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INTERNAZIONALI D'ITALIA

Valmora e la domination nel tennis

Dagli Internazionali BNL d’Italia alle ATP Finals di Torino, dal torneo di Monte-Carlo alle ATP NextGen Finals di Milano: Valmora è presente in tanti appuntamenti di prestigio e, come spiega il direttore generale Luca Ruffini, «il tennis è stata una scelta ponderata: è la seconda disciplina con il maggior numero di praticanti e vogliamo conquistare una posizione di domination in Italia

di Federico Ferrero
14 maggio 2022

Luca Ruffini, ravennate doc nonostante il documento denunci nascita a Gela, dal gennaio dello scorso anno è direttore generale del gruppo Pontevecchio Acque Minerali e ha preso casa a Torino, dopo una vita a cambiare latitudine su e giù per l’Italia. Ha fatto un po' di scuole in Sicilia, poi in Puglia, in Basilicata e infine l’Università a Bologna a seguito del papà Guido - sempre in trasferta come dirigente Eni nel settore delle risorse umane e intimo del leggendario Benigno Zaccagnini, con cui condivideva l’ispirazione democristiana. Però anche il suo, di curriculum, è da commesso viaggiatore dell’impresa: prima la Nestlé a Milano, poi l’incarico in De Cecco in Abruzzo, più di un decennio da amministratore delegato in Delverde a Bologna fino all’approdo piemontese nel gruppo Damilano.

«Sicuramente il settore food&beverage è sempre stato nel mio Dna. Nestlé, per me, è stata una scuola. Ho seguìto una quantità di marchi italiani: Perugina, Locatelli, Vismara, Motta, Alemagna… Con De Cecco, invece, credo di aver imparato a gestire un brand mentre l’esperienza con Delverde mi ha dato l’opportunità di rilanciare un’azienda in difficoltà».

Perché ha scelto di cimentarsi nel business dell’acqua?
«Quando ho incontrato la famiglia Damilano ho capito che si trattava di imprenditori illuminati con un’idea chiara di sviluppo. Mi hanno affidato l’incarico di rendere il loro obiettivo ancora più dettagliato. Magari, ecco, di raggiungerlo con una strategia più aggressiva. Ho colto la sfida perché da un lato è utile contaminare il lavoro che si fa con le esperienze pregresse, dall’altro apprezzo l’opportunità di imparare sempre qualcosa di nuovo. Il mondo dell’acqua è in crescita, è dinamico, fatto di grandi volumi. Un settore nel quale il brand è assolutamente strategico».

Valmora è entrata nel mondo dello sport da qualche anno, in varie discipline. Perché avete puntato con tanta decisione sul tennis?
«Avevamo già avvicinato altri mondi, come il calcio e il ciclismo. La scelta del tennis è stata ponderata: è la seconda disciplina con il maggior numero di praticanti, sono tre milioni e seicentomila, e devo dire che questa informazione ci aveva sorpreso anche un po’, in sede di ricerca di mercato. Dopodiché, dal punto di vista dell’investimento, una manifestazione come il Giro d’Italia è indubbiamente un grande evento, ma è dispersiva per natura perché itinerante. Ci sono tante ore di esposizione televisiva ma si fatica ad avere visibilità. Invece, nel tennis ogni momento è “il” momento: Se si customizza in maniera adeguata la location, si ottiene molta visibilità anche se magari, in termini assoluti. gli spettatori sono meno numerosi. Questo si traduce in un riscontro concreto per noi: ecco perché abbiamo deciso di avere una domination nel tennis».

Dalle vostre ricerche avrete anche notato che il pubblico del tennis è mediamente adulto, scolarizzato e può spendere. Questo significa che il vostro consumatore risponde a questi canoni?
«Effettivamente quello del tennis è un target medio-alto che è in linea con l’alta qualità del nostro prodotto: vendiamo un’acqua che sgorga da una sorgente alpina ed è minimamente mineralizzata. È un abbinamento ideale e vogliamo consolidarlo, ecco perché Valmora è diventata l’acqua della Fit, degli Internazionali d’Italia e delle ATP Finals di Torino. Abbiamo stretto una partnership con il torneo di Monte Carlo e saremo presenti anche in Coppa Davis».

C’è poi un pubblico più giovane che si sta avvicinando al tennis grazie ai risultati dei campioni italiani. I ragazzi, oggi, sembrano aver riscoperto l’ideologia: magari non nella politica, ma nell’economia. Ecco, l’idea di una bottiglia di materia plastica può piacere a chi manifesta per la salvaguardia dell’ambiente?
«Secondo noi sì. Prima di tutto perché la nostra acqua nasce in un bosco certificato, sottoposto a controlli rigidi. E poi abbiamo lanciato Valmora Green, fatta al 30% da materia riciclata. È un formato nuovo, da 33 cl: lo abbiamo creato perché ci siamo accorti che la bottiglietta classica da mezzo litro, bevuta fuori casa, spesso non si finisce. Invece questo è un bel bicchiere d’acqua che, una volta consumato, si può smaltire nella maniera corretta. Ci crediamo molto, tanto da averla lanciata lo scorso anno agli Internazionali come gadget; ne abbiamo fatte alcune edizioni limitate anche dedicate al Bologna calcio, e abbiamo avuto riscontri positivi».

«Stiamo lavorando sull’aspetto sociale della sostenibilità: abbiamo stretto un accordo con l’associazione Next che si occupa di riallocazione di persone rifugiate che spesso neanche compaiono nelle liste di collocamento» Luca Ruffini, Direttore Generale Valmora Gruppo Damilano

Però l’obiezione sul consumo di acqua in bottiglia può restare viva.
«Difatti stiamo lavorando anche sull’aspetto sociale della sostenibilità: detto francamente, siccome anche noi produciamo Co2 avremmo potuto acquistare dei certificati per azzerare le emissioni. Ma come azienda ci pareva più giusto fare uno sforzo meno “comodo”. Sicché abbiamo stretto un accordo con l’associazione Next, che si occupa di riallocazione di persone rifugiate che spesso neanche compaiono nelle liste di collocamento. Finanziamo corsi di formazione di base: che siano per apprendere la nostra lingua, o la cultura italiana, o provvedere a una formazione specifica. Quando siamo noi ad avere necessità di personale, poi, attingiamo da quel bacino; altrimenti, ci prendiamo carico della formazione per altri. Nel 2020, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ci ha riconosciuto ufficialmente questo sforzo. Noi crediamo che il lavoro sia ciò che davvero può valorizzare le persone e dare loro una possibilità».

Tornando al tennis, una domanda secca: genera più ritorno investire sul campione o sull’evento?
«Secondo me sull’evento, se è ripetuto nel tempo e fa parte di un progetto complessivo e se, come sponsor, lo posso caratterizzare sempre di più. Se poi ho entrambe le cose, come nel nostro caso visto che Lorenzo Sonego è un nostro atleta, allora si crea un binomio fortissimo. La nostra speranza è di tornare - lo dico da romagnolo - ai tempi di Alberto Tomba, in cui pure in azienda ci si fermava alle 11 perché c’era la sua discesa. Puntiamo a legarci a uno o più atleti che speriamo possano creare quello stesso entusiasmo tra i giovani».

«Come sponsor, l’evento lo posso caratterizzare di più. Però se si ha pure un atleta, come nel nostro caso Lorenzo Sonego, allora si crea un binomio fortissimo. La nostra speranza è di tornare ai tempi di Alberto Tomba, in cui pure in azienda ci si fermava alle 11 perché c’era la sua discesa. Puntiamo a legarci ad atleti che speriamo possano creare quello stesso entusiasmo tra i giovani» Luca Ruffini, Direttore Generale Valmora Gruppo Damilano

Ai tempi di Tomba, chi voleva investire in visibilità aveva quei canali: i giornali, la tivù, l’atleta. Ora le aziende stesse creano contenuti: lo chiamano con una parola orrida, disintermediazione. Il politico si rivolge direttamente agli elettori sui social, le imprese comunicano direttamente con i loro consumatori. Quali strategie ha Valmora in questo senso?
«Stiamo valorizzando molto la parte digitale: inutile nasconderlo, è la maniera migliore per rivolgersi ai consumatori perché ci permette di profilarli geograficamente, per interessi e stili di vita. E ci dà la possibilità di misurare direttamente i risultati delle nostre campagne. Abbiamo testato il Dna del nostro brand nell’area in cui siamo più forti, cioè il Piemonte e la Liguria, e la stessa cosa l’abbiamo estesa a livello nazionale, sia nel nordovest dove stiamo conquistando quote di mercato, sia sul resto del territorio dove ancora non ci conoscono. Sui contenuti è vero, difatti siamo impegnati a creare la cosiddetta experience: vogliamo raccontare la provenienza, la nostra qualità, offrire contenuti di cui il consumatore è curioso. Oggi non basta più dire, genericamente, che siamo un’acqua di montagna». 

Come si crea affezione a un marchio nel 2022, a parte i social e le sponsorizzazioni di eventi? 
Un engamement efficace si crea attraverso un mix di attività: sampling, in store promotion, concorsi e in generale con attività volte a raccontare la qualità del nostro prodotto. In questi giorni che siamo sponsor degli Internazionali BNL d’Italia abbiamo organizzato una serie di attività nella città di Roma e al Foro Italico dove abbiamo attivato lo “Speed Cage” uno spazio personalizzato Valmora, all’interno del quale un dispositivo elettronico misurerà la velocità del colpo. Ogni partecipante riceverà un attestato e in omaggio la bottiglietta Green nel nuovo formato da 33cl realizzato con il 30% di plastica riciclata R-Pet. Credo si possano usare tutti i mezzi di comunicazione, a seconda del messaggio che si vuole diffondere: personalmente, posso dire che non amo molto la televisione classica, sono più appassionato di radio. Ogni contesto, comunque, ha bisogno dello strumento giusto». 

Quali obiettivi di mercato vi siete dati per i prossimi mesi?
«Siamo in crescita. Pontevecchio, società del gruppo Damilano che si occupa dell’imbottigliamento delle acque minerali, nel 2021 ha fatturato circa 45 milioni di euro e prodotto quotidianamente 1,8 milioni di bottiglie. Abbiamo un centinaio di dipendenti, sono numeri che ci consentono di ampliare il nostro mercato. Nell’ultimo trimestre, per esempio, in Emilia-Romagna siamo cresciuti del 54%, nel Lazio del 43%. Ma non è tanto vendere il fardello di acqua: il nostro discorso è rivolgersi al rivenditore presentando il nostro progetto. Spieghiamo che c’è un brand che investe nella sua zona, che quindi la cosa interessa anche il retailer. E il consumatore ci potrà scegliere perché, intanto, facciamo campagne di comunicazione a supporto e ci rendiamo visibili con l’evento e l’attività di punto vendita. È un piano di sviluppo regione per regione, e siamo fiduciosi».

Altri marchi vostri concorrenti, negli anni, hanno ceduto alle lusinghe e tentato di ampliare la loro gamma con prodotti collaterali all’acqua. Voi, che vi proponete come acqua del tennis e dello sport, avete pensato di creare sport drinks o soft drinks?
«Come strategia abbiamo deciso di concentrarsi sull’acqua minerale. È vero, ci sono acque arricchite che vanno di moda. Ma per breve tempo: sul lungo termine, sono prodotti difficilmente sostenibili per la loro volatilità. I problemi non mancano: il pubblico, ormai, non vuole più lo zucchero e le sue alternative naturali hanno bisogno di continui aggiustamenti e modifiche. Noi restiamo con convinzione sull’acqua».

Lei è, seppur girovago, un ravennate che vive in Piemonte e due approcci alla vita più differenti sono difficilmente riscontrabili. Cosa si è portato del suo essere romagnolo a Torino?
«Sicuramente è vero che i piemontesi sono introversi ma ho lavorato in contesti ancora più chiusi, come l’Abruzzo. Per spiegare ai miei conterranei come sono i torinesi, spesso racconto che conosco una persona cara di cui sono amico da tempo. Da quando siamo concittadini, mi avrà promesso un invito a cena non so quante volte… Sicuramente noi siamo più aperti, ma coi piemontesi condividiamo la “mania” di fare, di creare, di costruire. La stessa che aveva mio padre, la stessa che aveva Raul Gardini che, pur essendo un gigante dell’impresa italiana, a Ravenna andava in pasticceria e in lavanderia. Salutava tutti, lo conoscevamo tutti. Mi fece innamorare della America’s Cup col suo Moro di Venezia che, oggi, a trent’anni da quella avventura abbiamo messo in secca nella darsena».

Potrebbe provare a convincere i sabaudi Damilano a dedicarsi a una disciplina di mare… Un Valmoro di Venezia.
«Guardi, non so se qualcuno le ha detto qualcosa o se è un caso. Ma potrebbe avere qualche sorpresa in merito, tra non molto».