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L'INTERVISTA

Hasta la Victoria Siempre, Martin

Ex top-50 ATP e membro della Davis argentina, Martin Vassallo Arguello riparte dall'Italia. Oggi è direttore tecnico del TC Cagliari, ma segue con attenzione quanto accade nel circuito. Ex conduttore TV e direttore esecutivo AAT, rimane uno dei più impegnati anche fuori dal campo. Dal Tenis Pobre alla distribuzione dei montepremi, ci dice la sua sull'attualità.

Valentina Guido
21 aprile 2021

Ex tennista con il pallino del giornalismo, ex numero 47 del mondo in singolare e 71 in doppio, un passato remoto nel Tenis Pobre in Argentina, un passato recente come direttore esecutivo della federtennis argentina, un presente da direttore tecnico del Tennis Club Cagliari. Martin Vassallo Arguello, nato a Temperley 41 anni fa, da allora ha già vissuto molte vite. In quella attuale, ha scelto di costruire il nido in Sardegna assieme a sua moglie: “Abbiamo fatto questo cambio di vita, è stata sicuramente una decisione familiare”. Quello del Tennis Club Cagliari “è un progetto sportivo nel quale ho molta fiducia - racconta - stiamo lavorando molto sia dentro che fuori dal campo: parliamo, studiamo, esaminiamo video, ci confrontiamo con la Federazione Italiana Tennis”. Lo abbiamo incontrato durante il Sardegna Open e non possiamo evitare di affrontare con lui alcune tematiche politiche che stanno infiammando il circuito.

Martin Vassallo Arguello è sempre stato un tennista impegnato, con idee chiare e originali. Dopo aver battuto Grosjean a Parigi nel 2006, al termine di una lotta in 5 set, scrisse “HLVS” sulla telecamera: Hasta la Victoria Siempre, forse lo slogan più famoso per chi porta avanti ideali di sinistra. Ed è famosa la spiccata curiosità che lo portò a Santiago del Cile, in occasione della morte di Augusto Pinochet, per intervistare i fedelissimi del dittatore e cercare di capire il loro punto di vista. Parlando con lui, non ci meraviglia che sia stato a lungo conduttore di un programma televisivo su Fox Sports, dal 2009 al 2014: “Si chiamava Segundo Saque. Facevamo vedere la vita dei tornei dove andavo, Challenger o ATP, ma anche gli allenamenti, la lounge dei giocatori e così via”.

Cosa è il “Tenis Pobre”?
Noi diciamo il “tenis pobre”, non il tennista pobre. In quel periodo c’era un gruppo di ragazzi fortissimi in Argentina, erano 13 tra i primi 100: Coria, Zabaleta, Squillari, Nalbandian... E poi c’era un gruppo che ha fatto tanti tornei Challenger e Futures, e dopo i 25 anni hanno iniziato anche loro a entrare nei 100. Questo secondo gruppo è stato battezzato come “tennis povero”. Non l’ho inventato io, è stato un giornalista a scriverlo e noi ci siamo riconosciuti perché raffigurava l’orgoglio di chi ha preso questa strada. Questa rappresentazione ci è piaciuta. Nel 2006 con il terzo turno al Roland Garros, sono stato il primo dei “tenis pobre” a fare un risultato importante; dopo hanno cominciato anche altri. Alla fine anche loro sono entrati nei 100 e siamo diventati, come dicevo, 13. I primi erano fortissimi.

Uno spezzone di una delle 192 puntate di Segundo Saque, la trasmissione TV girata e condotta da Vassallo Arguello tra il 2009 e il 2014. Molte sono ancora reperibili su Youtube

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Stiamo vivendo un periodo difficile per la pandemia: non c’è pubblico, ci sono le bolle e i prize money sono ridotti. Alcuni giocatori sono frustrati. Secondo lei cosa manca di più?
Due cose diverse e tutte e due importanti: una è giocare di fronte al pubblico che è molto più stimolante. Si trova forza, motivazione ed energia giocando di fronte a un pubblico. Anche il fatto di entrare in un circolo di tennis, vedere la gente che chiede foto e autografi, soprattutto i bambini, fa piacere ai giocatori. E poi essere giocatore di tennis è un lavoro pesante, il giorno è lungo ed è fatto di almeno 10 “pezzi”: un momento per la colazione, uno per arrivare al circolo, uno per l’allenamento, un momento per il post-allenamento, un momento per il fisioterapista, per la preparazione atletica… Purtroppo in questo periodo i giocatori non solo devono preoccuparsi di fare bene le cose nel modo giusto, ma devono anche stare attenti a tutti questi protocolli di sicurezza che tolgono la possibilità di avere la squadra che loro normalmente portano nei tornei: manca il preparatore atletico, lo psicologo, e devono modificare il modo di gestirsi. Alcuni stanno soffrendo di più perché sono abituati a fare le cose in un altro modo. Per esempio, il primo giorno vengono da soli ad allenarsi perché l’allenatore non ha ancora fatto il tampone. E poi non c’è la possibilità di mangiare in posti diversi. Uscire dall’atmosfera del torneo ogni tanto fa bene, ma non si può più fare.

Le riflessioni di Martin Vassallo Arguello quando era direttore esecutivo AAT

Dopo aver parlato di “Tenis Pobre”, si può dire che c’è uno squilibrio strutturale nel tennis, se oggi ci sono dei giocatori che fondano la nuova associazione PTPA? Cosa si può fare per avere in prospettiva un tennis un po’ più equilibrato tra chi occupa le prime posizioni e gli altri?
Penso che nel tennis ci sia molto squilibrio, molta differenza tra quello che guadagnano i primi giocatori al mondo e quelli fuori dai primi 100. C'è sempre stato grande sbilanciamento. La situazione è migliorata negli ultimi anni, quando sono aumentati di molto i prize money dei Grand Slam che arrivano fino al numero 110. Quindi tra la posizione 80 e 110 hanno sentito questa differenza, però fino a poco tempo fa chi era intorno al numero 80 al mondo a fine anno non aveva risparmiato soldi: aveva soltanto reinvestito nel suo team, per la sua carriera in viaggi e allenamenti. Quindi si poteva vedere che c’era molta differenza nella preparazione dei primi 10 al mondo e di chi era 80 al mondo. Mentre un giocatore tra i primi 10 viaggiava con allenatore, preparatore atletico, manager, psicologo, kinesiologo, moglie e figli, un 80 al mondo viaggiava solo con l’allenatore e forse stavano insieme tre mesi in giro per tornei. Questa differenza alla fine si vede anche in campo. Non è vero che tutti e due entrano in campo con le stesse possibilità se il modo di prepararsi è diverso. E uno dei motivi è il modo in cui viene diviso il prize money nei tornei in generale. Direi che ci sono due cose che andrebbero sistemate nello stesso momento: alzare i parize money, anche nei grandi tornei, dove ci sono enormi possibilità, e poi migliorare la distribuzione del denaro.

Penso che si potrebbe fare perché i primi 10-15 della classifica hanno anche altri modi di guadagnare come sponsor ed esibizioni, perché sono bravi e famosi e per quanto fanno guadagnare i brand che rappresentano. Invece per chi è 70-80 al mondo questa possibilità è molto ridotta. Ancora di più se parliamo del numero 200 al mondo. E sono sicuro che un ragazzo che oggi è 180 al mondo fa esattamente lo stesso sforzo di un top ten: il suo coinvolgimento, le sue ore di allenamento, i suoi sforzi per migliorare. Penso che sia una differenza che il nostro sport ha sempre avuto. Ma adesso con i social media i giocatori hanno più possibilità di farsi sentire. Prima non era così semplice, si parlava solo dentro i meeting dei giocatori e forse usciva un comunicato ufficiale e basta. Adesso invece se un giocatore vuole dire qualcosa prende Twitter e Instagram, lo dice, e quella diventa subito un’agenda, una cosa di cui parliamo tutti. Lo stesso per la possibilità di creare un’associazione: si sono messi d’accordo con un tweet e l’hanno fatta. I tornei e i primi 15 giocatori al mondo all’inizio potrebbero vederla come una perdita di privilegi e di soldi, però penso che a lungo termine anche loro ci guadagnerebbero. Avere uno sport più potente con molti più giocatori che giocano bene, più allenati, più preparati, con molti più allenatori coinvolti nei tornei, converrebbe a tutti. Ci sarebbe un investimento più alto nel nostro sport e sarebbe meglio per tutti.