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LA STORIA

Numero 91 ATP. Finalista a Wimbledon

Quarant'anni fa, Chris Lewis raggiungeva la finale a Wimbledon da numero 91: il pisolino nello spogliatoio, il racchettone oversize, le centinaia di telegrammi, Margaret Thatcher in tribuna... il sogno fu bloccato da John McEnroe, ma il legame con Londra è indissolubile. Anche grazie alla figlia violinista...

Riccardo Bisti
29 giugno 2023

Era il 1974 quando Chris Lewis ha messo piede per la prima volta a Londra. Ma non era attratto dal Big Ben o dal Tower Bridge: appena sbarcato, si recò immediatamente a Church Road. Voleva vedere dal vivo i sacri prati di Wimbledon, tanto sognati da ragazzino. Fino ad allora si era dovuto limitare all'immaginazione, poiché in Nuova Zelanda non c'era copertura TV. Aveva ascoltato le finali in piena notte, alla radio, poi giocava immaginarie finali di Wimbledon insieme al fratello. “Avevo 11 anni quando presi la decisione di provare a diventare professionista, e Wimbledon è sempre stato il mio sogno” racconta l'uomo che quarant'anni fa ha raggiunto una delle più incredibili finali di sempre. Si presentò a Londra da numero 91 ATP, posizione oggi occupata da Aleksandar Vukic. “E stavo giocando il peggior tennis della mia carriera” ammette oggi, che co-gestisce un'accademia in California e supervisiona centinaia di ragazzi. Ma sapeva, dentro di sé, che prima o poi avrebbe giocato il torneo della vita. Vittima di un'intossicazione alimentare al Roland Garros, decise di aumentare ulteriormente i carichi di allenamento per arrivare al 100%: Lavorò duramente insieme a coach Tony Roche e al connazionale Jeff Simpson, che aveva convinto a tornare nel circuito principalmente per fargli da sparring partner.

In fondo sapeva come si vince sui prati: nel 1975 aveva vinto la prova junior, battendo in finale Ricardo Ycaza. Ma tra i professionisti non era andata come sperava. Ben presto, i neozelandesi capirono di non aver a che fare con il nuovo Anthony Wilding, il pioniere che giocò cinque finali di Wimbledon tra il 1910 e il 1914, vincendone quattro. Era stato anche sfortunato, il povero Chris: nel 1978 si era procurato un grave infortunio alla spalla e ci volle un anno e mezzo per ritrovare la piena forma. Era diventato un buon giocatore, ma nulla di che. Ma non voleva rassegnarsi a un ruolo da comprimario, anche quando il sorteggio gli mise contro il bombardiere Steve Denton, contro il quale aveva perso l'anno prima al terzo turno. E che lo aveva battuto due settimane prima, al Queen's. Con una fascia bianca griffata Ellesse a coprirgli la fronte, vinse in cinque set e diede il là a un'avventura folle. Dopo il successo contro Broderick Dyke (unico giocatore con una classifica peggiore della sua), lottò per altri cinque set al terzo turno, un sofferto 6-4 3-6 7-5 6-7 6-4 contro Mike Bauer. Per la prima volta, aveva raggiunto gli ottavi in uno Slam.

Le fasi conclusive della semifinale contro Kevin Curren, il match più emozionante di Wimbledon 1983

«British Telecom mi disse che nessun giocatore aveva ricevuto così tanti telegrammi durante Wimbledon» 
Chris Lewis
ASICS ROMA

Occasione d'oro, perché il suo avversario sarebbe stato il nigeriano Nduka Odizor. La notte prima non chiuse occhio, travolto dalla tensione. Ma non volle rinunciare alla routine, così al mattino si allenò duramente con Simpson. “Dopodiché sono andato negli spogliatoi e mi sono addormentato”. Un'ora e mezzo sul pavimento accanto alle docce, in un letto di asciugamani. Disse a Simpson di svegliarlo alle 12.30, in tempo per presentarsi sul Campo 3 per il match della vita. “Iniziai male, ma poi ha giocato una delle mie migliori partite”. Dopo il 6-1 6-1 6-3 contro Odizor, vinse in quattro set contro Mel Purcell ed eccolo in semifinale. Il primo giorno di luglio 1983 il programma prevedeva Lendl-McEnroe e Lewis-Curren. La semifinale di ferro e quella di latta. Nel Royal Box c'era anche il Primo Ministro Margaret Thatcher. Dopo la vittoria di Mac scelse di restare per i primi game della seconda semifinale, ma rimase talmente colpita da restare fino all'ultimo, alle 19.55. In svantaggio 3-0 nel quinto set, Lewis trovò il modo di vincere col punteggio di 6-7 6-4 7-6 6-7 8-6. “Ho capito che avrei vinto quando gli ho annullato una palla break nell'ultimo game – racconta Lewis – Kevin amava giocare il dritto incrociato, allora gli ho dato la possibilità di giocare un passante di dritto.

Sapevo che l'avrebbe tirata lì, infatti mi sono tuffato sulla mia destra e ho giocato la volèe vincente”. Tutto vero. Il neozelandese sostiene di ricordare ogni singolo punto della sua carriera. Mente lucida, analitica. Una mente che gli ha permesso di ottenere il risultato della vita, primo neozelandese in finale a Wimbledon dai tempi di Wilding. All'improvviso divenne l'atleta più popolare del suo Paese. All'epoca non c'era internet e nemmeno i cellulari. E le telefonate intercontinentali costavano un occhio della testa. “British Telecom mi disse che nessun giocatore aveva ricevuto così tanti telegrammi durante Wimbledon” raccontò, dopo aver ricevuto addirittura la chiamata del Primo Ministro Robert Muldoon. La favola sarebbe terminata in finale con John McEnroe, troppo più forte di lui. Un triplo 6-2 in una delle finali più a senso unico dell'Era Open. “Quando mi chiedono se sentissi la possibilità di vincere, dico sempre sì – racconta convinto – avevo battuto sei dei migliori giocatori al mondo e questo ti dà una sensazione di imbattibilità. Il problema è che anche lui stava così, e stava giocando il suo miglior tennis. Certo, se avessi vinto sarebbe stata una delle più grandi sorprese della storia. Ma ripenso sempre con orgoglio a quel torneo. Ho dato tutto, è stato il culmine di quindici anni di professionismo”.

Chris Lewis è stato il primo a ottenere un risultato di rilievo utilizzando una racchetta con telaio oversize

Oggi Chris Lewis cogestisce un'accademia a Irvine, in California

Un'impresa di quelle che restano nei cuori, ma anche nei libri. Nell'Era Open non era mai capitato che un giocatore non compreso tra le teste di serie giungesse in finale (ed era la settima volta in assoluto), ma Lewis fu anche il primo a raggiungere la finale con una racchetta oversize, la mitica Prince Original Graphite. “Tra gli anni '70 e '80 ci fu una rivoluzione nell'attrezzatura. Si passò dagli ovali a 63 pollici a quelli a 110. Ho avuto bisogno di tempo per familiarizzare col nuovo telaio, ma lo volli fortemente perché avevo capito che era il futuro”. Per la verità, Pam Shriver era arrivata in finale cinque anni prima con una racchetta simile, ma per le donne era diverso. E il neozelandese, poi, era un maniacale: fu anche il primo a giocare con scarpe su misura per l'erba. Dopo di lui, la Nuova Zelanda non avrebbe prodotto nulla. Il miglior giocatore è stato Brett Steven (n.32 nel 1996), poi è spuntato l'ottimo doppista Michael Venus, ma non è la stessa cosa. E allora il buon Chris sa che ogni tanto riceverà una chiamata per ricordare l'avventura del 1983. Che sia il suo compleanno, una ricorrenza o qualsiasi pretesto per raccontare di nuovo due settimane mai più lontanamente avvicinate. Lewis ha giocato il suo ultimo match all'Australian Open 1985, perdendo contro il compianto Tim Gullickson. Aveva appena 28 anni ma decise che bastava così.

Erano altri tempi, le carriere erano più brevi e poi la Nuova Zelanda è maledettamente lontana. Senza dimenticare che non amava volare: si era trovato per ben tre volte su aerei costretti ad atterraggi d'emergenza, così aveva trovato una soluzione: quando si trovava in Europa o negli Stati Uniti noleggiava una macchina e guidava per ore e ore. Anche per questo, certi ritmi non erano più sostenibili. Ma amava davvero il tennis, al punto da riciclarsi come allenatore. Prima ha seguito Ivan Lendl, che scelse proprio lui dopo aver smesso di lavorare con Tony Roche, poi Carl-Uwe Steeb. Nel 2006 si sarebbe trasferito negli Stati Uniti, e nel 2017 ha cofondato la Brymer Lewis Tennis Academy insieme a Chuck Brymer. Non gli sono capitati fenomeni tra le mani: la più forte è la giapponese Mayo Hibi, 27 anni, portata tra le top-200 e al main draw dello Us Open. Ma lui è contento così, e nei prossimi giorni sarà a Londra per annusare di nuovo l'aria respirata per la prima volta nel 1974. Il bello è che avrà un motivo in più per andarci: sua figlia Geneva, 25 anni, è una violinista di talento e tra qualche settimana avrà l'onore di suonare alla Royal Albert Hall, in occasione dei BBC Proms. Un leame, quello tra Londra e la famiglia Lewis, che non si spezzerà mai.