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ROLAND GARROS

A Carlitos non interessavano battelli e Limousine

Prima in TV, poi dai piedi della Torre Eiffel, infine dalle tribune dello Chatrier: Carlos Alcaraz ha sempre sognato di vincere il Roland Garros. Missione compiuta in un'assolata domenica parigina. “È una bestia, un animale” dice Zverev. Ma Carlitos sa esserlo col sorriso. Da sempre.

Riccardo Bisti
10 giugno 2024

Chissà se Xiaofei Wang ha visto la finale del Roland Garros. Il cinese sgomita nelle retrovie del ranking ATP, incagliato in 538esima posizione, ma ha già trovato il suo posto nella storia del tennis. Nove anni fa era tra i baby tennisti invitati da Longines per partecipare a quello che – a tutti gli effetti – era un Roland Garros riservato agli Under 13. La nota marca di orologi svizzeri selezionava una serie di giovani promesse e le invitava a Parigi, trattandole come star e facendole giocare su campi appositamente allestiti ai piedi della Torre Eiffel. In palio un trofeo, un orologio Longines e una borsa di studio a copertura delle spese fino al compimento dei 16 anni. Wang vinse il torneo battendo in finale l'inglese Jack Pinnington Jones, ma quel weekend parigino è diventato leggenda per la presenza di Carlos Alcaraz (oltre che di Holger Rune, Arthur Cazaux e il nostro Giorgio Tabacco). Il murciano perse in semifinale contro Wang (2-4 4-1 7-1 lo score), ma fu allora che iniziò a scriversi il destino. Senza sapere che quel filmato sarebbe diventato virale, un giornalista gli fece un minuto di intervista.
Nome? Carlos Alcaraz
Età? 12 anni.
Qual è il tuo torneo preferito? Roland Garros.
Quale sarebbe il tuo sogno da professionista? Vincere Roland Garros e Wimbledon.
Chi è il tuo giocatore preferito? Roger Federer.

Era tutto vero. Quando Carlitos si è rivelato al grande tennis, battendo Stefanos Tsitsipas allo Us Open 2021, smorzò le suggestioni sul ruolo di possibile “Nuovo Nadal”, sostenendo di assomigliare più a Roger Federer. Ed era tutto vero quello che ha detto durante la premiazione del Roland Garros, dopo la maratona di cinque set contro Alexander Zverev. Rivolgendosi ai suoi genitori, ha ricordato di quando era un bambino e tornava a casa dopo la scuola, accendendo la TV per assistere proprio al Roland Garros. Erano i primi anni del dominio Nadal ed è normale che uno spagnolo volesse vincere lo Slam più vicino, sia geograficamente che culturalmente. Il destino ha voluto che vincesse prima a New York e poi a Londra, ma Parigi ha un sapore diverso. L'ha anche detto in conferenza stampa, con la Coppa dei Moschettieri a fare bella mostra accanto a sé. “Questo è lo Slam di cui vado più orgoglioso”. Il motivo è semplice: il problema all'avambraccio che lo ha costretto a saltare i tornei di Monte-Carlo, Barcellona e Roma. Giusto qualche partita a Madrid, peraltro non entusiasmante. “Ma ho sempre detto di non aver bisogno di troppe partite per essere al 100%” dice il murciano, il più giovane di sempre a vincere Slam su tre superfici diverse.

Lo sapevi che...

Più di mille persone hanno assistito alla finale del Roland Garros a El Palmar, sobborgo di Murcia laddove è nato Carlos Alcaraz. Le istituzioni locali hanno allestito un maxischermo in Avenida Pintor Pedro Cano, con 800 posti a sedere e altrettanti ventagli per resistere al caldo, visto che da quelle parti c'erano più di 30 gradi. Inoltre, lo sponsor dell'evento (Estrella de Levante) ha messo a disposizione 500 cappelli di paglia per proteggersi dal sole. C'era talmente tanta gente che in tanti hanno assistito all'incontro in piedi, fino all'esplosione di gioia dopo l'ultimo punto. Carlitos è legatissimo alla sua terra, al punto da non aver mai spostato la residenza.

Pur essendo stato in svantaggio due set a uno, non ha mai davvero rischiato di perdere contro l'orgoglioso Alexander Zverev. Nel terzo e nel quarto lo ha dominato, infilando un parziale di dodici game a tre. Al netto di un errore arbitrale che avrebbe permesso a Zverev di agganciare il 2-2 nel quinto set, si vedeva che Carlitos aveva più benzina. “Siamo entrambi forti, ma lui è una bestia – ammette Zverev – è un animale, mette un'intensità diversa rispetto agli altri. Nel quinto set ha cambiato tattica, giocando più alto e più profondo per non darmi la possibilità di generare potenza. Inoltre, con le ombre, il campo era diventato più lento. Però nel quarto e nel quinto ha giocato meglio di me”. Più o meno le stesse cose dette da Stefanos Tsitsipas, secondo cui la palla di Alcaraz è più pesante e profonda rispetto agli avversari, al punto da farlo sentire vittima di un rito voodoo. È una bella storia, quella che lega Carlos Alcaraz al Roland Garros. Tutto nasce da quella presenza del 2015, quando trascurò il trattamento vip riservato da Longines (hotel di lusso, spostamenti in Limousine, giro in battello sulla Senna) per respirare l'aria del Philippe Chatrier, laddove avrebbe voluto giocare da protagonista. Con lui c'era il maestro di allora, Carlos Santos Bosque, l'uomo che insieme a Kiko Navarro ha intuito per primo il suo valore, la sua straordinarietà rispetto ai coetanei. Santos Bosque ha messo a disposizione alcune immagini, compresa quella che vedete in cima, che oggi assumono un grande valore simbolico e faranno la gioia dei social media manager.

Vedrete decine di collage che ritrarranno il bambino con maglietta blu, logo Longines e bandierina della Spagna, unite a quelle di oggi: lo stesso bambino di allora,cresciuto di dieci anni e con la Coppa dei Moschettieri tra le mani. Le qualità che gli hanno permesso di vincere a Parigi sono state forgiate da Santos Bosque presso l'ormai iconico Real Sociedad Club de Campo, ex ritrovo di cacciatori che oggi è una sorta di luogo sacro del tennis mondiale. Figlio del presidente, Carlitos ha iniziato a giocare all'età di 4 anni e già da piccolo aveva mostrato qualità fuori dal comune. Altro che palline morbide e campi da minitennis: lui e i suoi tre compagni dell'epoca (Pedro, Fulgencio e Javi) erano in grado di palleggiare da fondocampo, stimolati dai sistemi di allenamento di Santos Bosque, efficaci ma senza togliere spazio al divertimento: mazze da baseball che sostituivano le racchette per migliorare la precisione sul rovescio, porticine da calcio collocate in punti strategici per simulare un gol, telecamere GoPro per studiare i movimenti e secchi piazzati nei pressi della rete per allenare la smorzata. “A 8 anni era già forte – dice con orgoglio Santos Bosque – la differenza con i coetanei? Finita la lezione, gli altri se ne andavano. Lui, invece, cercava sempre un altro campo, un altro gruppo. Non voleva mai smettere di giocare”. Unico punto debole, il servizio. Per questo, intorno agli 11 anni di età, si ritrovavano ogni sabato per lavorare esclusivamente su questo fondamentale.

Sin da bambino, Carlos Alcaraz aveva evidenziato qualità superiori alla norma

Era talmente forte rispetto ai coetanei che lo fecero giocare contro ragazzi più grandi di lui, ma questo non gli impediva di vincere. Come quando si impose alla prova Under 12 del Mutua Madrid Open. Giocò la finale sul campo intitolato ad Arantxa Sanchez: inizialmente c'era poco pubblico perché erano in corso alcuni match del torneo professionistico. Game dopo game, tuttavia, gli spalti si riempirono di entusiasmo e curiosità. Erano gli anni in cui Santos Bosque faceva apprendere a Carlitos e a Pedro (l'unico del quartetto a reggere i suoi ritmi, salvo poi perdere contatto) i rudimenti di un comportamento professionale. Per esempio, negli hotel gli altri ragazzini mangiavano deliziosi cioccolatini. “Niente da fare: io davo loro pane tostato con olio, tacchino e uova strapazzate”. Carlitos era esattamente come oggi: sorridente, giocherellone, entusiasta. Durante gli allenamenti imitava Tsonga, Djokovic e Nadal. Aveva avuto la possibilità di conoscere quest'ultimo, ma il suo idolo ha continuato a essere Federer. Pur avendo ereditato da Rafa una straordinaria etica del lavoro, per lui il tennis è sempre stato un gioco e mai un'ossessione. Lo si vede dal suo antico profilo Instagram, oggi abbandonato ma miracolosamente online, in cui si vede un bambino incredibilmente normale. Non era certo un baby professionista, instradato sulla via del successo.

Amava i social media e aveva la tendenza a trascorrere un po' troppo tempo al cellulare, così Santos Bosque doveva tenerlo costantemente attivo per migliorare la qualità del suo riposo ed evitare inutili sprechi di energie. Il campione di oggi si è costruito così, in modo semplice. E pazienza se il titolo junior a Parigi non è arrivato: Carlitos si è rifatto con gli interessi, trionfando laddove Nadal è stato imbattibile per quattordici volte, facendo risuonare ancora una volta l'inno spagnola. Nei momenti più emotivi ha resistito alla commozione, ma non era superficialità: Carlitos è così, è entusiasta della vita ed è ancora troppo presto per guardarsi indietro e ripensare al percorso. Vincerà ancora tantissimo (“Possiamo ipotizzare tra i 12 e i 15 Slam” ha detto Alex Corretja) e allora subentreranno emozioni nuove. Adesso Carlos si godrà la sbornia post-successo, a partire dal servizio fotografico riservato al vincitore, poi inciderà su pelle il ricordo di questo successo. Dopo quelli per lo Us Open (gomito) e Wimbledon (caviglia sinistra) si farà un tatuaggio sulla caviglia destra. L'idea è il disegno della Torre Eiffel con la data del trionfo: 9 giugno 2024. Quella stessa Torre Eiffel alla cui ombra aveva iniziato a sognare di vincere il Roland Garros. Probabilmente non gli interessava più di tanto battere Xiaofei Wang, perché voleva mettere il naso sul Philippe Chatrier. E farlo da protagonista. Missione compiuta.