EDITORIALE

Le responsabilità di Novak Djokovic

Durante il lockdown per il COVID-19, il numero uno del mondo aveva ricevuto critiche per alcune dichiarazioni che avevano lasciato quantomeno perplessi. Ora deve fronteggiare qualcosa di più grave perché l’arrogante leggerezza con la quale è stato organizzato l’Adria Tour rischia di costare molto cara

di Lorenzo Cazzaniga
22 giugno 2020

La pausa per l’emergenza sanitaria ci ha portato a conoscere meglio alcune abitudini dei giocatori, anche fuori dal campo. Novak Djokovic, per esempio. In questo periodo abbiamo scoperto il piacere che prova nel fare yoga al sorgere del sole, le consulenze del guru iraniano che sostiene la teoria dei pensieri positivi che cambiano la struttura molecolare dell’acqua per migliorare l’equilibrio psico-fisico e le sue perplessità sull’eventuale vaccino anti-COVID19. Scelte che, come spesso accade, hanno creato un partito di pro e un altro di contro, con l’eccezione della diretta IG con Chervin Jafarieh, il guru di cui sopra, che ha trovato (quasi) tutti d’accordo: certi personaggi meriterebbero un’indagine giudiziaria anche solo per sostenere le teorie della memoria dell’acqua, roba che ha spinto Djokovic ad affermare: «Conosco alcune persone che attraverso la trasformazione energetica, il potere della preghiera e della gratitudine sono riuscite a trasformare il cibo più tossico e l’acqua più inquinata nell’acqua più curativa. Perché l’acqua si trasforma: gli scienziati hanno dimostrato che le molecole reagiscono alle nostre emozioni».

In assenza di gare, risultati, vittorie e record da infrangere, tanto era bastato a Djokovic per subire critiche e perdere un certo gradimento tra gli appassionati. Un index che è precipitato dopo i fatti dei giorni scorsi: Novak, forse annoiato dallo yoga, ha infatti deciso di organizzare un circuito di esibizioni tra Serbia e Croazia, non certo lusingato dai possibili guadagni ma probabilmente dalla voglia di uscire dal letargo imposto dalla pandemia. Nella zona dei Balcani, pare che il virus sia stato poco violento, con un numero di contagi relativamente basso e un tasso di mortalità meno preoccupante rispetto a tante altre zone, tanto che i governi hanno notevolmente allentato le restrizioni e permesso a Djokovic & Co. di giocare con la presenza di pubblico e senza alcuna apparente norma da rispettare, a cominciare da quel distanziamento sociale che ci hanno insegnato a rispettare per evitare il contagio.

Il circuito sta faticosamente cercando di ripartire e avrebbe volentieri rinunciato a questo attacco interno, perpetrato (involontariamente ma con arrogante leggerezza) da uno dei suoi protagonisti più importanti

Djokovic è riuscito a chiamare a messa i colleghi a lui più vicini: il compaesano (di residenza) Grigor Dimitrov, Sascha Zverev, Borna Coric, Dominic Thiem, Andrey Rublev, Marin Cilic e diversi altri. Con alcuni di questi ha passato notti in discoteca, ballando a torso nudo come dei cubisti mancati, ha organizzato match di basket e partite di calcetto, impegni talmente assillanti d’avergli impedito di partecipare alla mega-riunione che ha visto coinvolti oltre trecento suoi colleghi per decidere il prossimo futuro del circuito ATP (beccandosi altre critiche, più che meritate). Il risultato è quello che ormai conosciamo: Grigor Dimitrov e Borna Coric sono risultati positivi al COVID-19, Djokovic pare non essersi ancora sottoposto al test perché evidentemente non si fidava dei tamponi croati e avrebbe scelto di farlo nella natìa Serbia, alla presenza di un medico di fiducia ma speriamo non accondiscendente. Nel frattempo, anche un membro del suo staff tecnico risulta essere stato contagiato: i media serbi riferiscono che si tratta del preparatore atletico, Marco Panichi.

Va detto che, nell’organizzare le tappe di Belgrado e Zara dell’Adria Tour, sono state rispettate le norme dei rispettivi stati (sostanzialmente un via libera su tutta la linea), tuttavia ci si aspettava un comportamento più sano e rispettoso nei confronti di una pandemia globale che ha causato quasi mezzo milione di morti e non sembra così decisa a sparire. Ai più sono parsi atteggiamenti inadeguati e perfino arroganti (soprattutto le scene di delirio collettivo nei party in discoteca), con un danno di immagine che prevarica quello personale. Il circuito internazionale sta faticosamente cercando di ripartire (primo torneo previsto a Washington dal 14 agosto) e avrebbe volentieri rinunciato a questo attacco interno, perpetrato (involontariamente ma con arrogante leggerezza) da uno dei suoi protagonisti più importanti. Qualcuno auspica quantomeno delle scuse pubbliche (che ci sorprenderebbero), nella speranza che non si registrino altri casi e che Dimitrov e Coric possano presto ristabilirsi. Così come il tour professionistico che non avrebbe bisogno di altri nemici da affrontare.