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DAVIS CUP FINALS

Una competizione ingiusta

Oltre alle problematiche già note, le Davis Cup Finals hanno una pecca di natura tecnica: gli accordi a lungo termine per le sedi dei gironi daranno un notevole vantaggio a chi giocherà sempre in casa. Tante squadre saranno costrette a giocare sistematicamente in trasferta per motivi geografici ed economici. Non è giusto.

Riccardo Bisti
14 settembre 2022

Sarebbe fin troppo facile limitarsi al tweet – diventato virale – del giornalista Jannik Schneider, presente ad Amburgo per il girone tedesco delle Davis Cup Finals. Mentre gli account ufficiali della competizione postavano filmati su filmati, lui ha mostrato il glorioso centrale del Rothenbaum Club desolatamente vuoto. Per Belgio-Australia, due squadre di prestigio e tradizione, c'erano 225 spettatori. Niente di diverso rispetto a quanto si era visto nel 2019 e nel 2021. E sarebbe antipatico infierire sul povero Seon-chan Hong, numero 467 ATP e secondo giocatore coreano. Nell'impianto semideserto di Valencia ha giocato la partita della vita, arrivando a un soffio dal battere Vasek Pospisil. Ce l'avesse fatta, la cenerentola Corea avrebbe battuto il Canada. Lui ha detto di essersi allenato come un ossesso per 6-7 mesi soltanto per questo evento. Uno sforzo commovente, che avrebbe meritato ben altro palcoscenico e un pubblico più numeroso. Invece gli spagnoli avevano altro da fare, ancora inebriati dal trionfo newyorkese di Carlos Alcaraz e per nulla scaldati dalla prospettiva di un match inaugurale con Roberto Bautista e Albert Ramos in singolare. Per loro fortuna, Carlitos è arrivato (i ben informati sostengono che la federtennis spagnola e Kosmos gli abbiamo pagato il jet privato per arrivare in tempo, altri smentiscono).

Stessa storia a Glasgow, laddove persino i tifosi del Kazakhstan (probabilmente sovvenzionati dalla loro federazione) erano meno del solito. Il comunicato stampa della FIT ha parlato di 2.500 spettatori per Svezia-Argentina a Bologna: dato meno desolante di Amburgo, ma c'è poco da esultare per aver riempito meno del 20% dell'Unipol Arena. Ma è normale: a parte i fanatici, c'è qualche bolognese interessato a Baez-Ymer? O qualcuno disposto a venire da fuori? Mettiamoci l'anima in pace: almeno fino al 2026, il format delle Davis Cup Finals dovrebbe rimanere questo. La scorsa primavera, quando sono state ufficializzate le città delle fasi finali, pochi hanno sottolineato che si tratta di accordi pluriennali. È così per l'Italia e la Spagna, certe di avere un girone (a patto che ci sia la loro squadra) fino al 2026, mentre la stampa tedesca parla di un accordo fino al 2024 per Amburgo. Bisogna partire da qui per una riflessione che anticipa le considerazioni dei trombettieri della nuova competizione, che oggi celebreranno la grande affluenza di pubblico a Bologna, Valencia, Amburgo e Glasgow. Bella forza: giocheranno le squadre di casa. Al netto della formula, ci sarà un clima analogo a quello della storica coppona, gettata a mare quattro anni fa.

«Per le nazioni che non giocano in casa è complicato: penso all'Australia, totalmente priva di tifosi. Noi avremo una trentina di sostenitori, ma è dura: un tempo si muovevano solo per il weekend, mentre così è complicato»
Sebastien Grosjean
ASICS ROMA

Il desolante scenario in cu si è giocata Belgio-Australia

Ma la riflessione odierna è un'altra: anche volendo attribuire valore tecnico a questa competizione, l'attuale format la renderà sempre iniqua ed ingiusta, offrendo il fattore campo ai soliti noti. A parte riflessioni ormai antiche sulla bellezza del format casa-trasferta e l'arrivo del tennis in luoghi altrimenti dimenticati, il nuovo sistema fa sì che poche nazioni avranno sempre l'enorme vantaggio di giocare in casa. Ed è una questione puramente economica e politica, poiché Kosmos (bisognosa di ripianare conti che non sembrano floridi) privilegerà sempre le offerte più ricche. Offerte che possono permettersi poche federazioni. Fateci caso: in questi giorni si gioca in Spagna (patria di Kosmos, che in questi anni ha avuto vantaggi persino sfacciati), in Gran Bretagna (patria di Wimbledon), in Germania (unica federazione, oltre alle quattro che ospitano gli Slam, ad avere cinque voti alle assemblee ITF in virtù della sua forza politica ed economica) e in Italia. Come è noto, il bilancio preventivo 2021 della FIT (ultimo pubblicato) parla di 100 milioni di euro, ai quali si aggiunge il desiderio feroce – e legittimo - di vincere la competizione.

E avrebbe voluto esserci la Francia, altra federazione ricchissima, che aveva persino fatto ricorso al CAS di Losanna per essere stata esclusa dalla prima selezione. Con questi colossi, è improbabile che altre federazioni possano anche soltanto pensare di ospitare i match che contano, limitandosi al deprimente Turno di Qualificazione di inizio anno. A volte ci sono motivi geografici (Australia, Stati Uniti e Canada sembrano tagliati fuori, visto che è richiesto un fuso orario simile per i quattro gironi), spesso sono economici. Federazioni come quella croata, russa, olandese, belga, svedese... Come possono pensare di battere certi colossi? Solo il Kazakhstan potrebbe provarci, se dovesse arrivare un ordine dall'alto. E allora le loro squadre saranno costrette a giocare sistematicamente in trasferta, con tutto quel che ne consegue: deprimenti partite in campo neutro come quelle viste martedì, o complicatissimi match in trasferta, con un clima da vecchia (e vera) Coppa Davis.

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Carlos Alcaraz è arrivato a Valencia: qualcuno sostiene che abbia viaggiato su un jet pagato da Kosmos, altri smentiscono

Il povero Seong-Chan Hong ha giocato il match della vita in un contesto desolante

Con questo sistema, l'Insalatiera perde incertezza, equilibrio e – soprattutto – equità. Fino al 2018, il bistrattato vecchio format garantiva la reciprocità: sistema un po' anacronistico e soggetto alla fortuna (la stessa squadra poteva giocare un anno intero in casa o in trasferta), ma erano condizioni uguali per tutti. Adesso sono denaro e politica a indirizzare la vicenda sportiva, favorendo sempre le più forti. Un format che ricorda vagamente quello – fortemente criticato – della Coppa Italia di calcio, laddove le squadre più forti (e ricche) arrivano in semifinale giocando giusto un paio di partite col vantaggio del fattore campo. “Per le nazioni che non giocano in casa è complicato – ha detto Sebastien Grosjean, capitano della Francia, che è rimasta priva della copertura della TV pubblica (i match andranno su BeIN Sports e L'Equipe Live) – penso all'Australia, totalmente priva di tifosi. Noi avremo una trentina di sostenitori, ma è dura: un tempo si muovevano solo per il weekend, mentre così è complicato. Vedremo quanti saranno nei match in campo neutro, ma è inutile nascondersi: saranno in pochi”.

Quando l'Equipe gli ha chiesto cosa si può fare per cambiare tutto questo, è stato chiaro: “Non lo so. Spetta agli organismi internazionali, ma ci sono problemi finanziari sullo sfondo. Io ho pensato che fosse necessario spalmare gli incontri su due anni, con lo stesso format, anche se questo significherebbe giocare al meglio dei tre set. Due incontri all'anno: primo turno e i quarti nel primo, semifinali e finale nel secondo”. Detto che Grosjean fa confusione, perché la sua proposta mischia il format attuale con quello storico (laddove c'era l'eliminazione diretta), il problema è sotto gli occhi di tutti, anche se pochi accettano di vederlo. La certezza è che la competizione si sta svalutando, perché ai primi turni (con un format simile a quello vecchio) si sono visti stadi e palazzetti pieni, mentre le fasi successive alimentano il disinteresse per i match senza i padroni di casa. E perché non è bello vedere una competizione in cui alcune squadre sono sfacciatamente avvantaggiate rispetto ad altre.