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IL PERSONAGGIO

“Potevo diventare un top-10”. Obiettivo raggiunto da coach

Sorprendenti dichiarazioni di Fernando Vicente, tecnico di Andrey Rublev e nominato “coach del 2020". “Da giocatore potevo tranquillamente diventare top-10, invece mi sono accontentato”. Ha fatto tesoro degli errori e ha domato un talento puro ma incostante come il russo. E non finisce qui...

Riccardo Bisti
18 gennaio 2021

Lo hanno eletto Migliore Coach dell'Anno. Per Fernando Vicente deve essere stata una grande soddisfazione. Uno dei tanti tecnici spagnoli, ex giocatore, senza particolare considerazione, ha trovato il modo per svoltare. Ha annusato le qualità di Andrey Rublev, è riuscito a entrare nel suo sistema operativo e insieme sono arrivati tra i top-10. Guardi uno, guardi l'altro, e non era per nulla scontato. La coppia fa base a Gavà, nei pressi di Barcellona, laddove si trova la 4Slam Tennis Academy. “Ma non do troppa importanza a questi premi – ha detto Vicente in un'intervista con Lavanguardia, rigorosamente al telefono perché il distanziamento sociale vige un po' ovunque – se anche non l'avessi ottenuto, sarei comunque fiero del nostro lavoro.

Più che altro mi piacerebbe se ci fosse un premio per il team dell'anno: con noi lavorano preparatori atletici, nutrizionisti, fisioterapisti, consulenti... Non siamo mica soltanto noi due”. Non a caso, nell'articolo celebrativo uscito sul sito ATP ha voluto che fossero menzionati tutti, uno a uno. Da giocatore, non gli davano troppo credito. Tipico terraiolo, tanto sudore e poca fantasia. Per trovare la poesia nel suo modo di giocare a tennis, beh, bisognava sforzarsi. Ma Vicente smonta ogni teoria, quella secondo cui gli sforzi, le fatiche e i bla bla bla del tennis spagnolo lo avrebbero portato al massimo del suo potenziale. Macché: lui avrebbe potuto essere un top-10 ATP. Gli archivi ricordano un best ranking al numero 29. L'avventura è iniziata a Benicarlò, nei pressi di Valencia, terra di grandi giocatori. Da quelle parti sono emersi Juan Carlos Ferrero e David Ferrer.

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"Quando giocavo, inviavo un fax a mio padre per dirgli se avevo vinto o no. Non sapeva dove mi trovavo e quando sarei tornato. Adesso, invece, è lui a dirmi che non siamo stati competitivi con la prima di servizio. È tutto sul computer"
Fernando Vicente
Mostrando di essere più che un semplice terraiolo, Fernando Vicente ha saputo impegnare Lleyton Hewitt sull'erba del Queen's

“Diventare professionista non è mai stato un obiettivo, nemmeno da piccolo. Ma poi arrivano i risultati...”: Nel suo caso, alcuni titoli nazionali che gli hanno permesso di spostarsi a Barcellona, presso il Centro di Alto Rendimento a Sant Cugat. Lui e suo fratello gemello José Maria, detto Pepe (n.321 ATP nel 1998), hanno trovato Carlos Moyà, Jacobo Diaz e Galo Blanco. Quest'ultimo avrebbe poi condiviso la sua avventura da coach. Vicente ha avuto una buona carriera, con tre titoli ATP e alcuni successi di rilievo. Su tutti, quello su Andre Agassi a Cincinnati. E poi qualche successo mancato: contro Kafelnikov a Parigi (“Potevo raggiungere gli ottavi, ero avanti 5-3 al quinto... quel giorno ho pianto”) e persino contro Roger Federer, sull'erba di Halle, nell'anno del suo primo successo a Wimbledon. “Ma quella partita è stato il simbolo della mia carriera. Vinto il primo set mi sono arreso. Mi andava bene così, ma nel tennis non puoi ragionare in questo modo. In carriera ho avuto diversi allenatori, diversi metodi, avrei potuto essere tranquillamente un top-10.

Ne ero cosciente, ma nessuno ha saputo convincermi. Sono stato numero 29 e mi andava bene, anche perché ce l'avevo fatta senza fare chissà quale sforzo”. Oggi è un tecnico di valore, si trova dall'altra parte della barricata. A distanza di anni, riconosce quello che è stato il suo limite: non investire a sufficienza su se stesso. “Ma allora era diverso, andava bene così. Adesso tutto passa sotto la lente d'ingrandimento. A suo tempo, inviavo un fax a mio padre per dirgli se avevo vinto o no. Non sapeva dove mi trovavo e quando sarei tornato. Adesso, invece, è lui a dirmi che non siamo stati competitivi con la prima di servizio. È tutto sul computer”. La tecnologia è comunque un fattore positivo: aiutandosi con i nuovi strumenti, è diventato un ottimo coach. La sua reputazione è alle stelle.

Fernando Vicente e Andrey Rublev mostrano i premi ottenuti per il loro fantastico 2020
Fernando Vicente illustra le sue metodologie di allenamento con Andrey Rublev

“Già sul finire del 2019, Andrey aveva dato importanti segnali di crescita. Aveva vinto a Mosca e giocato molto bene nelle Davis Cup Finals. Nel 2020 non mi aspettavo così tanto, a partire dai titoli a Doha e Adelaide e gli ottavi a Melbourne. Mi ha sorpreso la sua regolarità: quando è emersa la chance di arrivare al Masters, ha saputo gestire la pressione”. Lo spagnolo è ben cosciente delle piccole follie e delle stranezze di Rublev. Però ne apprezza lo spirito agonistico, il fatto che non molli una partita. Nel 2020 ha vinto tutte le cinque finali giocate. “In lui ho visto subito un grande potenziale. Tramite lui, sto realizzando me stesso”. E pensare che quest'avventura è nata un po' per caso. Un avvicinamento che vale la pena raccontare: Rublev arrivava da anni di allenamento con Andrei Tarasevich, allo Spartak Mosca, ma ben presto si capì che non era il luogo adatto per crescere. Al momento di cambiare, seppe che il suo buon amico Karen Khachanov lavorava in Spagna, a Barcellona, con Galo Blanco.

Nonostante fosse già impegnato con il connazionale, Blanco accettò di accoglierlo nella struttura. Ma non poteva seguirlo a tempo pieno, così penso di fargli conoscere Vicente. “Non avevo molta voglia di allenarlo – ammette lo spagnolo – ero reduce da quattro anni di lavoro full time con Marcel Granollers e volevo trascorrere un po' di tempo a casa”. Invece la settimana di prova lo convinse a tentare l'avventura, anche se si trovò un ragazzo dal fisico molto debole. “Gli abbiamo fatto capire che i successi non arrivano in fretta. Da giovanissimo non accettava gli errori e ogni tanto perdeva la testa”. È stata una costruzione attenta, paziente. Gli ha dovuto insegnare tutto: cosa mangiare, l'orario a cui scaldarsi, persino imparare a iscriversi ai tornei. In altre parole, lo ha reso responsabile. Gli ha fatto prendere la strada giusta: investire su di sé. Esattamente quello che lui non era stato in grado di fare da giovane.