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WIMBLEDON

Sulle orme di Becker, con la benedizione di Panatta

Quando Berrettini era un ragazzo, Adriano Panatta gli disse che avrebbe servito a 220 km/h. Detto, fatto. Nel 1985, Becker vinse il Queen's alla sua prima partecipazione e poi fece bis a Wimbledon. “Lui ci credeva, io sapevo solo di potercela fare”. Matteo è già nella storia, gli manca un match per per un'impresa da leggenda.

Riccardo Bisti
9 luglio 2021

Forse dovremmo riconsiderare le ricorrenze. Il 9 luglio è il giorno in cui abbiamo vinto i Mondiali di Calcio nel 2006, ma oggi la data assume un significato tutto nuovo. È il giorno in cui un tennista italiano, per la prima volta in 134 edizioni, arriva in finale a Wimbledon. Non era mai successo al di fuori del Roland Garros. Qualcuno (sbagliando) ha detto che è il terzo italiano a farcela, dopo Pietrangeli e Panatta. La storia ricorda anche Giorgio De Stefani, finalista a Parigi 87 anni fa. Nell'esaltazione generale, l'imprecisione diventa veniale. Il 9 luglio è anche il giorno del compleanno di Adriano Panatta. Ne compie 71 e si è visto recapitare il regalo più bello, lui che con Berrettini ha un rapporto speciale. “Mi ha scritto dopo la vittoria nei quarti, ogni tanto ci sentiamo. È stato il primo che ha creduto in me”. Come, prego? Per gli stranieri è una storia inedita, per noi no.

Matteo era un adolescente e organizzarono un doppio al Circolo Canottieri Aniene. C'era anche Panatta: “Mi disse che avrei tirato il servizio a 220 km/h. Inizialmente non mi sono fidato, poi ho controllato la sua carriera e mi sono detto... 'Beh, forse ha ragione'”. L'Imperatore Adriano ci aveva visto giusto: i numeri mettono i brividi, da quanto sono precisi: nella semifinale contro Hubert Hurkacz (domato 6-3 6-0 6-7 6-4), Berrettini ha tirato il servizio più veloce a... 220 km/h. Non un km di più, non uno di meno. Quasi come a cancellare, 42 anni dopo, la delusione di quel quarto di finale perso contro Pat Dupre, unico vero rimpianto nella carriera di Panatta. L'Italia impazzisce di gioia perché domenica vivrà una giornata folle: prima Berrettini cercherà di vincere Wimbledon, poi la Nazionale si giocherà la finale degli Europei. Potenzialmente, una delle giornate più importanti nella storia del nostro sport. Ed era l'11 luglio nel 1982, quando vincemmo i Mondiali di Calcio.

ASICS ROMA
"Panatta mi disse che avrei tirato il servizio a 220 km/h. Inizialmente non mi sono fidato, poi ho controllato la sua carriera e mi sono detto... 'Beh, forse ha ragione'"
Matteo Berrettini

Il titolo di questo filmato di Fan Page dice tutto

“Credo di aver gestito abbastanza bene la situazione, ero sicuro di me – dice Berrettini – sapevo di poter vincere e ho giocato la mia migliore partita. Anche a fine terzo set, ho pensato che stessi giocando meglio di lui”. Sembra una frase di circostanza, invece la differenza tra Matteo e Hurkacz è proprio qui: nel primo set, il polacco ha avuto una palla break sul 3-2 in suo favore. Dopo averla mancata, è totalmente uscito dal match. Prima con la racchetta, poi con la testa. Undici game di fila. Il merito di Berrettini è di essersi preso tutto quello che le incertezze di Hurkacz gli hanno concesso. Lo ha tenuto con la testa sotto l'acqua fino a quando il polacco ha trovato una bombola d'emergenza, con cui ha giocato un gran terzo set e lo ha vinto con merito, se non altro per la qualità espressa nel tie-break.

Ma lì si è decisa la partita: anziché scoraggiarsi, Berrettini gli ha scippato il servizio in avvio di quarto e ha condotto il match fino al traguardo, quasi senza tremare. Nell'ultimo game ha commesso un doppio fallo sul primo punto, poi è stato perfetto. “In ogni turno di battuta mi scaricava addosso delle bombe – ha esalato il gentleman di Wroclaw – complimenti a lui per aver mantenuto il livello per quattro set. Mi ha messo molta pressione e ha sbagliato poco. Io posso rimproverarmi di non aver tenuto in campo un sufficiente numero di prime palle”. Non c'è solo Panatta, nelle suggestioni di Berrettini. C'è un altro nome, ancora più titolato su questi prati: Boris Becker. Era il 1985 quando il tedesco metteva piede per la prima volta al Queen's, e vinceva il torneo. Tre settimane dopo, diventava il più giovane vincitore di Wimbledon.

Sventola il tricolore italiano sul Centrale di Wimbledon

Le prime parole di Matteo Berrettini dopo aver raggiunto la finale a Wimbledon

Quest'anno Berrettini ha giocato per la prima volta al Club della Regina e ha vinto il torneo. “Ho incrociato Boris e mi diceva che avrei potuto fare una lunga corsa a Wimbledon. 'Devi essere così, provare a fare questo...'. Lui da ragazzo lo ha fatto e aveva sicuramente pensato di arrivare in finale. Io non lo pensavo: sapevo di potercela fare ma non lo pensavo, perché in fondo sono fatto così”. Vero: Becker ha costruito una carriera su un'autostima che spesso è sfociata in presunzione. Al contrario, Berrettini è di indole più modesta. C'è da credere che Stefano Massari, il suo mental-coach, abbia avuto un ruolo cruciale nello sviluppo di una mentalità straordinaria. Qualche insicurezza si vede ancora, simboleggiata dalla necessità di agitare il pugnetto dopo quasi ogni punto vinto.

Ma Berrettini incarna tutto quello che abbiamo sempre desiderato, e che secondo il luogo comune non sarebbe mai arrivato, al punto da ispirare una caricatura di Nanni Moretti sullo stereotipo del tennista italiano. Berrettini è l'esatto opposto: mentalità vincente, nessuna lamentela, nessuna scusa, nonchè una straordinaria capacità di giocare i punti importanti. È già certo di piazzarsi al terzo posto nell'ATP Race, in posizione (super)comoda per giocare le ATP Finals di Torino, è un top-player a tutti gli effetti e sta reinventando l'immagine, non tanto del nostro tennis, ma degli italiani in generale. Matteo è in finale a Wimbledon. “Ci vorranno un paio d'ore per realizzare quello che ho fatto” ha detto nell'intervista sul campo. È altrettanto per tutti quelli che amano il tennis. Per sua (e nostra) fortuna non c'è tempo per rifletterci troppo: tra poche ore lo rivedremo sul Centre Court, tempio laico del nostro sport, per giocare la partita più importante nella storia del tennis italiano. Per questo, dobbiamo dirgli grazie. Grazie davvero, Matteo.