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tecnica

Il ritmo della Tartaruga

Quando il match sta girando storto, bisogna cercare di invertire l’inerzia della partita e uno dei metodi più efficaci è adottare il ritmo della tartaruga. Come quella volta a Stratton Mountain, quando Ivan Lendl...

di Brad Gilbert
8 giugno 2020

Io lo chiamo il Ritmo della Tartaruga, rallentare il gioco a tal punto che pare di essere nelle sabbie mobili. È come uno di quei sogni nei quali ti sembra di correre più forte che puoi, ma non riesci mai ad arrivare da nessuna parte. Tutto si muove al rallentatore. Il maestro del Ritmo della Tartaruga è stato Ivan Lendl. Come ogni altro trucchetto mentale, è ideato per alterare la dinamica di ciò che accade in campo. In quel modo, un giocatore riesce con una varietà di soluzioni a far sembrare che il tempo si sia fermato. La vittima (tu oppure, in questo caso, io) comincia a diventare impaziente, quando si diventa impazienti si tende ad affrettare le cose, quando si affrettano le cose si commettono errori e gli errori ti fanno perdere punti. Semplice, no? Il tuo ritmo viene alterato, la tua concentrazione si smarrisce. Questa tattica può distruggere il tuo gioco se non sai come affrontarla.

Ivan non era solitamente un giocatore lento. Era minuzioso, ma non lento. Ma quando le cose iniziavano a non andare per il verso giusto, allora usava questa tattica. Lo ha fatto con successo giocando contro di me in un match che disputammo quando lui era al top e ogni volta che ci penso mi viene ancora il mal di testa. Considerando che non l’ho mai battuto in carriera, potreste pensare che si tratti della vecchia storia della volpe e l’uva. E magari avete pure ragione. Ma si tratta comunque di un esempio per dimostrare che dovete sapere cosa fare se qualcuno tenta di giocarvi un brutto scherzo a livello mentale. Altrimenti si perde. Ecco come andò.

Lendl vs Gilbert, Stratton Mountain, Usa, quarti di finale, anno 1986.
Mi ero messo addosso parecchia pressione prima di questa partita perché sapevo che una vittoria avrebbe significato molto dal punto di vista psicologico. Non avevo mai battuto Lendl, era il numero uno del mondo e io stavo arrancando appena fuori dai Primi Dieci. Avevo la sensazione che avrei potuto batterlo in quell’occasione e, almeno all’inizio del match, era quello che stava accadendo.

Ivan vinse il primo set, ma io iniziai a trovare il mio ritmo, riuscendo ad aggiudicarmi il secondo per 6-3. Al principio del terzo, andai avanti di un break: 2 a 0. Eravamo arrivati a un momento cruciale e mi sarebbe bastato mantenere il servizio fino alla fine del match per portare a casa la vittoria. Ivan era molto abile nel capire le dinamiche di un incontro ed era consapevole che, se voleva far qualcosa per cambiare il corso della partita, avrebbe dovuto farlo subito. Sapeva anche che in quel momento tutto mi riusciva particolarmente bene - colpi solidi, gioco di gambe veloce, atteggiamento positivo -. Riuscivo quasi a sentire le mie dichiarazioni da vincitore. Purtroppo, quel discorso l’ho dovuto rimandare perché Ivan aveva ancora qualche asso nella manica da giocare.

«Lendl capì che lo stavo battendo e che doveva cambiare quella sensazione se voleva vincere. La soluzione migliore era disturbare il mio equilibrio e Ivan sapeva che con il Ritmo della Tartaruga avrebbe raggiunto lo scopo» Brad Gilbert

Lendl era uno dei migliori quando si trattava di mantenere e aumentare un vantaggio. Beh, era anche uno dei migliori quando doveva impedire che un match gli sfuggisse dalle mani. Come McEnroe e Connors, aveva un sesto senso che gli diceva quando questa situazione stava per accadere. La sua reazione, tuttavia, era molto diversa da quella degli altri due. Sapeva che in quel momento il mio più grande vantaggio erano l’inerzia e l’energia che avevo creato e che mi facevano vincere punti su punti facilmente, al punto che mi ero aggiudicato otto degli ultimi undici game. Lendl capì che quella volta lo stavo battendo con i miei colpi e che doveva cambiare quella sensazione se voleva vincere. La soluzione migliore fu quella di provare a disturbare il mio equilibrio per interrompere quella serie positiva. E Ivan sapeva che con il Ritmo della Tartaruga avrebbe raggiunto lo scopo. Dunque, eravamo 2-0 per me nel terzo set, con la mia battuta a seguire. Mi avvicinai alla linea di fondo pronto per battere: Ivan però aveva altri progetti. All’inizio si lamentò di qualcosa prima che io iniziassi il movimento del servizio; poi chiese all’arbitro di ricordare al pubblico di non usare macchine fotografiche con il flash, anche se dopo quasi due ore e mezzo di partita condite da ripetuti avvertimenti, nessuno del pubblico stava più facendo fotografie. Perché mai avrebbero dovuto? A quel punto probabilmente avevano pure esaurito i rullini! Era una lamentela fatta soltanto per interrompere il mio ritmo. Giocammo un punto, quindi Ivan si avvicinò a un giudice di linea per chiedergli se fosse sicuro della chiamata. Infilò nella conversazione anche un riferimento a una chiamata precedente e concluse suggerendo al giudice di linea di prestare maggiore attenzione. Si diresse lentamente verso la linea di fondo scuotendo la testa e con la faccia lunga di chi ha appena perso il cane. Continuò a scuotere il capo come se tutto il mondo fosse contro di lui, ma fin qui, nulla di grave. Perfettamente legittimo.

Gradualmente... il ... gioco... rallentava. Gradualmente... il... ritmo... si... spezzava. Ogni volta che tornava verso la linea di fondo, si fermava a prendere l’asciugamano. Quindi decise di aggiungere altri elementi alla routine. Mentre stavo preparandomi a servire, alzò la mano per intimarmi di attendere e si avvicinò all’arbitro. Lo sentii lamentarsi del fatto che ci mettevo troppo tempo a servire e che in questo modo stavo disturbando il gioco. Bel colpo! Mi prese un po’ di sorpresa. Era lui quello che rallentava qualunque cosa, ma accusava me. Risposi all’arbitro che non avevo cambiato nulla nel mio modo di servire e mi diede ragione. Ma avevo iniziato a cadere nella trappola di Lendl. In maniera quasi impercettibile, stava spezzando il ritmo della partita e disturbando la mia concentrazione. Voleva farmi uscire dallo stato di equilibrio mentale nel quale mi trovavo perché era quell’equilibrio che mi aveva portato in vantaggio. Voleva farmi innervosire per le sue continue proteste verso l’arbitro, farmi dubitare se veramente ci stavo mettendo troppo tempo per servire, farmi pensare a qualunque cosa, tranne a quello a cui avevo pensato fino a quel punto: perché lo stavo battendo!

La sua strategia iniziò a funzionare. Invece di pensare a vincere un punto alla volta (input positivo e propositivo), iniziai a pensare alle interruzioni, ai ritardi e alla possibilità che il match mi potesse sfuggire di mano (input negativo). Stavo permettendo a Lendl di interferire con la mia concentrazione. Mi stavo innervosendo. Stavo diventando impaziente perché volevo che il match andasse più rapidamente. Per rispondere alla sua tattica, cominciai ad accelerare il gioco, ad avere un po’ di fretta. Ma questa reazione è la peggiore possibile, perché era esattamente quello che lui voleva farmi fare. Lendl realizzò il contro-break e io ero imbestialito, la mia concentrazione completamente smarrita. Avevo disatteso tutte le mie regole, perché le distrazioni di Lendl mi avevano impedito di seguirle. Avevo iniziato a giocare in maniera emotiva, reagendo in maniera sbagliata a quello che lui stava facendo. Invece di ripetermi che stavo vincendo e che con pazienza sarei riuscito a portare a casa la vittoria, mi preoccupavo che non mi rubasse la partita.

«Come proteggere il proprio gioco dal ritmo troppo lento? Semplice, lentamente. Aspetta. Aspetta. E aspetta ancora. E quando arriva il momento in cui sono pronti a servire, è il tuo turno di rallentare il gioco...» Brad Gilbert

Lendl aveva ottenuto il contro-break e serviva sotto 1-2 nel terzo set. Io ero furente e determinato a riconquistare il vantaggio perso. Si avvicinò alla linea di fondo e sembrava pronto a servire ma prima c’erano altre cose di cui doveva prendersi cura. Iniziò con la routine delle sopracciglia. Suppongo l’abbiate visto in televisione: si strappava un sopracciglio e lo guardava. Poi se ne strappava un altro e guardava pure quello. Non capisco come sia riuscito ad arrivare a fine carriera senza averli strappati tutti. E quella sera a Stratton Mountain iniziò a farlo di nuovo. Doveva poi decidere con quale palla servire. Ne guardava una, poi ne guardava attentamente un’altra. E poi riconsiderava la prima. Quindi le girava nella sua mano come se fossero dadi e, alla fine, arrivava la delibera sulla palla da utilizzare. E io ero sempre là, ad aspettare il suo servizio. Che fosse ora di vederne uno? Ivan iniziò a far rimbalzare la palla prescelta per terra. Una. Due. Tre volte. E poi una quarta. Ma, aspetta un attimo, non ci sarà del sudore sulla fronte? Meglio asciugarla col polsino. Io ero ancora nella posizione d’attesa. Altri rimbalzi. Uno. Due. Tre. Ma siamo sicuri che l’impugnatura non sia scivolosa? Meglio metterci un po’ di segatura. Io ero ancora nella posizione d’attesa. Rigirò la racchetta un paio di volte, scosse la suola delle scarpe, fece rimbalzare la palla ancora una volta. E io ero ancora là, con Ivan che mi fissava.

Servizio. Ace! 15-0. E io ero ancora fermo nella posizione di attesa. Sul punto seguente la storia si ripeté e io restai in posizione di attesa così tanto tempo che le mie gambe stavano per accusare un principio di crampi. Prima le sopracciglia, poi il sudore. I rimbalzi della palla. La segatura. Ancora un altro rimbalzo. Il servizio. Rete! Ivan si allontanò dalla linea di fondo, rimise a posto le corde. Sudore. Palle. La stessa, infinita procedura, prima di tirare la seconda di servizio. La verità è questa. Lendl fu capace di impiegare cinquanta secondi tra la sua prima e la sua seconda di servizio, ovviamente in circostanze in cui questo ritmo si adattava alle sue esigenze. Questo è il Ritmo della Tartaruga, ed è letale. Io iniziai a perdere le staffe. Il piano di Ivan funzionò alla perfezione. Dal 2 a 0 del terzo set non vinsi più un game. Sei giochi consecutivi per lui e 6-2, 3-6, 6-2.

La prossima volta che hai l’occasione di osservare come faceva a rallentare il gioco, studia con attenzione la sua strategia e cerca di capire cosa vuol dire essere in attesa dall’altra parte della rete. Sai che sta usando dei trucchetti e che quei trucchetti possono sconfiggerti, anche se alla fine sei tu che ti batti da solo. Quella sera nei quarti del Volvo International di Stratton Mountain, Lendl riuscì a disturbare la mia concentrazione, il mio ritmo di gioco, ma se fossi stato più accorto, non ci sarebbe riuscito. Mantenne il suo Ritmo della Tartaruga fino a quando non arrivò a essere in vantaggio di un break e poi ritornò a quello abituale. Ero stato lavorato da uno dei più abili psicologi del tennis e mi ero completamente dimenticato del metodo corretto per controbattere la sua tattica. Se me lo fossi ricordato, avrei comunque potuto vincere.

Dopo aver battuto Gilbert nei quarti di finale, Ivan Lendl vinse il torneo di Stratton Mountain, in finale su Boris Becker.

Non vi capiterà mai un avversario che si mette a fare cose di questo tipo quando sta vincendo perché, in quella situazione, vorrà che tutto rimanga com’è. Ma se le cose cominciassero ad andare storte, proveranno a farvi innervosire. Il loro obiettivo sarà farvi pensare alle cose sbagliate, distogliendo la vostra attenzione dalla partita. Le tattiche di rallentamento del gioco assumono le forme più strane: c’è la routine di Lendl, allacciarsi sistematicamente le scarpe, andare a raccogliere la palla più lontana o qualsiasi cosa che possa ritardare il gioco. Una volta ho visto un giocatore di club applicare una tattica molto singolare: quando era in svantaggio, prima di servire provava il lancio di palla due o tre volte prima di colpirla. Come se stesse allenando il lancio. Su ogni singolo punto. Non è tecnicamente contro il regolamento, ma è comunque molto seccante. Ricordati, nessun giocatore intelligente vuole cambiare le cose mentre sta vincendo, ma quando è in svantaggio, proverà tanti piccoli trucchetti ed è bene avere un piano per difendersi. 

Dunque, come proteggere il proprio gioco dal ritmo troppo lento? Semplice, lentamente. Le Tartarughe sanno che devi aspettarle prima di iniziare a giocare. E così, per quanto sia complicato, devi essere paziente. Quando ti accorgi di azioni diversive che vengono attuate dal tuo avversario, sii flessibile. Non avere fretta, non forzare i tempi e non diventare irrequieto. Non c’è modo di far accelerare qualcuno che sta intenzionalmente rallentando il ritmo del match. Lascia che la Tartaruga faccia tutto quello che deve fare. Aspetta. Aspetta. E aspetta ancora. E quando arriva il momento in cui sono finalmente pronti a servire, è il tuo turno di rallentare il gioco. Falli fermare, allacciati le scarpe, spostati dalla riga di fondo per sistemare le corde o asciugarti il sudore. Che sia la Tartaruga ad aspettarti questa volta! E quando è il tuo turno di battuta, ripagala con la stessa moneta. Fai rimbalzare la palla otto o dieci volte. Fai anche tu una bella interpretazione del Ritmo della Tartaruga. Di solito capiscono l’antifona.

So cosa stai pensando: tutte queste tattiche e contro-tattiche finiranno per rovinare il tuo gioco e sarai tu quello che ne avrà la peggio. Non necessariamente. Così facendo, stai prendendo l’iniziativa. Non sei semplicemente in una condizione passiva, non accetti supinamente i trucchetti del tuo avversario. Ti stai difendendo. E questo può dare una grande spinta psicologica. Io solitamente seguo una regola molto semplice: prima di uno scambio, cerco di non farmi mai trovare sulla riga di fondo in attesa che il mio avversario sia pronto per battere. Crea tensione e solitamente mi fa giocare di fretta. Se il mio avversario non è pronto, allora cerco di fare qualche passo, facendo rimbalzare la palla per terra; se invece devo rispondere, sistemo le corde della racchetta. Quando loro sono finalmente pronti, cerco di esserlo anch’io, ma evito di star lì ad aspettarli. Non importa che ti stiano facendo attendere volontariamente o meno: se rimani fermo in attesa, il tuo gioco ne risente.

Lendl è molto abile a mantenere un ritmo di gioco sostenuto quando è in vantaggio, diventa metodico e spietato. Ma quando è indietro, oppure lo score è in equilibrio nel terzo, quarto o quinto set, guardarlo giocare è come osservare l’acqua che evapora. Ti manda in manicomio e, nel frattempo, il tuo gioco va totalmente in frantumi. Nel corso della sua carriera, gli arbitri sono stati particolarmente magnanimi con lui, così come con McEnroe, molto più che con il resto dei giocatori. Ho scoperto che mi aiuta molto riuscire ad avere una qualunque reazione quando qualcuno tenta di lavorarmi con qualche trucchetto. Invece di rimanere lì a subire le routine del mio avversario, è meglio abbozzare una qualunque risposta. Quale? Fare a lui quello che sta facendo a me. Quella volta con Lendl a Stratton Mountain lasciai che lui mi desse sui nervi e distruggesse il mio gioco. Ma contro Lendl, non far nulla è un’opzione che vale poco. Quando impiegò cinquanta secondi per prepararsi tra la prima e la seconda di servizio, avrei dovuto chiedere all’arbitro di prestare attenzione al cronometro. E la volta successiva avrei dovuto muovermi dalla linea di fondo appena lui avesse finito la sua fase di preparazione: una passata in fronte con l’asciugamano, una sistemata alle corde, un colpo alle sopracciglia, qualunque cosa. Avrei dovuto far aspettare lui. Ma non per nulla, Lendl è un maestro in questo: aveva iniziato a lavorarmi prima che io potessi rendermi conto di quello che stesse facendo. E senza nemmeno accorgermene, iniziai ad agire mosso dalla rabbia e dalla frustrazione. Volevo urlare, da quanto ero furibondo.

Ho perso per quello? No. Ho perso anche per quello. Le dinamiche del match sono molto volatili e in quella occasione Lendl riuscì a prenderne il controllo nel momento cruciale. Uscii sconfitto perché non risposi alle sue azioni nella maniera corretta e, giusto perché non perdiate la giusta prospettiva, in fin dei conti Ivan Lendl è più forte di me. Mentalmente e fisicamente è una roccia. La maggior parte delle volte nelle quali mi ha battuto è stato semplicemente perché è stato migliore. Tuttavia, quello che volevo mettere in risalto è che l’unica volta che ho avuto una chance di batterlo, è stato in grado di portare la partita su un altro livello: quello mentale e psicologico. Fa parte dello sport. Ivan ha una conoscenza molto approfondita degli aspetti psicologici del tennis. Eccovi un altro esempio. All’inizio della mia carriera, non mi considerava una minaccia e di conseguenza era solito invitarmi nella sua villa in Connecticut per fargli da sparring partner. Ci allenavamo sui suoi campi (uno dei quali veniva rifatto ogni anno per replicare esattamente la stessa superficie su cui si giocava lo US Open). Ma quando iniziai a incontrarlo regolarmente nei tornei, e a strappargli qualche set, gli inviti smisero di arrivare. Ivan sapeva (così come lo sapevo io) che quelle sessioni di allenamento aumentavano la fiducia in me stesso quando giocavo contro di lui in torneo. Imparando a conoscere il suo gioco sempre meglio, nella mia mente andava affievolendosi quell’alone di imbattibilità che Ivan aveva creato intorno con tutte le sue vittorie. Quando lo capì, si trovò un nuovo sparring. Lendl è intelligente, sul campo e fuori.

«Lendl capì che lo stavo battendo e che doveva cambiare quella sensazione se voleva vincere. La soluzione migliore era disturbare il mio equilibrio e Ivan sapeva che con il Ritmo della Tartaruga avrebbe raggiunto lo scopo» Brad Gilbert

Probabilmente penserai che cose di questo tipo non capitano a livello di club. Spero sia vero, ma può darsi di no. Chi pensa che il Ritmo della Tartaruga si verifichi solo nei tornei professionistici, si renderà conto che invece lo si può ritrovare a ogni livello, anche nei campi pubblici. Se ti capita un’esperienza del genere, ammetti di essere stato battuto da un avversario più furbo e torna a casa più triste ma più saggio. Un giorno ero al San Francisco Tennis Club. Dale Craise e Julius Colbert stanno giocando la semifinale del torneo B del circolo. Si chiamano le palle da soli e devono applicare le regole autonomamente (ed è questo che ha causato il problema). Questi sono i loro stili di gioco: Craise è un regolarista il cui soprannome è Mulinello a causa di un movimento del servizio piuttosto atipico. Si mette sulla linea di fondo con il braccio che tiene la racchetta disteso lungo il corpo, poi lancia la palla in alto e senza piegare il gomito fa ruotare il braccio e colpisce la palla. Senza mai piegare il gomito. Sembra un mulino a vento, e da quello deriva il soprannome. Colbert è soprannominato Dr. J: è un atleta di buon livello che ha giocato a baseball nelle serie minori prima di essere fermato da un infortunio che gli ha impedito di salire di categoria. Lui tira tutto e occasionalmente riesce a inventarsi colpi spettacolari. Occasionalmente.

Ma veniamo alla partita. Mulinello vince il primo set 6-2 e conduce 4-1 nel secondo. Sembra ordinaria amministrazione, ma Dr. J si inventa un paio di soluzioni sorprendenti e la sua fiducia va alle stelle. In un attimo, si aggiudica sei giochi su sette e conquista il set per 7-5! Un set pari. L’inerzia del match si è completamente rovesciata e Mulinello lo sa bene. Cambio di campo (la consuetudine del circolo è quella di cambiare palle e campo prima dell’inizio del terzo set). Si siedono sulle rispettive sedie e Mulinello chiede un favore: tornare per un attimo negli spogliatoi a prendere una maglietta asciutta. Dr. J non fa storie. Sono amici e chi rifiuta una richiesta del genere a un amico? Mulinello esce dal campo. Non ci vuol molto perché Dr. J capisca che qualcosa bolle in pentola. Passano quattro minuti. Sette. Tredici. Dr. J comincia a spazientirsi. Non riesce a credere a quello che sta succedendo. Diciotto minuti e Mulinello ancora non si vede. Finalmente, dopo 22 minuti, ecco che spunta all’orizzonte Mulinello, tutto fresco e riposato, come si fosse appena svegliato dopo una bella dormita, un massaggio e una bevanda rinfrescante. Era andato a prendere una maglietta asciutta e l’aveva anche indossata, ma non prima di essersi fatto una doccia, rasato e mangiato una barretta energetica. Dr. J era fuori di sé. Il suo amico lo aveva fregato. E cosa ha detto quando Mulinello è rientrato in campo? Nulla. Il suo ego ha avuto il sopravvento. Rifiuta di chiedere la squalifica perché preferisce umiliare Mulinello in campo, dargli un bel 6-0 nel terzo. Potete indovinare il resto. Il punteggio alla fine è stato proprio 6-0 ma per Mulinello. Dr. J non è riuscito a tenere una palla in campo, completamente fuori di sé dalla rabbia. Non sapeva come comportarsi davanti a una tattica volta a rallentare il gioco. E non sapeva come gestire la rabbia.

Forse Dr. J avrebbe dovuto lamentarsi e uscire dal campo lui stesso. Magari tornare a casa per pranzo. Invece si è lasciato giocare e gli è costato caro. Così come costò caro a me quella sera contro Lendl. Quindi, se ti dovesse capitare di trovarti in una circostanza simile, devi essere preparato. Non lasciare che una Tartaruga disturbi la tua concentrazione e il tuo tennis.

Lo sapevi che...

Winning Ugly di Brad Gilbert è diventato Vincere Sporco (pubblicato da Priuli & Verlucca) e ha riscosso l’interesse della critica (e non solo quella tennistica) perché aiuta a capire come bisogna prepararsi prima e durante un grande incontro. E come si possono sfruttare tutti gli elementi per portare a casa la partita.