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Da Pietrangeli a Berrettini, passando per... Pietrangeli

Il primo maestro di Matteo Berrettini si chiama Pietrangeli, proprio come l'unico semifinalista italiano a Wimbledon... prima di lui. Corsi e ricorsi storici che potrebbero avere un finale ancora più bello. Perché il prossimo avversario non si chiama Rod Laver.

Riccardo Bisti
8 luglio 2021

In questa storia il nome ricorre due volte, eppure non esiste alcun legame di parentela tra Nicola e Raoul Pietrangeli. Il primo è il tennista italiano più titolato di sempre, fino a qualche ora fa l'unico a giocare una semifinale a Wimbledon. Il secondo è un semplice tecnico nazionale, che da quasi 34 anni (ha iniziato la sua avventura nel 1987) insegna presso il Circolo Magistrati della Corte dei Conti, piccolo club romano laddove ha iniziato a giocare Matteo Berrettini. Nicola o Raoul, per descrivere la fantastica impresa di Matteo Berrettini c'è sempre un Pietrangeli. 61 anni dopo, l'Italia ha di nuovo un semifinalista nel tempio del tennis, un luogo talmente leggendario che fece tremare le gambe anche al guascone Nick. “Perché mettere piede sul Centre Court è un po' come entrare sul ring del Madison Squadre Garden per un pugile” ebbe a dire Pietrangeli, che nell'edizione che si svolse appena prima delle Olimpiadi (altro punto in comune con oggi) era il quinto favorito. Il suo percorso si infranse in semifinale contro Rod Laver. Una dura battaglia di cinque set, quando il tie-break non esisteva ancora.

Finì 4-6 6-3 8-10 6-2 6-4 per Rocket, che non era ancora il fenomeno capace di completare per due volte il Grande Slam. Nei quarti, Nicola aveva fatto l'impresa contro Barry Mackay, numero 2 del tabellone. I suoi flash di quel torneo riguardano proprio quarti e semifinale. “Il primo è l'errore di Mackay su una palla facile. Era il matchpoint che mi diede l'accesso in semifinale. Il secondo è un mio passante di rovescio, sul 4-4 e 30-30 al quinto contro Laver. Lo avevo sorpreso, ma la palla si è fermata sul nastro. Magari avrei perso lo stesso, ma sarei arrivato a palla break per servire sul 5-4...”. Era il 2013 quando Pietrangeli raccontava queste cose e poteva parlare con una certa leggerezza del suo primato, giacché all'orizzonte non si vedeva nessuno in grado di eguagliarlo. “Egoisticamente sono orgoglioso di avere questo primato, ma se qualcuno mi eguaglia sono contento. Diciamo che questo è il mio record più battibile, mentre per gli altri non c'è storia”. Chissà se è vero, dopo aver ammirato il Berrettini delle ultime settimane. Quarti a Parigi, in cui ha impegnato allo stremo Djokovic, trionfo al Queen's, e adesso questa splendida semifinale, la seconda in uno Slam dopo quella ottenuta allo Us Open 2019.

ASICS ROMA
"Sapevo di potercela fare, e so che la corsa non è finita. Ho più esperienza e partite alle spalle. Quello che sto ottenendo è fantastico, ma me lo aspettavo"
Matteo Berrettini

A sostenere Matteo c'è anche la fidanzata Ajla Tomljanovic, ottima quartofinalista nel singolare femminile. I due potrebbero giocare il doppio misto allo Us Open

Pietrangeli vinse due Slam (Roland Garros 1959 e 1960): sicuri che questo Berrettini, con i tre fenomeni sempre più vicini al ritiro, non sia in grado di fare altrettanto? O magari meglio? Contro l'amico Felix Auger-Aliassime, suo complice-sparring durante la quarantena australiana, ha vinto da campione. Solo il primo set è stata routine, dominato (fino al 5-1) da un servizio bum-bum che ricorda i bombardieri degli anni 90, tipologia di giocatori che sembrava stroncata dall'arrivo dei Big Three. Poi sono arrivate le incertezze, la stanchezza, un Auger-Aliassime che giocava sempre meglio e intascava il secondo set. Il canadese giocava meglio nel terzo, ma non riusciva ad azzannare un Berrettini più lento e falloso del solito. Ma con i fili ben collegati nel meccanismo cerebrale: appena il canadese ha commesso qualche errore, gli è saltato sopra. Dal 5-5 al terzo, ha raccolto cinque game di fila che gli hanno aperto le porte del Centre Court, non ancora frequentato in questa edizione. L'appuntamento è venerdì 9 luglio, intorno alle 17.30 italiane. Ha dovuto giocare due volte il matchpoint, perchè il suo servizio vincente aveva sfiorato il nastro. Risate dei presenti, ma non per lui. L'emozione è arrivata qualche secondo dopo. Forte, intensa, ma densa di consapevolezza. “A New York non immaginavo di andare così lontano – ha detto – ho giocato partita dopo partita e mi sono ritrovato in semifinale. Qui sapevo di potercela fare, e so che la corsa non è finita. È diverso. Sentivo di essere più forte, ho più esperienza e partite alle spalle. Quello che sto ottenendo è fantastico, ma me lo aspettavo”.

Parole di un top-10 fisso, uno che ha imparato a stare lassù. Al di là dei numeri (è già quinto nella Race to Turin), Berrettini non è uno di passaggio. È questa la grande differenza tra lui e chi è arrivato prima. E qui entra in ballo l'altro Pietrangeli, quel Raoul che ne ha accarezzato i progressi dai 7 ai 14 anni. “Ma non mi prendo più del 20% dei meriti” ha detto in un'intervista di un mese fa, con ammirevole modestia. Secondo il Pietrangeli meno famoso, quando il piccolo Matteo scelse di dedicarsi al tennis (cedendo alle insistenze del fratello minore Jacopo. n. 448 ATP), mostrò sin da subito una spiccata voglia di lavorare e seguire gli insegnamenti. “Una volta si fece male al polso sinistro, ma chiesi ai suoi genitori di portarlo ugualmente per lavorare sul rovescio in slice. Lo fece con grande serietà e questo è notevole, perché molti suoi coetanei sarebbero rimasti a casa”. L'aneddoto vale ancora di più perché il rovescio tagliato è una delle tre armi principali del Berrettini londinese: BIM, il servizio-bomba. BUM, il dritto-fiammata. BAM, questo slice che quasi non rimbalza e costringe gli avversari a giocare fuori posizione e ad accomodargli palle facili per il suo dritto. Lo stesso Aliassime, in conferenza stampa, lo ha confermato.

L'abbraccio tra Matteo Berrettini e Felix Auger Aliassime

2019: Raoul Pietrangeli e mamma Claudia raccontano il piccolo Berrettini

In attesa che emergano i nostri Baby Fenomeni Sinner e Musetti, oggi l'Italia si gode un tennista che il nostro Paese non aveva mai prodotto. Intanto sul piano tecnico, poi – altrettanto importante – su quello comportamentale. Ben guidato da Vincenzo Santopadre, si è tolto il prima possibile dalle tipiche dinamiche italiane (troppa attività giovanile, troppa terra battuta, poca voglia di uscire dalla comfort zone). Ha lavorato su se stesso, si è costruito una mentalità internazionale e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si è fidanzato con una collega straniera, risiede a Monte Carlo (e nessuno – giustamente – gli rompe le scatole, come invece hanno fatto – ingiustamente – con Sinner) e si è approcciato nel modo giusto con i media, dote importantissima al giorno d'oggi. Non ci sono linee d'ombra nel personaggio Berrettini, che anzi emana una serenità che si esprime sul campo, con un atteggiamento da big. Lui ci ha messo del suo, ma ha avuto la fortuna di avere accanto le persone giuste, a partire dalla famiglia.

Papà Luca e mamma Claudia si vedono poco, il fratello Jacopo non cerca visibilità gratuita nonostante abbia un ruolo cruciale in questa storia, e al Circolo della Corte dei Conti si respira un'aria pulita, laddove mostrano con orgoglio le sue foto di bambino. Per non parlare di Vincenzo Santopadre e del team che gli ha costruito attorno, anno dopo anno, partendo dal Circolo Canottieri. Una bella storia, pulita, che però non è ancora finita: il prossimo ostacolo si chiama Hubert Hurkacz, giustiziere di Federer e colui che bloccò Sinner in finale a Miami. Un timidone con la passione delle auto veloci, che ha trovato il suo Santopadre in Craig Boynton, coach americano che lo ha trasformato nel prototipo del giocatore moderno. Un avversario molto duro. Matteo lo sa, ma sa anche che la favola non è finita. “Hurkacz? Sta giocando bene, è sicuro di sé e la vittoria su Federer gli avrà dato ancora più fiducia. Ma penso di avere la possibilità di vincere”. Di certo non è Rod Laver. E questa è già una buona notizia.