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Vita da bolla. Anzi da "ambiente protetto"

Il Sardegna Open è stato l'occasione giusta per fare il punto sulle "bolle sanitarie" che ormai fanno parte di ogni torneo. Spesso i giocatori si lamentano, ma pochi prendono in considerazione le problematiche degli organizzatori. Ecco il dietro le quinte del torneo di Cagliari.

Da Cagliari, Valentina Guido
14 aprile 2021

“Forse in futuro potremmo lamentarci un po’ meno e gioire di più dello spettacolo in sé”. Risponde così Giorgio Di Palermo, direttore del torneo ATP 250 di Cagliari, quando gli chiediamo se ci sia qualcosa di positivo che potremo portarci dietro quando la pandemia sarà finalmente terminata. La risposta non è una procedura o una best practice, ma “qualcosa di filosofico, non di concreto”.
 
Ma il dopo non è ancora arrivato e le lamentele ci sono, soprattutto da parte di alcuni giocatori. Il francese Benoit Paire – numero 32 ATP, ma solo grazie al ranking protetto – è stato eliminato dal Masters 1000 di Monte Carlo contro il numero 63 Jordan Thompson. A suo modo, anche questa è una filosofia, e il transalpino l’ha già messa in pratica diverse volte: essere pagato 12mila euro (o giù di lì) per stare in albergo, perdere al primo turno e tornare a casa. “Ho giocato in un cimitero. Della vittoria o della sconfitta non me ne importa niente”. Va detto che se non fosse per la garanzia offerta dalla classifica congelata, il transalpino non potrebbe portare avanti questa strategia.
 
Pesa l’assenza del pubblico e la rigidità dei controlli anti-covid: insomma, la cosiddetta “bolla”, vocabolo ormai entrato stabilmente nel glossario tennistico quasi al pari di dritto, rovescio, volée. Ma a questa parola ormai inflazionata Giorgio Di Palermo preferisce la definizione di “ambiente protetto”. Una condizione che richiede da parte degli organizzatori una precisa programmazione e che Di Palermo ci ha illustrato durante il Sardegna Open. Cosa vuol dire organizzare un torneo al tempo del Covid? “Per prima cosa bisogna garantire il rispetto delle norme igienico-sanitarie per la tutela della salute degli atleti e di chi lavora a contatto con loro. Il protocollo ATP, in costante aggiornamento, impone di ricreare un ambiente protetto in modo uniforme in tutte le location: albergo, trasporti, circolo”.
 
Fondamentali i tamponi da fare all’arrivo e da ripetere ogni 4 giorni nell’hotel dei giocatori, che a Cagliari era il THotel. “Nell’hotel è stato creato un centro Covid. All’arrivo, i giocatori, il loro entourage e lo staff dell’ATP hanno dovuto fare un tampone oro-faringeo e solo dopo l’esito negativo hanno potuto raggiungere il Tennis Club Cagliari. Da quel momento, tutti i giocatori e chi è in contatto con loro vivono in quest’ambiente, fanno un tampone ogni 4 giorni, così fino all’ultimo giorno, quando la bolla si rompe perché l’ultimo giocatore è andato via e le norme non sono più necessarie. Si deve attendere l’esito soltanto dopo il primo tampone, poi non bisogna aspettare ogni volta, ma è obbligatorio restare nell’ambiente protetto”. I test, secondo Giorgio Di Palermo, sono l’attività più gravosa.

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Un contributo arriva anche da Jambo Melis, responsabile del team di incordatori della nazionale italiana di Coppa Davis e BJK Cup, oltre che del Sardegna Open: “Da quando c’è il Covid siamo più attenti. Sanifichiamo le racchette prima di prenderle; prima di incordarle avvolgiamo il manico in una pellicola e poi le disinfettiamo con soluzioni idroalcoliche. Terminato il lavoro d’incordatura, imbustiamo le racchette nelle polybag per poi riconsegnarle ai giocatori o al loro team tenendoci a distanza. Avevamo iniziato a utilizzare queste procedure già nell’ultimo incontro di Davis Cup che si è svolto qui a Cagliari (marzo 2020, poco prima del lockdown nazionale, ndr), ma le cose sono cambiate particolarmente adesso e anche al Forte Village nel torneo che c’è stato a ottobre”. In un torneo come questo, ci dice Melis, vengono incordate in media 90 racchette al giorno.
 
Ci sono però molti altri accorgimenti in un torneo organizzato durante una pandemia. Ce li elenca Giorgio Di Palermo: “Protezione delle macchine, sanificazione degli ambienti, sanificazione del campo dopo ogni incontro in tutte le aree, panchina, sedia dell’arbitro, frigoriferi, asciugamani igienizzati in buste di cellophane… tutto ciò con cui i giocatori entrano a contatto e così anche negli spogliatoi e nelle sale massaggi. Un aspetto che complica ulteriormente le cose è quando i giocatori di alcune nazionalità non possono entrare in un determinato Paese, ma per fortuna in questo caso non è successo”.
 
Di cose da fare ce ne sono tante e il manager è al servizio del Sardegna Open h24. Lo dice chiaramente: “In qualunque momento vogliate farmi una domanda, sono sempre qui”. Ed è vero: lo vediamo costantemente in movimento, tra l’area riservata ai giocatori e allo staff - che comprende il bar del circolo - e la terrazza che si affaccia sul campo centrale. Quando gli riferiamo le dichiarazioni rilasciate il 7 aprile all’Équipe da Gilles Simon, sembra sorpreso (dichiarazioni che vi avevamo anticipato qui). L’ex numero 6 del mondo ha detto di considerare le bolle funzionali unicamente a proteggere i tornei, non i giocatori: “La bolla la subiscono molto di più gli organizzatori. Anche finanziariamente è oneroso, quindi non è qualcosa che abbiamo inventato noi – ribatte Giorgio Di Palermo - Per carità, sicuramente anche i giocatori hanno perso finanziariamente, ma condurre un torneo in questo periodo è estremamente costoso. Manca una delle entrate più classiche dei tornei, i ricavi da biglietteria, e questo fa già capire tanto. Anche per le aziende che di solito sostengono i tornei è sempre più difficile essere partner di eventi come questo. Gilles è un giocatore e guarda il punto di vista dei giocatori, non posso certo chiedergli di mettersi nelle scarpe di un organizzatore, non è compito suo. Quindi capisco il suo commento ma non lo condivido”.

Ex tour manager ATP, qualche anno fa Giorgio Di Palermo è tornato in Italia. Ha diretto il Sardegna Open (Foto Guido)

Prima di Gilles Simon e di Benoit Paire, altri giocatori hanno manifestato sintomi di frustrazione: lo sfogo di Vasek Pospisil in campo a Miami è il caso più eclatante, ma anche il nostro Salvatore Caruso a Buenos Aires aveva dichiarato che giocare senza pubblico è un po’ come timbrare il cartellino. Il canadese Denis Shapovalov a Dubai ha detto che - con i prize money ridotti - sempre meno giocatori potranno partecipare ai tornei, se non per rispondere agli obblighi dei contratti con gli sponsor.
 
Al Sardegna Open anche Marco Cecchinato ha manifestato il suo pensiero: “Manca la possibilità di staccare dal tennis, fare un giro in città, andare a cena fuori, vedere qualcosa di nuovo. Anche a me non piace, però purtroppo in questo momento questa è la situazione. Bolle e prize money non stanno influenzando il mio tennis. Sicuramente è difficile per tutti, però da una parte sono contento che possiamo giocare tutte le settimane. Ci sono i pro e i contro e spero che finisca il prima possibile perché penso che tutti i tennisti siano stanchi di fare sempre circolo-hotel-circolo-hotel, però è l’unico modo per poter giocare i tornei”.
 
Il pubblico è certamente il grande assente, su questo sono tutti d’accordo. Anche Musetti e Sonego lo hanno sottolineato nelle conferenze stampa post partita (che si svolgono tutte on line, a distanza di sicurezza dai giocatori: anche questa è una conseguenza del Covid). Il 19enne toscano, è chiaro, ha ancora in mente l’energia trasmessa dagli applausi messicani, e chissà come sarebbe stata la straordinaria vittoria di Lorenzo Sonego in finale contro Laslo Djere se gli spalti fossero stati pieni.
 
Una sedia sì e tre no, così fino alla fine dello stadio. È passato più di un anno da quando tutto è cominciato, ma abituarsi a questo silenzio è impossibile. Non tanto per le mascherine che ormai fanno quasi parte del paesaggio al pari della Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, ma per il timore dei contatti interpersonali che ormai condiziona ogni movimento – e ogni assenza di movimento – in modo profondo. Secondo Di Palermo, per il tennis è qualcosa di particolarmente strano, più che in altri sport: “Manca l’applauso dopo un grande punto. Questo è uno sport che si svolge nel silenzio, quindi se non c’è l’enfasi dell’applauso dopo un punto ce ne accorgiamo immediatamente. È tutto un po’ più triste, ma capiamo che abbiamo un ruolo anche per gli spettatori televisivi, quindi è importante che il tennis continui, e che noi diamo un segnale di presenza per chi segue da casa”. Ci viene in mente che tra i pochi aspetti positivi di questa calma innaturale ci sia maggiore libertà di movimento per i pavoni che popolano il vicino parco di Monte Urpinu, e che sconfinano sui campi del Tennis Club Cagliari con tutta la loro bellezza. Ma chi li conosce da una vita ci dice che erano già una presenza fissa, ormai abituati all'andirivieni degli umani.