettamente. Era cresciuto tantissimo». Federer e Vico si sono incrociati di nuovo nel 2005, negli spogliatoi a Indian Wells. «Avevo giocato le qualificazioni ed ero lì con Ivan Ljubicic che aveva perso negli ottavi proprio contro Roger». Dopo il match, i due andarono insieme a fare un massaggio e Vico si fermò con loro. «Chiacchierammo un po’ e Roger si ricordava di tutti i nostri incontri, anche di alcuni doppi che io avevo completamente rimosso. Invece di essere io a ricordarmi i match con lui, era il contrario. Incredibile».

«Ricordo di aver detto ai miei compagni di trasferta: menomale che gioco con questo Federer, così forse una partita la vinco» Diego De Vecchis

1997, Davide Bramanti, ITF under 18 Firenze, primo turno, 6-4 3-6 7-6
«Quel giorno me lo ricordo perfettamente. Eravamo al torneo under 18 del Circolo Tennis Firenze e dopo il sorteggio mi avvicinò Giancarlo Palumbo, che seguiva noi giovani per conto della Federazione, e mi disse: Davide, non siamo stati tanto fortunati, giochi contro uno svizzero fortissimo. Mi venne da ridere e risposi; vediamo, domani si entra e si gioca». E Davide Bramanti, classe 1979 da Pietrasanta, quel match lo giocò e lo vinse, al tie-break del terzo set: «Eravamo sul campo accanto alla club house e c’era un sacco di gente accorsa a vedere quel ragazzino di cui si parlava così bene. Ricordo Mario Belardinelli attaccato alla rete che mi incitava e gridava come un matto, sorvolando su ciò che mi diceva! Fu una grande partita, giocai benissimo, mentre Federer in quel periodo era ancora un po’ nervoso, lanciava spesso la racchetta, faceva un po’ di show. Non potrò mai dimenticarmi il tie-break del terzo set: lo vinsi 7-0, con Roger che tirò sette missili fuori, alcuni direttamente sul telone di fondo. Una cosa incredibile. Però si vedeva che ci sapeva fare, tanto che dopo un mese vinse a Prato». Quel torneo fu il primo ITF under 18 finito nella bacheca di Federer, ma anche una grossa macchia nella crescita di Bramanti. «Giocavo contro il povero Luzzi negli ottavi di finale e praticamente mi spaccai una spalla. Mi dovetti operare e da quel momento qualcosa è cambiato. E pensare che a detta dei maestri federali la classe 1979 poteva diventare la migliore nella storia del tennis azzurro: avevamo alcuni degli junior più forti del mondo». In effetti c’era anche Florian Allgauer, forse la più grande speranza mai sbocciata del nostro movimento. Il biondo di Brunico ha smesso a 24 anni, Bramanti non ha mai iniziato. E quel best ranking da numero 1.121 ATP grida vendetta. «Ho visto gente che battevo arrivare molto avanti, mentre io ho dovuto smettere per problemi alla schiena. Mi dispiace per il tennis, ma pazienza. Lavoro nell’agenzia immobiliare di mio padre a Forte dei Marmi e sono felice così. Ho pur sempre battuto il più forte giocatore di tutti i tempi, non sono in molti a poterlo dire».

1997, Filippo Messori, ATP Gstaad (Svizzera), primo turno qualificazioni, 5-7 7-5 7-6
Il rapporto fra Roger Federer e l’ATP di Gstaad è noto soprattutto per le due mucche ricevute in omaggio dagli organizzatori dopo i successi nel 2003 e 2013, mentre in pochi ricordano che nel torneo sulle Alpi svizzere Roger ha giocato il primo match in carriera a livello ATP, quando non aveva ancora compiuto 16 anni. Non risulta nemmeno nella sua activity sul sito ATP, ma gli archivi dell’ITF non mentono; e poi se lo ricorda molto bene anche lui: «Il mio primo match ATP è stato nel 1997, nel torneo di qualificazione di Gstaad. Persi 7-6 al terzo da un italiano». Quell’italiano è Filippo Messori, modenese, best ranking 138 nel 1996. Da anni vive in Olanda, dove ha trovato moglie: prima ha insegnato al Lawn Tennis Club De Meent di Bussum, ora al Coronel Sports, sempre a una manciata di chilometri da Amsterdam. «Di quella partita non mi ricordo praticamente nulla. Anzi, a dire la verità ho scoperto di aver giocato contro di lui un giorno di tanti anni fa, quando la mia carriera era già finita, guardando un suo match in tv. Il commentatore, non ricordo se Rino Tommasi o Giampiero Galeazzi, elencò i giocatori italiani capaci di battere Federer e fece anche il mio nome. Non ci volevo credere: andai subito a controllare su Internet ed era tutto vero». I due si sono rivisti oltre dieci anni dopo, in un ristorante romano, un tempo di proprietà della famiglia di Vincenzo Santopadre: «Roger si ricordava perfettamente di aver giocato e perso contro di me. Si è rivelato una persona molto educata e simpatica». Per un italiano che emigra all’estero e riprende quasi da zero, vantare una vittoria contro Federer è un buon biglietto da visita: «Da quando sono arrivato qui, nel giro di una settimana e senza che io dicessi nulla, lo sapevano tutti: la cosa impressiona molto i ragazzini. Sono contento di averlo battuto ed è una cosa piacevole, ma non va dimenticato che lui era solo all’inizio della sua splendida avventura tennistica, mentre io ero già piuttosto esperto. A me rimane il piacere di essermi divertito a girare il mondo giocando a tennis, mentre lui ha scritto una pagina importante di questo sport, se non la più importante».

«Il fenomeno della nostra generazione era Olivier Rochus, che al tempo scherzava tutti. Federer era più indietro. Ma a 16/17 anni ha fatto un grande salto di qualità» Uros Vico

1997, Daniele Balducci, Satellite Svizzera 1, week 3, Sierre, semifinale, 6-3 6-2
«Ricordo di aver chiamato la mia fidanzata la sera prima del match, dicendogli qualcosa come domani gioco contro un ragazzino di undici anni in meno, se perdo potrebbe essere giunta l’ora di smettere». Dall’altra parte della cornetta c’è Daniele Balducci, ex top 200 oggi responsabile dell’attività dello Sporting Club Montecatini. A causa di qualche problema fisico, in quel 1997 era sceso in classifica, così a fine anno andò in Svizzera a disputare uno degli ormai scomparsi Satelliti, circuiti di tre tornei (paragonabili agli attuali Futures) con Master finale. «Giocavamo indoor a Sierre, vicino a Crans Montana. Eravamo in semifinale, quindi significava che Federer era già un ragazzino molto valido, ma vinsi facilmente. Ricordo che lo stile di gioco era identico a quello attuale, ovviamente con le dovute proporzioni, visto che aveva appena 16 anni. In quel momento doveva fare il salto, ma era ancora un po’ insicuro. Peter Lundgren, il suo coach di allora, l’ha forgiato dal punto di vista mentale, facendolo maturare tantissimo. Credo abbia recitato un ruolo fondamentale». Al tempo si intravvedevano le qualità del futuro campione, ma nessuno avrebbe immaginato che sarebbe diventato il Roger Federer che conosciamo, nemmeno in Svizzera: «Non se lo aspettavano nemmeno loro, ricordo che non ci fu una particolare affluenza di pubblico. Avevano un buon gruppo di giovani e Roger era la punta di diamante, ma non c’era chissà quale clamore intorno al suo nome. Ci sono un sacco di componenti che entrano in gioco e ne abbiamo visti tanti di ragazzi fortissimi a 16 anni che non sono riusciti a sfondare. Non tutti possono diventare numeri uno». La curiosità? Balducci si qualificò per il Master grazie a una vittoria e due finali nelle tre tappe, ma nel torneo decisivo perse ai quarti. Contro? Severin Luthi, divenuto poi amico e coach di Federer. «Era inferiore a Federer ma pur sempre un buon giocatore. Nel complesso conservo un bel ricordo di quel successo, anche se era abbastanza normale che vincessi io. Qualche mese prima ero nei top 200, mentre Roger aveva solo 16 anni. Mi ha fatto piacere vederlo arrivare così in alto, è indubbiamente il mio giocatore preferito».

«Di quella partita non mi ricordo praticamente nulla. Ho scoperto di aver giocato contro di lui quando la mia carriera era già finita e, guardando un suo match in tv, il commentatore elencò i giocatori italiani capaci di battere Federer e fece anche il mio nome. Non ci volevo credere: andai subito a controllare su Internet ed era tutto vero» Filippo Messori

1999, Laurence Tieleman, ATP Challenger Heilbronn (Germania), semifinale, 7-5 6-1
La prima semifinale di Federer a livello Challenger risale al 1999, a Heilbronn, in Germania. Partito dalle qualificazioni, vinse sei match battendo solo avversari di livello, su tutti Stepanek, Pescosolido e Caratti. A vendicare i due italiani, ci pensò Laurence Tieleman, un (allora) 26enne di mamma romana e padre belga, nato a Bruxelles e cresciuto a Bradenton da Bollettieri, ma che giocava per l’Italia: «Ricordo che il match era stato programmato alla sera perché c’era molto interesse intorno a Federer. Avevo sentito parlare di lui, ma non l’avevo mai visto, così andai a seguire il suo match di quarti di finale. Aveva un timing eccezionale sul dritto, un servizio già efficace e in campo era molto elegante. Pensai che non sarebbe stato facile, ma notai che aveva qualche difficoltà col passante di rovescio». Così, il giorno seguente attaccò molto (e bene) da quella parte e vinse 7-5 6-1. «Era la mia unica chance di batterlo, non dovevo dargli ritmo perché ogni volta che toccava la palla di dritto vinceva il punto. Ricordo che giocava con una Pro Staff da 85 pollici, la palla gli usciva dalle corde come un razzo. Il suo gioco era già completo, era un giocatore migliore rispetto ai teenager di oggi». Dopo il match, Peter Lundgren andò da Tieleman a complimentarsi per la strategia, «e io gli dissi che quel giovane sarebbe diventato molto forte. Ma non mi sarei mai aspettato diventasse colui che, secondo me, è il migliore di sempre». La settimana dopo Roger giocò l’ATP di Marsiglia e batté Carlos Moya, numero 5 ATP: «È stato l’inizio di una carriera incredibile». Quella di Tieleman, invece, è finita tre anni dopo, con un best ranking da numero 76 e una finale al Queen’s come miglior risultato. «Poi ho voltato pagina e ho curato i business di famiglia: Nonna Nini, un bar-ristorante gestito da mia cognata ad Assisi, di cui vado molto fiero». Poi si è trasferito negli States, a Miami, a dare una mano alla squadra della University of Miami e per aiutare suo fratello Henri-James nella sua compagnia Ecoloblue, di cui è co-proprietario con Wayne Ferreira (ex n.6 ATP, ndr). La società si occupa di macchine che producono acqua potabile partendo dall’umidità dell’aria».

1999, Gianluca Pozzi, primo turno World Group Coppa Davis, Svizzera-Italia, Neuchatel, singolare a risultato acquisito, 6-4 7-6
Un italiano nel suo primo match ATP, un italiano nella sua prima semifinale Challenger e un italiano (anzi, due) anche nel suo esordio in Coppa Davis, nel 1999 al Patinoires du Littoral di Neuchâtel, Svizzera francese. È il primo turno del Gruppo Mondiale e la nazionale elvetica dell’allora CT Claudio Mezzadri chiude i conti già al sabato, anche grazie alla vittoria in quattro set di Federer su Sanguinetti. Roger salta il doppio ma torna in campo la domenica, nell’ultimo match, contro Gianluca Pozzi: «Giocammo a risultato acquisito – racconta il barese, best ranking al numero 40 del mondo – ma in Coppa Davis non vuole mai perdere nessuno. Roger era già noto al grande pubblico, aveva raggiunto i quarti di finale in un evento importante come Marsiglia e nella prima giornata batté Sanguinetti. Che fosse forte di sapeva, ma aveva comunque 18 anni, era un pochino irregolare». Quel tanto che è bastato al mancino pugliese per batterlo, 6-4 7-6. «Ricordo un match teso, lottato. Andai sotto di un break, ma lo recuperai e vinsi di misura. Poi ci giocai un annetto dopo a Copenaghen e persi 6-3 al terzo. Era cresciuto molto e poi è andato sempre più su. Mi è capitato talvolta anche di frequentarlo ai tornei, ci siamo allenati insieme alle Olimpiadi di Sydney nel 2000. Magari diceva qualche cazzata in più, ma nonostante fosse giovane, come giocatore era già maturo». Eppure, ad altissimi livelli i suoi coetanei come Hewitt e Ferrero (anche se quest’ultimo ha un anno in più) ci sono arrivati prima: «Credo ci abbia messo un tantino di più a causa del suo gioco molto più vario. Da una parte è ovviamente un vantaggio, però non è semplicissimo capire quando fare determinate cose. Tuttavia, si vedeva che sarebbe diventato uno dei più forti. Impossibile dire quanto, perché entrano in gioco tantissime componenti e dipende anche dall’evoluzione mentale della persona. Lui è andato sempre migliorando. Non si arriva a certi livelli se, sportivamente parlando, non si ha una mente fuori dalla norma. Come lui, come Sampras».

2002, Davide Sanguinetti, ATP Milano, finale, 7-6 4-6 6-1
Il rapporto con l’Italia del giovane Federer proseguì con il suo primo titolo ATP, nel 2001, al tanto rimpianto evento indoor di Milano. Lo stesso dove arrivò in finale anche dodici mesi dopo, arrendendosi a sorpresa a un Davide Sanguinetti in grande spolvero: «Fu una finale tutt’altro che scontata – raccontò il compianto Cino Marchese, ex manager IMG che spinse (con successo) per riportare il grande tennis a Milano – perché non era previsto che Sanguinetti arrivasse fino in fondo. Ma era in un momento magico, riuscì a giocare un tennis meraviglioso e meritò quel titolo», il primo in carriera per l’allora 29enne viareggino, poi salito fino alla posizione numero 42. «Un risultato anomalo, ma ogni tanto nella sua carriera Federer è incappato in queste giornate un po’ così, nelle quali perde dei match da vincere – disse ancora Cino -. Scherzando, un giorno glielo dissi: mi fai incazzare quando perdi certi punti. Sei come mio padre, mi rispose». Non è un caso che Federer del torneo del Palalido ricordi sempre con molto piacere l’edizione 2001, vinta in finale contro Boutter, ma di quella del 2002 non dica mai nulla. «E ci credo, dopo la sconfitta si sarebbe ammazzato. Tuttavia è rimasto un episodio: Federer è diventato uno dei più grandi della storia, per trovare uno come lui bisogna tornare ai tempi di Rod Laver, mentre Sanguinetti non è andato molto più in là – disse ancora Marchese -. Sono stato per tanti anni a capo del gruppo di recruiting di IMG, quando l’azienda era ben strutturata in tutti i paesi. Ricordo che andavamo all’Orange Bowl con i rappresentati delle varie nazioni e quando vedemmo per la prima volta Federer non esitammo un attimo a capire che sarebbe diventato un grandissimo». Tanto che poi, qualche anno dopo, a Milano decise di investire proprio su di lui: «Insistetti con Franco Bartoni (l’allora direttore del torneo, ndr) per portare Roger a Milano, offrendo allo svizzero una piccola garanzia. ;a assicurai che sarebbero stati soldi ben spesi».

«Ci siamo rivisti durante un match di Champions League del Real Madrid. Io lavoravo per un’azienda che sponsorizzava la squadra, lui era fra gli ospiti. Ci siamo incrociati e gli ho ricordato che era 1-0 sotto contro di me. "Certo, io non dimentico nessuna partita", mi rispose ridendo» Andrea Gaudenzi

2002, Andrea Gaudenzi, Internazionali d’Italia, Roma, primo turno, 6-4 6-4
«Personalmente, ritengo che lo svizzero, prima o poi, vincerà Wimbledon» scriveva Gianni Clerici nel suo pezzo dell’8 maggio 2002 sulle pagine di Repubblica. Lo svizzero in questione, ovviamente, era Roger Federer, che il giorno prima aveva salutato al primo turno gli Internazionali d’Italia, battuto 6-4 6-4 da Andrea Gaudenzi. Il commento dello Scriba la dice lunga: era già il Federer che conosciamo noi o quasi, tanto che la settimana successiva avrebbe vinto ad Amburgo il suo primo Masters Series. Ma Gaudenzi, nonostante una piccola contrattura alla coscia, sfornò quella che al tempo definì la sua «miglior prestazione dell’anno», accorciando gli scambi, penetrando col dritto e spedendo il giovane Federer a casa all’esordio. «Sono passati tanti anni e sinceramente non ho particolari memorie di quell’incontro. Ricordo che di Federer si parlava benissimo, era già numero 5 del mondo (in realtà 11 ma poco cambia, ndr) e aveva una grande facilità di gioco, era veloce e molto equilibrato. Che sarebbe diventato un campione Slam si sapeva. Ma, come diceva Ivan Lendl di Pete Sampras, si poteva vedere come colpiva la palla, non leggergli la mente. Bisogna tenere un livello altissimo per tanti anni e lui ci è riuscito». Va Il match si ricorda anche per un dettaglio tecnico: per la prima volta, Federer giocò con un’incordatura ibrida al contrario, cioè col budello sulle corde verticali: «Non un grande inizio» disse una volta, dimostrando una certa ironia. Ma quel martedì, a Roma il pubblico non dovette nemmeno scaldarsi più di tanto: il dottor Gaudenzi (è laureato in giurisprudenza) controllò il match dall’inizio alla fine, concedendo una sola palla break: «Fu un match talmente tranquillo che non si prestava nemmeno a chissà quale baccano. Ricordo il match point, una risposta vincente lungo linea di dritto, qualcosa che non mi capitava molto spesso (ride, ndr)». Gaudenzi e Federer si sono rivisti anche in ambito calcistico: «Non ricordo se era il 2007 o il 2008, durante un match di Champions League del Real Madrid. Io lavoravo per un’azienda che sponsorizzava la squadra, mentre lui era fra gli ospiti. Ci siamo incrociati fra primo e secondo tempo nella sala hospitality e abbiamo fatto qualche chiacchiera. Lo sai che sei 1-0 sotto contro di me?, gli dissi. Certo, io non dimentico nessuna partita, mi rispose ridendo. Sempre preciso, gentile e molto cortese».

2007, Filippo Volandri, Internazionali d’Italia, Roma, ottavi di finale, 6-2 6-4
«Il pubblico mi vedrà sputare sangue, anche dovessi perdere 6-2 6-2». Parola di Filippo Volandri, alla vigilia del suo match contro Roger Federer negli ottavi di finale degli Internazionali d’Italia, maggio 2007. Per il nostro tennis si annunciava come la peggiore edizione da anni: nessun azzurro era entrato in tabellone per diritto ma una delle quattro wild card regalò al pubblico una favola indimenticabile. Volandri, numero 1 d’Italia ma fuori dai top 50, batté prima Gabashvili e poi Gasquet, presentandosi carico contro Federer. E vicino a perdere 6-2 6-2 ci andò il numero uno del mondo, che con 44 errori gratuiti si arrese in 78 minuti, offrendo all’Italia maschile la quarta vittoria di sempre contro il leader della classifica ATP. Tempi lontani quando Panatta batté Connors per due volte, mentre Pozzi superò Agassi al Queen’s solo per ritiro dello statunitense; invece, il livornese (coetaneo di Roger) ha potuto godersi la libidine del match point, nel posto più bello in cui un italiano possa sognare di battere il più forte. «Colpa mia, ma anche merito di Filippo - l’omaggio del numero uno del mondo -. Mi ha reso le cose complicate sin dall’inizio, non ha sbagliato nulla. Giusto criticare la mia prestazione, ma avevo contro un avversario che ha fatto il suo dovere alla perfezione». «Io ho disputato la partita perfetta – raccontò invece Filippo al microfono RAI di Giampiero Galeazzi – facendogli colpire tante palle alte e cariche. Ho giocato sempre a due centimetri dalla riga, serviva il 110% e oggi l’ho messo in campo» E poi ancora in conferenza stampa: «Ho messo tutto me stesso in ogni palla che ho giocato. L’avevo detto che avrei sputato sangue e così è stato. Ero entrato in campo tranquillo perché sapevo di non aver niente da perdere, ma la tranquillità è andata via a metà del secondo set, quando mi sono reso conto che lo stavo battendo». Memorabile il suo giro di campo nel vecchio Centrale, high-five a tutti i tifosi della prima fila, rosso di terra battuta per essersi lasciato cadere sul campo quando l’ultimo dritto di Roger è morto in rete, facendo esplodere il pubblico romano. «Battere Federer è un sogno e non pensavo potesse accadere». E invece…

«Quando vidi Severin Luthi durante il warm up gli dissi: Dai Severino, per una volta fammi passare una giornata tranquilla: tu ti siedi nell’angolo di Andreas, io in quello di Roger. Mamma, se l'avessimo fatto...» Massimo Sartori

2015, Andreas Seppi, Australian Open, terzo turno, 6-4 7-6 4-6 7-6
Il rischio maggiore lo ha corso coach Massimo Sartori. La mattina del match, mentre andava al warm up, incrocia Severin Luthi, amico, allenatore e confidente di Federer: «Dai Severino, per una volta fammi passare una giornata tranquilla: tu ti siedi nell’angolo di Andreas, io in quello di Roger». Immaginate un po’ come si sarebbe sentito dopo che il suo pupillo, cresciuto a Caldaro quando era ancora ragazzino e trascinato fino al numero 18 ATP, è riuscito in una delle più straordinarie imprese nella storia del nostro tennis: battere Roger Federer, e farlo in un to0rneo del Grand Slam, situazioni in cui lo svizzero ha sempre tirato fuori il suo meglio. Seppi è stato bravo a crederci dal principio, cominciano il match con una tattica aggressiva che ha sorpreso Federer. Avanti un set e col servizio a disposizione per chiudere il secondo, non si è innervosito nemmeno quando ha concesso il contro-break, chiudendo il secondo parziale al tie-break, con due passanti meravigliosi. Dopo un comprensibile calo, nel quarto set è sempre rimasto attaccato all’avversario, dopo aver annullato una delicata palla break nel game d’apertura. Il capolavoro l’ha compiuto nei due scambi finali, dal 5 pari nel tie-break: prima un dritto anomalo, quindi un passante di dritto in corsa, dove anche la dea bendata si è vestita d’azzurro. «A un certo punto Andreas stava giocando talmente bene che ho cominciato a crederci – disse coach Sartori -. Andreas merita una vittoria del genere, è uno dei giocatori più importanti nella storia del nostro tennis. Nel 2012 è andato vicino a battere Djokovic a Parigi e oggi quell’esperienza gli è sicuramente servita tanto. Nel quarto set ha gestito bene il gioco, mettendo pressione a Federer. È stato lucido tatticamente e pronto fisicamente, anche perché Roger ha cambiato un paio di volte strategia, accelerando quando si è accorto che il match gli stava scappando via». Qualche segnale era arrivato giorni prima, quando i due si erano allenati insieme e per la prima volta Seppi aveva vinto un set, al tie-break. E poi quel passante sul match point: «Pensavo che la palla fosse uscita – raccontò Sartori -. Ho vissuto la stessa emozione del 2011, quando Andreas vinse a Eastbourne il suo primo titolo ATP in carriera». Dal canto suo, Seppi (che poi perse un match molto duro nel turno successivo contro Nick Kyrgios) la racconta ancora oggi con la solita tranquillità: «Ho giocato un match fantastico. Mi sentivo bene, riuscivo a controllare le emozioni e non è semplice contro Federer, sul campo centrale di un torneo dello Slam. Altre volte ho giocato spezzoni di partita a livelli così alti, ma tenere un livello così alto per quattro set di fila...