The Club: Bola Padel Roma
ASICS TENNIS ACADEMY

The Therapist: Matteo Tinelli

Ad appena 26 anni, e con un passato da valido agonista, Matteo Tinelli è già uno dei fisioterapisti più apprezzati del circuito. Ha "sistemato" Holger Rune e Brandon Nakashima: oggi sogna di vincere Roma nella nuova veste, raggiunta passando da un'affascinante esperienza nel College USA. 

Intervista di Riccardo Bisti
12 dicembre 2023

Il tennis si può amare in tanti modi. E in tanti modi può dare soddisfazione. È certamente il caso di Matteo Tinelli, giovane fisioterapista che a 26 anni di età vanta già esperienze con alcuni top-player e si è costruito una solida fama nel circuito. Per questo è entrato in ASICS Tennis Academy, la cui struttura non si limita agli allenatori, ma abbraccia figure professionali di vario genere. A maggior ragione se hanno una storia interessante come Tinelli, che qualche anno fa sognava di diventare un campione, poi ha intrapreso un interessante percorso nel college americano. È finita che si è occupato dei muscoli di un top-player come Holger Rune. Ed è convinto che il danese diventerà numero 1 del mondo.

C'è stato un momento in cui hai capito che non avresti sfondato come giocatore, ove per “sfondare” si intende l'ingresso tra i top-100 ATP? (Tinelli è stato al massimo n.988 nel 2017, ndr)
Una volta terminato il liceo, dovevo decidere se fare il professionista o andare negli Stati Uniti a studiare. Poiché avevo una buona classifica ATP per avere 18 anni, ricevetti parecchie offerte. In quel momento (anche a causa di qualche problema familiare), in campo il braccio ha iniziato a tremare. La pressione mi ha travolto e in quel momento ho capito che non faceva per me, perché più si va avanti e maggiore è il peso da sostenere. A mio avviso, inoltre, avevo dei limiti tecnici per arrivare in alto, ovvero tra i primi 70-100 del mondo. Avendo avuto offerte importanti dagli States, in famiglia mi avevano spronato a intraprendere quella strada. È stata una decisione presa tutti assieme, non certo a cuor leggero.

Hai giocato contro alcuni futuri top-100: Griekspoor, Mager, Garin, Altmaier... qualcuno ti ha colpito da pensare che sarebbe diventato molto forte, e che sarebbe stato “troppo” per te?
Griekspoor. Da junior avevo giocato contro Ruud e Tsitsipas, ma non mi ero mai sentito di un'altra categoria rispetto a loro, anche se da piccoli è un po' diverso. L'unico che mi fece sentire indietro fu Griekspoor, mi aveva proprio dominato. La partita con Mager fu il mio secondo Futures in carriera, quindi l'avevo vissuta proprio come un'esperienza. Tra l'altro, Gianluca è stato il primo con cui ho collaborato nella mia seconda vita lavorativa.

Hai detto di aver ricevuto diverse offerte: come mai hai scelto proprio la Boise State University? Non è esattamente la prima università che viene in mente quando si pensa al mondo NCAA...
Vero. Quando hai buoni risultati a livello junior, le università ti rincorrono. Infatti ho avuto proposte da Stanford, Harvard, Cornell... le migliori. Ho scelto Boise State per due ragioni: intanto la loro facoltà di fisioterapia è una delle migliori del Paese. E poi, quando ho visitato l'università mi aveva fatto un'ottima impressione, sia per il programma sportivo che come organizzazione e ambiente. Inoltre andavo con un amico, Mattia Bedolo: ai tempi giocava anche lui.

Mentre ti recavi in Idaho, a cosa pensavi? Avevi paura di quello che ti aspettava, oppure eri più speranzoso ed entusiasta?
Non parlavo inglese, l'ho imparato lì. A suo tempo parlavo un inglese davvero basico, del tipo the cat is on the table. All'inizio avevo un po' paura, anche perché ai miei tempi la scelta di andare al college non andava di moda come oggi. Avevo fatto un liceo “basilare” perché giocavo molto a tennis, quindi ero un po' spaventato: andavo da solo e non avevo bene idea di cosa avessi davanti. Per fortuna, le cose non sono andate male.

«Ho scelto Boise State per due ragioni: intanto la loro facoltà di fisioterapia è una delle migliori del Paese. E poi, quando ho visitato l'università mi aveva fatto un'ottima impressione, sia come programma sportivo che come organizzazione e ambiente»

Un voto alla tua esperienza negli Stati Uniti? E poi, la consiglieresti a un aspirante professionista?
Nonostante alcuni problemi familiari extra che hanno reso tutto un po' più pesante, darei un solido 8 alla mia esperienza. La consiglierei, senza dubbio, a condizione che non si abbia troppa fretta di fare il professionista ed entrare tra i top-100. Se ci limitiamo alla crescita tennistica di un ragazzo, l'università non è la cosa migliore che si possa fare. A livello di vita, invece, è incredibile spostarsi dall'altra parte del mondo a 18-19 anni: da una parte impari la lingua e ti devi dare una mossa, dall'altra ti costruisci un piano B per la vita post-tennis. Oggi le carriere durano talmente tanto, fino ai 34-35 anni, che secondo me ci si può permettere di perdere tre anni per prendere una laurea negli Stati Uniti. Una titolo di studio di quel tipo apre molte porte, sia lavorative che per fare il coach nelle varie università: si tratta di un ottimo ripiego. In sintesi, lo consiglio a tutti coloro che non hanno fretta, pur considerando che per la carriera tennistica è un piccolo rallentamento. Ma a livello di vita è un jolly incredibile.

Hai avuto una mezza idea di tornare a fare il professionista, oppure il tuo progetto iniziava a essere un altro?
Sono nato e cresciuto con l'idea di fare il professionista. Credo che sia una parte molto difficile da mettere da parte. L'ho notato in tanti ex giocatori, ma anche in ragazzi ancora in attività. Il pensiero c'è stato: quando sono tornato dall'America avevo ipotizzato di provarci, però è molto difficile ricominciare dopo quattro anni di inattività.

Il mondo NCAA gode di un'ottima reputazione, come se fosse un luogo idilliaco. Esistono lati negativi? Per esempio, si legge spesso di abusi nei confronti delle ragazze (di recente abbiamo parlato della misteriosa morte di Carolina Lewis, ndr). Esiste un lato oscuro oppure è davvero una realtà idilliaca?
Come in ogni cosa, c'è un altro lato della medaglia. Il lato oscuro a livello tennistico è che si entra in una realtà con 10-12-15 giocatori e soltanto due allenatori. Per questo, non sei seguito al meglio. C'è un'altra cosa che si fatica a capire: quando arrivi, firmi un contratto di lavoro. La borsa di studio può essere al 100% o al 50%, ma è come se l'università ti pagasse per i tuoi servizi. Devi avere lo spirito dell'impiegato, e fare quello che dicono il coach e il preparatore atletico. Per molti non è semplicissimo da capire. Aggiungo che i college americani sono luoghi in cui si viene seguiti in modo spettacolare dal punto di vista atletico e accademico, le strutture sono clamorose... ma c'è anche la vita sociale, piena di feste. E queste feste... sono un po' più selvagge di quelle europee. Quello che si vede nei film è abbastanza vero. Detto questo, non mi è mai capitato di assistere a situazioni particolarmente estreme.

«Consiglierei il College, a condizione che non si abbia troppa fretta di fare il professionista ed entrare tra i top-100. Se ci limitiamo alla crescita tennistica di un ragazzo, l'università non è la cosa migliore che si possa fare»

Come nasce la possibilità di diventare fisioterapista nel circuito ATP?
Quando sono tornato dall'America, il mio fisioterapista storico Elvis Berzolli mi ha fatto un po' da mentore. Mi ha proposto di lavorare insieme per qualche anno, insegnandomi un po' tutto. Lavorare nel tennis era la cosa più logica, perché il mio background mi dava una marcia in più: conoscevo meglio lo sport, avendolo vissuto in prima persona. Quando andai a San Remo per provare a tornare a giocare, il club mi chiese di dare una mano con i ragazzi dell'agonistica. Proprio in quel periodo arrivarono Gianluca Mager e Thomas Fabbiano. L'esperienza con Gianluca ha un po' fatto partire il mio lavoro nel tennis.

Cosa pensi del problema alla schiena di Holger Rune, che lo ha rallentato nella seconda parte dell'anno? Ritieni che sia stato curato a dovere? Più in generale, pensi ancora che possa diventare numero 1?
Sicuro. L'avevo detto quando era numero 100. Ho sempre visto qualcosa di speciale in lui. Sulla schiena... ormai la stagione è lunghissima e i tennisti si sottopongono a sforzi incredbili. Per cultura personale, Holger vuole sempre provare a giocare anche quando è infortunato. Per questo mi rendo conto che non è facile gestire alcune problematiche, come è stato per Sinner nel 2022. Accade soprattutto ai giovani, quando il corpo deve ancora finire di strutturarsi. Sostengono sforzi analoghi a giocatori più anziani, dunque più strutturati. Quando si fanno 25 tornei all'anno e si sta fuori per 35 settimane, ogni volta c'è un Paese diverso, un clima diverso, palle diverse. È molto difficile avere una stagione senza infortuni.

Quando hai sentito del suo recente problema, ti sei sorpreso o hai pensato che facesse parte di un processo di sviluppo fisico?
Fa parte della carriera di un giocatore. Come tutti i giocatori, compensa con alcune parti del corpo. Nel caso di Holger, la schiena lavora un po' più del normale. Mi aveva raccontato di avere problemi al servizio, perché inarcava troppo la schiena nel giocare il kick, dunque hanno dovuto fare qualche cambiamento a livello tecnico. Noi avevamo iniziato l'anno scorso perché aveva un altro problema alla schiena, non legato a quello del 2023, ed è eravamo riusciti a risolverlo. Per questo abbiamo proseguito il lavoro per tutta la stagione. Una volta che il problema era sotto controllo, è andato per la sua strada.

Ajla Tomljanovic?
Le ho soltanto dato una mano quando passava da Milano, giusto di un paio di sedute. Venne perché il suo ex allenatore, Alessandro Bega, è un mio conoscente. Nulla di strutturato, insomma.

Matteo Tinelli ha dato una grossa mano nel risolvere un problema alla schiena di Holger Rune

«Troppe volte i tennisti aspettano l'infortunio per chiamare un professionista, anziché programmare un ciclo di lavoro specifico per prevenire il problema. Il mio caso è emblematico: negli ultimi due anni ho lavorato con giocatori che in precedenza erano infortunati»

Pensavi che Matteo Arnaldi sarebbe cresciuto così tanto?
Tutti abbiamo visto qualcosa di speciale in Matteo, soprattutto il suo coach, Alessandro Petrone, che su di lui ha puntato parecchio. L'ho seguito in alcuni tornei quando era numero 300 al mondo. Ci aspettavamo che salisse perchè ha la dote di vincere le partite: anche quando gioca male, anche quando è sotto di livello, entra in campo e riesce a uscirne vincitore. Non ci si aspettava, però, un'escalation così veloce. A livello tennistico è diventato molto forte, colmando alcuni difetti. Inoltre, essendo un gran lavoratore, non è certo appagato perchè ha vinto la Davis. Anzi, sta svolgendo una gran preparazione, è già in Australia ed è molto carico per l'anno prossimo. Vedo ancora dei buoni margini di miglioramento. Può salire ancora tanto perché, ovviamente, gli manca esperienza. Lui, Petrone e il suo preparatore atletico Diego Silva hanno fatto un lavoro straordinario, eccezionale.

Com'è andato il tuo lavoro con Brandon Nakashima? Sei sorpreso che abbia avuto una stagione negativa? Davide Sanguinetti lo segue da poche settimane e ha trovato una situazione un po' da ricostruire...
Ho lavorato con Brandon per una riabilitazione al ginocchio. Sono stato per due mesi (da metà gennaio a inizio marzo) a casa sua, a San Diego. Aveva avuto un infortunio e l'obiettivo era evitare l'operazione. Sono rimasto abbastanza lontano dalla parte tennistica, perchè in quel periodo non giocava granché. Posso dire che è un ragazzo d'oro: non dico che sia stato curato male, però un infortunio del genere ha destabilizzato i loro piani e i loro programmi, quindi è andato tutto un po' in confusione. Siamo ancora in contatto: sono rimasto in ottimi rapporti con tutti i giocatori con i quali ho collaborato.

Quest'estate hai fatto qualcosa con Talloon Griekspoor. Quando dice che nel 2024 vuole entrare tra i top-10 bluffa o dice sul serio?
Non bluffa per niente, anzi, si trova lì perché ha una convinzione incredibile nei propri mezzi. Crede al 100% di poter raggiungere l'obiettivo. Una volta sistemati alcuni problemi fisici avuti, appena ha potuto giocare con continuità è salito al numero 20 del mondo. Se ci pensiamo, non è così lontano. Una volta che sei 20, sarebbe sbagliato non avere obiettivi simili: bisogna restare ambiziosi, poi lui ha 27 anni e almeno altri 6 anni di carriera davanti a sé.

La fisioterapia è più importante per la prestazione singola, oppure per la salute a lungo termine del giocatore?
Direi la seconda. Lapo Becherini, preparatore atletico di Holger Rune, mi disse una frase che mi ha aperto gli occhi: “Un buon preparatore atletico e un buon fisioterapista ti fanno giocare la partita, ma non te la fanno vincere. Per vincerla, ci vogliono le doti del tennista”. Il mio lavoro è permettere al giocatore di entrare in campo e performare, ma è molto difficile che io riesca a farlo giocare meglio. Ovviamente posso notare alcune problematiche di natura biomeccanica: per esempio, una scarsa torsione toracica che va a influenzare la rotazione del servizio. In quel caso, posso migliorare la rotazione toracica affinché la rotazione del servizio possa essere più efficace.

Matteo Tinelli ha trascorso due mesi con Brandon Nakashima per evitare che l'americano dovesse operarsi al ginocchio

«Conosco diversi giocatori, anche di alto livello, che pur di indossare scarpe ASICS le comprano direttamente.»

I giocatori hanno compreso l'importanza della fisioterapia oppure c'è ancora chi tratta il tema con un po' di pressappochismo?
Molti giocatori stanno dando giusta importanza al tema, anche se non tutti. Giocando così tanto, basta un singolo infortunio che tenga fuori per 6-8 settimane e metà stagione è già compromessa. Per questo, molti giocatori assumono terapisti privati nel loro team. Ovviamente non è una spesa da poco: avere coach, preparatore e fisioterapista è oneroso e non tutti se lo possono permettere. Devo però aggiungere una cosa: troppe volte aspettano l'infortunio per chiamare un professionista, anziché programmare un ciclo di lavoro specifico per prevenire il problema. Il mio caso è emblematico: negli ultimi due anni ho lavorato con giocatori che in precedenza erano infortunati, quindi il mio compito era quello di sistemare il problema.

Gli atleti hanno qualche fissa, fisima, aspetto in comune sul quale tutti chiedono più o meno la stessa cosa?
Direi di no, ognuno è fatto a modo proprio. L'unica cosa in comune – abbastanza ovvia – è l'avvicinamento allo Slam. Nell'imminenza di un Major sono tutti extra attenti ed extra professionisti: montepremi, punti e gloria fanno gola.

Hai appena 26 anni e quindi avrai molte ambizioni. Qual è la tua massima aspirazione?
È sempre bene essere ambiziosi, sennò non si va lontani. Sognare è doveroso. Mi piacerebbe tanto vincere Roma. È sempre stato il mio sogno: volevo farcela da giocatore, adesso mi piacerebbe riuscirci da terapista. E poi, ovviamente, uno Slam. Sarebbe tutto molto più romantico al fianco di un giocatore italiano.

Cos'è Tennis Tour Agency?
È un progetto nato mentre ero davanti a un drink con Alessandro Petrone. L'obiettivo è provvedere ad accompagnamenti e completare lo staff di accademie e giocatori, o aiutare giovani tennisti. Vorremmo dare un supporto ai ragazzi dagli Under 14 in su, perché molti circoli sono impossibilitati a farli viaggiare. Dopodiché ci siamo un po' evoluti ed è nata una collaborazione con la catena di resort Baglioni: forniamo un istruttore di tennis alle loro strutture alberghiere. Il mio lavoro principale rimane un altro: questo è il mio modo per aiutare il circuito, perchè quando ero piccolo dovevo viaggiare quasi sempre da solo. A mio avviso, tanti circoli hanno questo problema. In questo modo diamo una grossa mano a tanti ragazzini, in modo che possano dividere le spese per avere un maestro, e di rimando aiutiamo anche i club.

Come è nata la tua collaborazione con ASICS Tennis Academy? Sei stato uno dei primi a far parte del progetto...
Mi aveva contattato Charly Romiti circa un anno fa. Quando giocavo ho sempre utilizzato scarpe ASICS, dunque non ho avuto dubbi. E poi mi piaceva l'idea di creare una community tra professionisti. Il primo anno è stato molto buono, soprattutto perché si creano diverse collaborazioni tra i membri dell'accademia, essendo tutti professionisti nel mondo del tennis. Inoltre è un piacere indossare le calzature ASICS, visto che le ho messe per la prima volta quando avevo 6-8 anni.

Con gli occhi di un fisioterapista, quando è importante l'equipaggiamento? Non dico che un fisioterapista debba mettere il naso sul tema, ma un suggerimento si può dare?
Assolutamente. Le scarpe sono fondamentali, sia per il running che per il tennis. Una pessima calzatura, o comunque una non eccellente, può cambiare l'appoggio del piede. Oppure può essere più rigida e infiammare la fascia plantare. Insomma, è fondamentale. Questo è il motivo per cui tanti giocatori vi prestano grande attenzione. Ne conosco diversi, anche di alto livello, che pur di indossare ASICS le comprano direttamente.