The Club: Bola Padel Roma
AUSTRALIAN OPEN

Vincere senza cinque dita. Per Francesca si può

Esordio Slam con vittoria per Francesca Jones, ventenne di Leeds nata con una rara malattia genetica: nonostante le manchino alcune dita, è riuscita a diventare una professionista. Da bambina, un medico le disse che non ce l'avrebbe mai fatta. “La soddisfazione più grande è proprio questa. Mi prendono in giro? Facciano pure”

Riccardo Bisti
12 gennaio 2021

La storia di Francesca Jones era deflagrata quattro anni e mezzo fa, quando ha coronato il sogno di giocare a Wimbledon. Prova giovanile, ma pur sempre Wimbledon. Vittima di una grave (e rara) malattia genetica, le mancano alcune dita sia alle mani che ai piedi. Condizione invalidante nella vita di tutti i giorni, figurarsi per giocare a tennis. Quando le misero una racchetta in mano, neanche i suoi genitori pensavano che sarebbe diventata una professionista. Semplicemente, lo sport era uno strumento per perdere qualche chilo di troppo. Invece Francesca ha abbattuto un tabù dopo l'altro, arrampicandosi fino al numero 241 WTA. E data la giovane età (ha compiuto 20 anni il 19 settembre) c'è da credere che abbia ottimi margini di miglioramento. Sotto il sole di Dubai si è tolta l'immensa soddisfazione di vincere la sua prima partita in uno Slam: un secco 6-3 6-2 a Monica Niculescu l'ha avvicinata all'esordio nel tabellone principale. Se anche non dovesse farcela, magari perdendo oggi contro Jan Fett (n.209), non sarebbe un problema. Ci riproverà. E ci riproverà ancora.

Non appena Francesca fa parlare di sè, i media raccontano la sua storia. Non potrebbe essere altrimenti. La sua malattia si chiama EEC, acronimo di Displasia Ectodermica Ectrodattilia. Rara, rarissima. Ma se ti colpisce è un guaio. Alla Jones manca un dito su entrambe le mani, mentre sul piede destro (quello dominante) ne mancano addirittura due. “Ed è proprio il piede ad avermi dato più problemi, in particolare con l'equilibrio” dice la diretta interessata, il cui carattere gioviale le fa parlare apertamente della sua condizione. Sa che sarà il suo tratto distintivo. È inevitabile. Ha trascorso buona parte dell'infanzia tra ospedali e interventi chirurgici, con tanto di sentenza medica: “Non potrai mai diventare una tennista professionista”. Ma la mente umana è strana, particolare. Si intestardisce proprio laddove dovrebbe lasciar perdere.

ASICS ROMA
"Gioco la mia partita con un mazzo di carte diverso, ma non è detto che non sia vincente. Anzi, credo che la mia esperienza sia un vantaggio"
Francesca Jones
La federtennis britannica ha puntato sulla Jones sin da quando era giovanissima

“Ho intrapreso questo percorso perché voglio fare grandi cose, ma anche perché vorrei essere un'ispirazione per gli altri – racconta – sarebbe fantastico avere un impatto positivo sui bambini e sulle persone che si trovano in una condizione simile. Però sono una giocatrice come le altre, con gli stessi obiettivi delle mie colleghe. Nella mia carriera sarà importante trovare il giusto equilibrio: la mia storia può essere uno spunto, ma vorrei essere giudicata per i miei miglioramenti e il mio tennis”. Negli ultimi anni, la crescita è stata costante. Quando era una bambina, forse per ripercorrere la strada di Andy Murray, i genitori (entrambi consulenti finanziari) l'hanno spedita a Barcellona, presso l'accademia di Emilio Sanchez e Sergio Casal. Ambiente sano, dove si lavora tanto, si parla poco e si giudica ancora meno.

E così la piccola mano destra di Francesca (all'inizio doveva giocare con grip speciali, adesso è cresciuta) ha sviluppato un dritto di tipica estrazione spagnola, con un forte topspin. Non fosse per l'aspetto che tradisce chiaramente le sue origini, sembrerebbe spagnola. E nel tennis, si sa, è un complimento. La Jones ha sfruttato nel migliore dei modi la pandemia: la sua condizione l'ha costretta a concentrarsi su altre cose, perdendo terreno rispetto alle altre. Per esempio, nella preparazione atletica: ha iniziato a sollevare i pesi soltanto due anni fa. E allora ha sfruttato il blocco per colmare il gap. “Nell'ultimo giorno prima del lockdown mi trovavo al Centro Tecnico di Roehampton – racconta – sono stata l'ultima ad andar via. Allora ho chiesto al custode se potevo prendere qualche peso per lavorare a casa. Poi mi sono allenata nella piccola palestra che ho realizzato in garage, insieme a mio padre”.

Numero 241 WTA, Francesca Jones ha già vinto cinque tornei ITF, gli ultimi due nel 2019 a Minsk
All'Accademia di Sanchez-Casal si lavora duro, anche nella settimana di Pasqua: Francesca Jones si è adeguata

Ha investito sul futuro, anche perché il presente è ancora piuttosto duro. La scarsità di eventi l'ha costretta a scendere di categoria, tornando a giocare le qualificazioni nei tornei più piccoli. Ma i risultati sono arrivati, fino ad arrivare a sfidare Vera Zvonareva (ci ha perso 6-2 6-1, in semifinale a Istanbul). Prima della pandemia, non aveva battuto neanche una top-200: la Niculescu è stata la quarta, senza contare il successo di prestigio contro Sabine Lisicki. Chi l'ha conosciuta racconta di un entusiasmo travolgente. Da ogni parole trasuda motivazione, voglia di arrivare. “Credo di avere una personalità piuttosto forte. Se qualcuno mi vuole disprezzare, faccia pure. È un problema suo, non mio”. Ma se parlare del suo passato è quasi un dovere, la sua mente è protesa al futuro. “Devo migliorare tanto sul piano atletico – dice – mi aspetto di essere più veloce e potente, soprattutto nelle situazioni difensive”.

Se anche dovesse vincere Wimbledon, tuttavia, il suo nome sarà sempre associato alla malattia. E in quel caso diventerebbe un simbolo dello sport mondiale, più di qualsiasi altro atleta (Lionel Messi su tutti) che ha dovuto fronteggiare malformazioni genetiche prima di sfondare. Perché il suo problema, in effetti, potrebbe sembrare insormontabile. Potrebbe. Perché Fran ha dimostrato che le realtà può essere molto diversa a seconda della prospettiva da cui la si guarda. “Io la vedo così: gioco la mia partita con un mazzo di carte diverso. Ma non è detto che non sia vincente. Anzi, credo che la mia esperienza sia un vantaggio. Mi ha reso indipendente, sono un passo avanti rispetto agli altri”. E poi c'è quella libidine psicologica di cui sopra: “Il più grande piacere della vita è riuscire laddove dicono che non ce l'avresti mai fatta”. Perla di saggezza.