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IL CASO

La coscienza di Sam Querrey

A tre mesi dai fatti di San Pietroburgo, Sam Querrey racconta la sua versione. Dopo essere risultato positivo al COVID, aveva organizzato una fuga notturna per evitare la visita medica stabilita dalle norme russe. Fa un po' di confusione su dati e circostanze, rafforzando la sensazione che gli sia andata (molto) bene.

Riccardo Bisti
5 gennaio 2021

Se ce l'avranno con me anche dopo aver ascoltato i fatti, va bene. Però è giusto che si sappia che non ho deciso di scappare non appena ho saputo del COVID”. La storia riguardante Sam Querrey è forse l'emblema del 2020 tennistico, tra tornei a porte chiuse e lo spettro di un virus che colpisce a tradimento. Una Spy Story che si è conclusa qualche giorno fa con una non punizione per l'americano: 20.000 dollari di multa, ma pena sospesa se non commetterà infrazioni analoghe nei prossimi sei mesi. Insomma, è un giocatore come gli altri. Sarà regolarmente a Delray Beach, poi andrà in Australia. Vuole mettersi alle spalle questa storia, ma prima vuole raccontare la sua versione dei fatti. Molti hanno ritenuto troppo leggera la (non) sanzione ATP, specie considerando la gravità dell'infrazione: in occasione del torneo di San Pietroburgo, una volta appreso di essere risultato positivo, Querrey ha noleggiato un jet privato ed è scappato (adesso si sa dove: Londra) per evitare di essere visitato dai medici russi. Messa così, una violazione piuttosto grave. Ma Querrey vuole mettere i punti sulle I, raccontare la sua versione ed essere giudicato per quello. Il risultato è un po' deludente. Era prevedibile che in questi giorni avrebbe parlato, vuoi perché la sentenza è appena uscita, vuoi perché ha ripreso ad aggiornare il suo account Instagram dopo mesi di silenzio. Per farlo, ha scelto uno dei cronisti più noti, Jon Wertheim di Sports Illustrated. “Quando il circuito è ripreso, ogni torneo ha registrato 1-2 positivi che rimanevano due settimane in quarantena nell'hotel del torneo, poi erano liberi – racconta Querrey – io ho viaggiato con mia moglie e mio figlio perché avevo in programma una trasferta di 7-8 settimane, e non volevo restare tutto questo tempo lontano da loro.

Siamo arrivati a San Pietroburgo al mercoledì sera, poi al giovedì abbiamo effettuato i test e sono risultati negativi. Ci hanno detto di ripassare dopo quattro giorni, dunque domenica (i giorni erano dunque tre, ndr) abbiamo effettuati altri tamponi. Al pomeriggio mi hanno comunicato il risultato, invitandomi a ripetere il test per assicurarmi della positività. Lo facciamo. Un paio d'ore dopo chiamano, confermano, e dicono di restare in camera. Conoscevo le regole, non c'erano problemi. L'ATP mi ha suggerito di usufruire del servizio in camera. Per due giorni l'abbiamo fatto, comunicavamo con informazioni lasciate fuori dalla porta, non era un grosso problema”. Il racconto di Querrey, tuttavia, cade in contraddizione temporale. In un paio di occasioni sostiene di aver effettuato due giorni di quarantena nell'hotel di San Pietroburgo, poi però dice che un supervisor ATP lo ha avvisato che a breve avrebbe ricevuto la visita di due medici e un pediatra (per il bambino), i quali avrebbero stabilito se erano sintomatici o meno. In quel caso, sarebbero stati trasferiti in ospedale per due settimane. “Mia moglie è andata nel panico, mio figlio aveva sette mesi, stava mettendo i denti e aveva un po' di febbre, quindi temevo che ci avrebbero separati. Nessuno ci ha garantito che saremmo rimasti insieme. Allora ho detto che non avrei fatto entrare nessuno alle 22 di domenica, con il bimbo che stava già dormendo”. 22 di domenica? Ma se aveva parlato di due giorni di servizio in camera, come poteva essere ancora domenica? Seguendo una normale cronologia, questi episodi avrebbero dovuto verificarsi al martedì. Come vedremo, in realtà era lunedì.

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"Mi sono trovato a dover prendere una decisione entro poche ore. La situazione non mi piaceva, avevo con me moglie e figlio, allora abbiamo preso l'aereo e siamo partiti"
Sam Querrey
Nel 2016, la vittoria al Roland Garros sembrava aver spianato a Novak Djokovic la strada per il Grand Slam. Il sogno fu interrotto a Wimbledon da Sam Querrey

“Ho chiamato il mio manager John Tobias e abbiamo chiesto all'ATP se davvero eravamo nelle mani di medici russi, i quali avrebbero deciso se farci ricoverare o meno. A quel punto, abbiamo chiesto di farli venire la mattina dopo alle 10 e hanno accettato. Conquistato un po' di tempo, mi sono trovato a dover prendere una decisione entro poche ore. La situazione non mi piaceva, avevo con me moglie e figlio, allora abbiamo preso l'aereo e siamo partiti”. Come in un film d'avventura, Querrey ha contattato un broker di jet privati e ha chiesto se era possibile avere un aereo entro nove ore. Ottenuta risposta positiva, i Querrey sono scappati dall'hotel e si sono recati direttamente all'aeroporto, destinazione Londra. “Tengo a precisare che durante il viaggio indossavamo mascherine KN95 e non le abbiamo mai tolte, neanche per bere o mangiare. Dopo l'atterraggio ci siamo immediatamente recati in un AirBnb che avevo prenotato. Da padre e marito, sono convinto di aver fatto la cosa giusta”.

Detto che la fuga gli è costata 40.000 dollari per il noleggio dell'aereo, più l'affitto dell'appartamento a Londra, la difesa di Querrey non è troppo convincente. Parla di comportamento sicuro, ma nei fatti ha violato un protocollo (consapevole di farlo, altrimenti non sarebbe scappato di prima mattina, evitando di farsi vedere) e non ha spiegato come si è procurato il cibo nelle due settimane a Londra. Probabilmente avrà usufruito di un servizio a domicilio. “Non appena siamo arrivati a Londra, la storia è diventata di dominio pubblico (è stata una serie di tweet del giornalista Ben Rothenberg a renderla nota, ndr) e per me è stato frustrante. Semplicemente, avevo chiesto ai dottori di venire il giorno dopo e loro hanno accettato”. Ok, ma aveva preso tempo senza un reale motivo. Anzi, col senno di poi, si può dire che lo abbia fatto per organizzare la fuga. “Non è vero che ci hanno offerto un appartamento di lusso – continua il n.56 ATP – ci hanno proposto un generico appartamento senza dirci dove fosse, come ci saremmo nutriti, e solo se i medici avessero stabilito la nostra asintomaticità”.

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Nel suo comunicato, l'ATP scrive di aver tenuto conto del buon comportamento di Querrey, e per questo hanno scelto di sospendere la multa. “Ho un buon rapporto con loro, non voglio creare polemica – dice Querrey – quando abbiamo chiesto aiuto, mi hanno detto che la situazione era fuori dalle loro competenze. Li capisco, ogni settimana hanno a che fare con autorità diverse. Nel momento in cui si risulta positivi, la questione è a carico dell'autorità locale. Mi sarebbe piaciuto che il comunicato evidenziasse che ho preso questa decisione per la mia famiglia, e che avrebbero potuto fare un lavoro migliore nel fornire i protocolli COVID ai giocatori. La gente, invece, legge che ho violato le regole e ho ricevuto una multa di 20.000 dollari. La formulazione è un po' dura, ma a ben vedere non sono stato punito”. Al di là di quello che dice, è pacifico che abbia violato le regole. E le regole non contemplano scappatoie. L'americano sostiene che avrebbe accettato senza problemi una quarantena di 10-14 giorni in un hotel in Russia. “Ma l'opzione mi è stata tolta. Non è che ho saputo di essere positivo e ho deciso di scappare”. Detto che gli si può concedere umana comprensione, le cose non stanno esattamente come dice lui. Intanto ha fatto confusione sulle date: le convulse trattative con organizzatori e ATP non sono avvenute “domenica sera” e nemmeno “un paio di giorni dopo”, bensì lunedì 12 ottobre, il giorno successivo rispetto alla scoperta della positività. A chiarire la faccenda è il comunicato diffuso giovedì 15 ottobre dagli organizzatori, in cui c'è la parola chiave di questa storia, mai menzionata dal giocatore: Rospotrebnadzor. È il nome del servizio federale russo che monitora gli eventi di massa, comprese le competizioni sportive.

Le indicazioni del Rospotrebnadzor prevedono che, oltre all'isolamento, vengano effettuati accertamenti medici sui positivi. Per questo, il torneo aveva predisposto la visita di due medici della clinica privata Sogaz. Il primo tentativo è stato fatto lunedì 12 ottobre ed è andato a vuoto perché Querrey ha detto che il figlio stava dormendo. Il secondo, come da accordi col giocatore, martedì 13. Qualora Querrey e familiari fossero stati asintomatici (lui ha parlato di sintomi molto lievi: 1,5-2 in una scala fino a 10. “Mal di gola, naso colante, ma dopo 3 giorni stavamo bene”), sarebbero stati trasferiti in un appartamento di prima classe, in modo da non avere disagi e non essere un pericolo per la diffusione della malattia. Il comunicato del torneo informa che Querrey ha lasciato l'hotel alle 5.45 di martedì 13 ottobre, senza avvisare nessuno, come evidenziato dalle telecamere di sicurezza dell'hotel. Insomma, è plausibile che il californiano non abbia messo troppo a repentaglio la salute altrui, ma è innegabile che abbia tenuto un atteggiamento irresponsabile e abbia violato le norme. Probabilmente nessuno gli aveva comunicato le regole del Rospotrebnadzor (principale pecca di ATP e/o organizzatori), ma durante le convulse trattative di lunedì 12 è probabile che i dettagli siano emersi. A quel punto, Querrey ha deliberatamente violato i protocolli. Per questo, avrebbe meritato una sanzione più severa rispetto alla sostanziale assoluzione. Di certo, la versione del torneo è più accurata perché fornisce nomi, date e orari. E non ha bisogno di auto-assoluzioni.