The Club: Bola Padel Roma
IL LIBRO

Smashing Rackets: l’arte di spaccare una racchetta

Un libro di immagini e citazioni evoca un gesto ribelle, spesso fin troppo castigato dai commenti politically correct. Perché spaccare una racchetta può essere liberatorio. Come spiega un esperto della materia...

Corrado Erba
9 maggio 2023

Ho un ricordo polveroso ma definito della prima volta in cui spaccai una racchetta. Era una Adidas Ilie Nastase. Lo swoosh onomatopeico dell’oggetto lanciato nell’aere, il breve scrocchio del legno che si crepa, la sagoma lignea ormai defunta, sdraiata sulla terra umida e rossissima, di una mattinata afosa di settembre, sono immagini indelebili. Tante sono seguite. Penso che il piacere di fare a pezzi un telaio, dettato da un mix nefasto di ira, rabbia cieca, disgusto e insoddisfazione, creino una sorta di dipendenza.

Diciamolo, è un gesto privato, orgiastico, onanistico e dopo il piacere subitaneo cresce il rimorso, la vergogna, misto a un sottile brivido: so che non dovrei rifarlo, lo rifarò. Eppure le endorfine date da quei brevissimi istanti che intercorrono dal lancio all’atterraggio che riduce in brandelli l’incolpevole fusto, entrano profondamente nei meandri della nostra testa di giocatori, frustrati dall’ennesima volata malamente messa out sul match point, dai mille dritti sbagliati nei momenti decisivi, da centinaia di palle corte morte in rete sul cinque pari, quaranta pari. E non fa nessuna differenza che sia un torneo ATP, un modesto rodeo di quarta o la partitina settimanale con il ragioniere dell’ufficio sinistri.

La presentazione del volume presso il Libraccio di Roma è stata un grande successo

Dunque, con enorme piacere, ho accolto il tomo scritto dall’amico e sodale Federico Ferrero, unitamente a Filippo Trojano. Il titolo, Smashing Rackets, è dato da un verbo, smashing, che racchiude in una sola parola i due meravigliosi gesti, il lancio e la rottura, un termine che, se mi passate lo snobismo anglosassone, non può essere riassunto da nessuna parola italiana. Le immagini contenute sono evocative, significative, bellissime. Bizzeffe di telai rotti, fratturati, distrutti, evirati. Tuttavia, sarebbe riduttivo far credere al lettore che si tratti di una semplice raccolta di disastri: a ogni immagine è accoppiata una storia, un motto, un breve racconto dell’evento. A volte il fourir agonistico ha spinto il giocatore a gesti inenarrabili, così folli da creare ilarità, come Pietrangeli quando ricorda un gesto di Michele Pirro (nomen omen) che durante il torneo di Sanremo, colto da un raptus, quasi liturgico, «dopo aver spaccato tutte le racchette, gli diede fuoco».

Si dice che Marat Safin abbia spaccato più di mille telai. Ma probabilmente sono molti di più...

Ci vuole una grande nobiltà d’animo, quella che può avere solo un vero Don Chisciotte, per portare a un’azione cosi risolutiva. Il gioco può provocare miserie d’animo cosi abissali da somigliare a una battaglia contro enormi, invincibili mulini a vento. Ed ecco arrivare il gesto liberatorio, cosi accessibile, cosi amorevole: uccidere per salvarsi, distruggere per dormire finalmente liberi, cosi come testimoniano alcuni eroi all’interno del nostro libro. Da Diego Nargiso, che confessa di essersi addentrato in un bosco per distruggere un fascio di nuovissime Prince a Nick Kyrgios, che sfascia le sue Yonex in un corridoio appartato, pensando che nessuno avrebbe potuto vedere le sue vergogne.
Cosi come i reprobi nascosti, esistono naturalmente gli sfacciati esibizionisti e quindi largo alle immagini e alle testimonianze dei grandi protagonisti del lancia e distruggi: da Goran Ivanisevic a Benoit Paire, da Paolo Canè a Marcos Baghdatis, per finire al campione italiano indiscusso della specialità, il nostro Fabio Fognini, anche se il volume segnala che il titolo di World Champion appartiene a Marat Safin. Un conteggio, probabilmente approssimativo per difetto, sostiene che il russo abbia spaccato 1.055 racchette, che se appaiamo a un prezzo di vendita medio di 200 euro, porta alla favolosa cifra di duecentoundicimila euro. Bazzecole per lui (che peraltro non le pagava) ma pur sempre una cifra rispettabilissima.

Il sottoscritto resta lontanissimo dal numero di telai distrutti da Marat: presumo di essere al confine con i due zeri, cifra che avrebbe meritato una citazione nel tomo. Attendo il volume 2...