The Club: Bola Padel Roma
LA STORIA

Da baby prodigio a camionista. Ma Jasika è tornato

Squalificato per aver consumato cocaina, Omar Jasika ha ritrovato se stesso dopo quattro anni di stop forzato. A febbraio era senza classifica, oggi è vicino ai top-200. Durante la pausa aveva fatto l'operaio e lavorato in una discoteca. “Il mio sogno? Poter raccontare la mia storia e aiutare i più giovani”.

Riccardo Bisti
13 dicembre 2022

Quando l'agenzia australiana antidoping gli ha comunicato che era risultato positivo alla cocaina, Omar Jasika non ha pensato alle conseguenze del suo gesto: squalifica, reputazione, carriera buttata via. No, ha pensato a come avrebbe potuto raccontarlo ai suoi genitori. Papà Mitch e mamma Sabina avevano fatto mille sacrifici per permettergli di fare il tennista e lui li aveva ripagati così, con un gesto più stupido che colpevole. “Ho pensato a questo, perché avevo buttato tutto nella spazzatura” ha ribadito due volte, in un'intervista di questa estate. A differenza di molti altri giocatori, che lottano disperatamente per provare la loro innocenza, lui ha persino rinunciato al diritto di difesa. “Sono colpevole, fate pure”. Era il 30 ottobre 2018 quando l'ASADA ha diffuso la notizia di una squalifica di due anni. Aveva 21 anni e si era bruciato il credito conquistato qualche anno prima, quando era un baby prodigio ed era tra i migliori amici di Nick Kyrgios. Avevano anche giocato il doppio insieme all'Australian Open, e il connazionale aveva un atteggiamento protettivo nei suoi confronti. Chiedeva ai media australiani di non mettergli troppa pressione, forse perché lui c'era già passato. E Jasika era un signor prospetto: nel 2014 è diventato il secondo di sempre a infilare il doblete allo Us Open junior (prima di lui ce l'aveva fatta Javier Sanchez nel 1986).

Battè in finale Quentin Halys, ma rivedere quel tabellone mette i brividi. C'erano Taylor Fritz, Andrey Rublev, Frances Tiafoe, Reilly Opelka, Alexander Bublik, Tommy Paul e... Matteo Berrettini. Il romano aveva passato le qualificazioni e perse negli ottavi contro il tedesco Choinski, poi battuto da Jasika in semifinale. Tutti ai piedi di questo mancino australiano, classe 1997. Ma aveva già una personalità vivace e inquieta. Un anno e mezzo dopo annunciò il ritiro dopo aver perso nelle qualificazioni di un Challenger, salvo poi ritrattare qualche ora dopo. “Avevo scritto a caldo, ma credo che gli alti e bassi facciano parte della vita di un atleta. Non sono pronto a cedere così facilmente”. Aveva impiegato un anno a entrare tra i top-300 ATP (è stato numero 239 nell'aprile 2017), ma poi si era un po' incagliato. Per carità, aveva vinto un match all'Australian Open 2016 ed era arrivato a sfidare Tsonga e Ferrer, ma era ben lontano da quello che sognava. E che gli avevano fatto credere. E poi era immaturo, al punto da concedersi qualche licenza di troppo fuori dal campo. Zac: controllo antidoping durante i playoff per l'Australian Open, l'11 dicembre 2017. Cocaina.

ASICS ROMA
«Ho iniziato a fare l'addetto alla sicurezza in discoteca. Ho scoperto che c'è chi alza al mattino presto in nome di un obiettivo, e chi invece si lascia andare. Ho capito come funziona il mondo» 
Omar Jasika

Omar Jasika ha ripreso a giocare lo scorso febbraio, al torneo ITF di Canberra. Non svolgeva attività internazionale da quattro anni

“Ma non sono una brutta persona per questo, non ho fatto danni a nessuno. Più della metà dell'umanità fa quello che ho fatto io. Due anni di stop per aver consumato una droga ricreativa sono duri. Ma questo mi ha reso una persona migliore”. Oggi Jasika è il figliol prodigo del tennis: causa Covid, lo stop è passato da due a quattro anni. A inizio anno era senza classifica, senza nulla. Però voleva dimostrare a se stesso di essere ancora un tennista. E così ha chiesto una wild card per le qualificazioni di un ITF a Canberra. Le ha passate, poi è giunto nei quarti. Al quarto torneo ha già sollevato il trofeo, dando il via a una stagione straordinaria: 93 partite, 70 vittorie, cinque titoli e una classifica al numero 229 ATP, sufficiente per giocare le qualificazioni all'Australian Open. “Il mio obiettivo stagionale era chiudere tra i primi 250, ma non pensavo che ce l'avrei fatta, il tennis è cambiato e gli avversari sono sempre più forti – racconta il 25enne di Melbourne – non mi aspetto che Lleyton Hewitt mi assegni una wild card per l'Australian Open, ma punto a raggiungere il main draw degli Slam con le mie forze. Credo che succederà”.

Pochi credevano nella sua rinascita: papà Mitch che ha continuato ad allenarlo, la Kooyong Foundation che gli dà ancora una mano (oltre all'abbigliamento), e la fidanzata Hannah King, che lo ha accompagnato nella lunga campagna europea in estate. “Sono stato fortunato a non viaggiare da solo. Il tennis è uno sport molto solitario, chissà come sarebbe andata senza di lei”. Non smette mai di ringraziarla, e l'ha portata con sé alla cerimonia della Newcombe Medal, la serata di gala del tennis australiano. Soltanto un anno fa non avrebbe mai pensato di essere invitato, mentre adesso ha raccolto materiale per i suoi progetti futuri. Perché Omar non ha perso la vivacità intellettuale, semplicemente la usa in altro modo. È convinto che una persona trovi se stessa solo intorno ai 24-25 anni, e adesso i suoi progetti sono diversi: “A fine carriera vorrei mettere in piedi un'accademia, o magari scrivere un libro e raccontare la mia storia, in modo da aiutare i giovani atleti, travolti dalla pressione della stampa e dalle cattive compagnie”.

Nel 2014, Jasika vinceva lo Us Open junior. Prima di lui, gli unici australiani a farcela erano stati Pat Cash (1982) e Bernard Tomic (2009)

Omar Jasika e la fidanzata Hannah King alla serata di gala per la consegna della Newcombe Medal

Intanto terrà qualche discorso motivazionale, spinto dall'irrefrenabile voglia di raccontarsi. In effetti ha tanto da raccontare, Omar Jasika, soprattutto del suo periodo lontano dal tennis. Ha sentito il bisogno di staccare, che poi era anche una necessità: gli sponsor lo avevano abbandonato, i soldi erano finiti e non voleva gravare ancora sulle spalle dei genitori. “Mi allenavo una volta a settimana, giusto per restare in forma, ma ho iniziato a lavorare”. Roba umile: prima l'operaio in una fabbrica. Guidava il camion e poi, con il carrello elevatore, portava i condizionatori d'aria a domicilio. “Poi ho iniziato a fare l'addetto alla sicurezza in discoteca. Mi ha permesso di vedere l'altra faccia della realtà: ho scoperto che c'è chi alza al mattino presto in nome di un obiettivo, e chi invece si lascia andare. Ho capito come funziona il mondo”. Esperienze frustranti, che però hanno restituito un tennista – ma soprattutto un uomo – tirato a lucido. Quando gli hanno chiesto qual è il suo sogno, ha sorpreso: nessun obiettivo tennistico, ma qualcosa di più alto, persino filosofico.

“Mi piacerebbe che tutti si aprissero e raccontassero quando stanno male. Tutti commettono errori: è bello ascoltare le storie delle persone, se tutti lo facessero ci si potrebbe aiutare reciprocamente. Non va bene tenersi tutto dentro. Se tutti potessero leggere o ascoltare la ma storia, poi potrebbero raccontare la loro. Ecco, questo è il mio sogno”. Magari un giorno metterà tutto nero su bianco, mentre per adesso lavora duro per la stagione più importante della sua vita, quella che dovrebbe portarlo tra i top-100 ATP. Lui sostiene che sia probabile, anche se ammette che vivere in Australia non è un vantaggio. “Gli europei perdono una partita e possono subito andare a casa, mentre noi non possiamo. Credo che gli australiani dovrebbero trovarsi una base in Europa, anche solo un posto dove appoggiare i bagagli. Io spendo 150 euro ogni volta soltanto per le mie borse da tennis: sono molti soldi”. Comprende la scarsa voglia di viaggiare di Kyrgios, e c'è da credere che abbia compreso il disagio di Ashleigh Barty. Lei poteva permettersi una base, ma dopo un'eternità lontano da casa... si è ritirata da numero 1 del mondo. Omar Jasika ha ancora molto da dimostrare, anche a costo di continuare a fare il vagabondo della racchetta.