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LA STORIA

I misteri di Mariano Puerta

L'avversario di Nadal nella sua prima finale Slam è completamente uscito di scena. La sua ultima apparizione pubblica risale a quasi cinque anni fa. Continuò a professarsi innocente dall'accusa di doping e si concesse alcune insinuazioni sull'argomento. Oggi è quasi irrintracciabile, portandosi dietro mille interrogativi.

Riccardo Bisti
27 luglio 2020

Si dice che oggi viva negli Stati Uniti. Lontano da tutto, forse da tutti. Mariano Puerta è ricordato per aver giocato una finale al Roland Garros, degno avversario di Rafael Nadal nel primo Slam del maiorchino. 5 giugno 2005, una bella partita, 6-7 6-3 6-1 7-5 per Rafa, con tre setpoint per portare il match al quinto. Uno mancato di un soffio, con una volèe in tuffo morta in mezzo alla rete. Oltre a quel grande exploit, accanto al nome di Puerta c'è un asterisco gigante. Anzi, un paio. Il primo si chiama clembuterolo, il secondo etilefrina. Ancora oggi, è l'unico tennista a essere caduto per due volte nella rete dell'antidoping. La seconda positività sopraggiunse quando era tra i top-10. “Ero al telefono con mia madre, mi disse che erano arrivati parecchi documenti e le dissi di inviarmeli – ha raccontato nella sua ultima apparizione pubblica, oltre quattro anni fa – da lì a poco sarebbe iniziato lo Us Open. Mi arrivò una montagna di carte, in mezzo c'era una lettera definita confidenziale. Quando l'ho aperta, ho pensato che fosse un errore”. Un paio di mesi dopo, L'Equipe mandò un inviato a Tokyo apposta per lui, dando in anteprima la notizia della positività. Deboli smentite, stagione regolarmente conclusa.

A dicembre, il botto: 8 anni di squalifica. La quantità di etilefrina era il 400% inferiore rispetto a quanta ne sarebbe stata necessaria per avere un vantaggio sportivo. Però – tribunale dixit - avrebbe dovuto essere consapevole dei rischi che correva, ed essendo recidivo lo stangarono. Andò al CAS di Losanna, spendendo qualcosa come 300.000 dollari e ottenne uno sconto da 8 a 2 anni. “In quel periodo mi dava fastidio tutto, ero furioso” racconta. Il rientro non fu facile. In due anni mezzo vinse un solo torneo (il Challenger di Bogotà, nel 2008), con un picco al numero 149 ATP. Niente Slam, niente tornei del circuito. A fine 2009, durante il Challenger di Lima, si fece ispirare da Mariano Zabaleta, con il quale aveva mosso i primi passi quindici anni prima. Perso il primo set contro Berlocq, Zabaleta scelse di ritirarsi. Così, all'improvviso. Il giorno dopo i due erano in macchina insieme, Puerta avrebbe dovuto giocare il secondo turno. Convinto dal coraggio di Zabaleta, telefonò al direttore del torneo e gli disse: “Sai che faccio? Smetto anch'io”. Niente annunci, niente conferenze stampa. Zero.

Gennaio 2016: l'ultima intervista concessa da Mariano Puerta

"Nadal gioca un tennis molto dispendioso, è normale che sia soggetto a infortuni. Non è normale stare fermo così a lungo e poi vincere 11 tornei su 12. Non so se sia talento naturale: ci sono cose normali per qualcuno, magari non per qualcuno altro. Però ce ne sono alcune che non lo sono per nessuno" Mariano Puerta

Da allora si è progressivamente allontanato da un mondo da cui si sente tradito. Per un anno ha fatto l'allenatore di Brian Dabul, ma il progetto è terminato col matrimonio (e il ritiro) del suo allievo. Ha allenato qualche giovane, ma nel complesso si è lasciato andare. Cinque anni fa ha partecipato a un'esibizione con tutti i componenti della Legiòn, quel gruppo di giocatori che ha portato l'Argentina ai vertici del tennis mondiale. “In realtà non mi è piaciuto, non mi sono divertito molto”. Visibilmente appesantito, ha perso contro Agustin Calleri prima di rilasciare le sue ultime dichiarazioni pubbliche. Un'intervista di 50 minuti con Quique Cano, uno dei giornalisti più noti in Argentina. Difficile capire se le domande fossero concordate, o se la chiacchierata sia sgorgata naturalmente. Puerta ha sempre parlato malvolentieri del doping. Cano non gli ha nemmeno menzionato il primo caso, il clembuterolo rilevato a Vina del Mar nel 2003. Dodici mesi, poi ridotti a nove. Una volta disse che non era responsabile e consapevole di quello che sarebbe potuto accadere. “Ero troppo ingenuo”. Una frase che vuol dire e non vuol dire. Al contrario, non accetta nessun tipo di critica per il secondo episodio.

Mattina della finale del Roland Garros: per errore, avrebbe bevuto dal bicchiere utilizzato dalla sua ex moglie, Sol Estevanez, che all'epoca prendeva una medicazione (Effortil, ndr) contenente etilefrina. “A Parigi ci sono molti controlli, la settimana prima ero stato controllato ed era tutto ok. Non è come dice Ljubicic, secondo cui il primo test è stato dopo il match con lui. Fu il test dopo la finale. Fu molto complicato ricordarsi quello che avevo fatto, minuto dopo minuto”. I fatti sono ormai caduti in prescrizione, ma lo sguardo di Puerta è sempre il solito. Infastidito, seccato. Quando Cano gli chiede di Nadal, rimane in silenzio per qualche secondo. Poi dice: “Gioca un tennis molto dispendioso, è normale che sia soggetto a infortuni. Non è normale stare fermo così a lungo e poi vincere 11 tornei su 12. Non so se sia talento naturale: ci sono cose normali per qualcuno, magari non per qualcuno altro. Però ce ne sono alcune che non lo sono per nessuno”. L'allusione è al 2013, in cui – dopo uno dei tanti stop per ginocchio – il maiorchino vinse dieci dei primi tredici tornei giocati. Un'allusione fine a se stessa, una delle tante che hanno aleggiato sullo spagnolo. Senza lo straccio di una prova, è bene ricordarlo.

"Tutti sanno quali sono le sostanze che garantiscono un vantaggio sportivo. Dovrebbero concentrarsi su quello, non su chi prende un paio di espressi in più" Mariano Puerta

Le fasi salienti della finale del Roland Garros 2005

Puerta ha poi polemizzato sul sistema antidoping, ricordando il Masters del 2005. Degli otto giocatori, cinque erano sudamericani: quattro argentini (Coria, Nalbandian, Gaudio e lo stesso Puerta) più Fernando Gonzalez. A suo dire, un disastro per il sistema. E allora spunta la tesi che gli argentini dessero fastidio, altra frase buttata lì. “Il doping è un affare. Richiede molti soldi. Per questo, ogni tanto qualcuno deve essere sanzionato, altrimenti come fai a giustificarlo? E poi cambiano ogni anno la lista delle sostanze”. Tra i tanti argentini pizzicati, c'è stato anche Martin Rodriguez, punito per... caffeina. “L'anno dopo la sostanza non era più proibita e non sarebbe successo niente. La verità è che tutti sanno quali sono le sostanze che garantiscono un vantaggio sportivo. Dovrebbero concentrarsi su quello, non su chi prende un paio di espressi in più”. Qui potrebbe avere ragione, ma è difficile dargli credito. Troppo particolare il suo carattere, troppo singolare la sua storia. Puerta ha certamente sofferto: dopo la seconda positività ha dovuto restituire la bellezza di 887.000 dollari di prize money. E ne ha spesi molti altri per il ricorso a Losanna. Non c'è da stupirsi, dunque, che sul finire del 2009 si sia presentato al Tribunale di Buenos Aires per dichiarare bancarotta. Però è poco incline all'autocritica.

Ritiene che le due positività siano faccende di poco conto. “Hanno un po' macchiato la mia carriera, ma poi arrivi in fondo e ti rendi conto che queste cose non hanno molta importanza”. L'unico rimpianto che si concede riguarda l'infortunio al polso del 2000. Si operò negli Stati Uniti, ma scelse di tornare troppo presto, a Miami. “Mi preoccupavano i punti da difendere. Vinsi il primo set contro Andrei Stoliarov, mi guardai il polso ed era gonfio come un melone. Ho perso la partita e ho chiuso l'anno al numero 400”. Non è proprio così (a fine 2001 era n.254), ma è vero che perse contatto con i migliori. In effetti, sul finire degli anni 90 aveva fatto grandi cose. Due titoli ATP (Palermo 1998 e Bogotà 2000), tanti buon risultati e un piazzamento tra i top-20. Davanti a lui, Pat Rafter. Subito dopo, Mark Philippoussis. “Oggi ci sono cinque fenomeni, poi dal 6 fino al 25-30 giocano più o meno allo stesso modo – racconta – all'epoca c'erano giocatori fortissimi a tutti i livelli. Il numero 100 di allora giocava meglio del numero 100 di oggi. Il tennis attuale è molto fisico, si tira fortissimo. Ai miei tempi la palla viaggiava meno e poteva esserci un po' di strategia”.

Nato a San Francisco, nei pressi di Cordoba, è cresciuto nel mito di Guillermo Perez Roldan, suo primo e unico idolo. Lo amava al punto da chiedergli di allenarlo. Non poteva sapere l'incubo che stava vivendo e ha avuto il coraggio di raccontare solo oggi (a proposito, sembra che un importante network TV stia preparando un documentario sulla storia di maltrattamenti a cui Perez Roldan fu sottoposto da papà Raul). Cresciuto rapidamente insieme a Mariano Zabaleta, lo ha sfidato nella finale del Roland Garros junior (1995) e insieme hanno vinto la Sunshine Cup. Ai primi Challenger ottenne subito risultati “Ma mi sono reso conto solo qualche anno dopo che avrei potuto giocare ad altissimi livelli. Il problema è che la carriera di un tennista è molto corta. Non è come nel golf, in cui vai avanti fino a 50 anni. E io ho perso tanto tempo. Oggi può essere più lunga perché i nuovi materiali sono migliori, inoltre sono tutti molto preparati fisicamente”. Per chi viene dall'Argentina è ancora più complicata.

La sfida con gli europei era impari. Prendi un qualsiasi tennista europeo che perde al primo turno al martedì. Se vuole, alla sera stessa è già a casa. Si ritrova con moglie, amici, familiari. Il giorno dopo riprende ad allenarsi e il sabato riparte per il torneo successivo. Per noi non era così, eravamo costretti a trasferte di settimane, sempre lontano da casa”. Giusto ricordarlo, così come un'altra considerazione interessante: “Il tennis ti impone di migliorare di un 15-20% all'anno. Se rimani uguale, retrocedi. Se chiudi una stagione al numero 50, per mantenere quella stessa classifica devi necessariamente migliorare. E se non succede cerchi vie alternative, come il cambio dell'allenatore”. O magari altre, meno lecite. Ma questo, Mariano Puerta, non lo ha mai ammesso. Anni fa circolò una malevola insinuazione, secondo cui si sarebbe assunto la responsabilità del doping per coprire qualcun altro, in cambio di una cospicua somma di denaro. Dura crederci, anche perché in caso contrario difficilmente avrebbe dichiarato bancarotta. Ma quando si parla di lui rimane sempre una strana sensazione. Un personaggio misterioso che ha scelto di uscire di scena. Portandosi dietro mille interrogativi.