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WIMBLEDON

Norrie Knoll

Prima si chiamava Henman Hill, poi Murray Mound. Adesso la mitica collinetta di Wimbledon pulsa per Cameron Norrie. Ha avuto bisogno di arrivare in semifinale per farsi amare dai connazionali: soltanto poche settimane fa non l'avevano neanche riconosciuto al bar...

Riccardo Bisti
6 luglio 2022

“Non so nemmeno cosa sia un poggio”. Cameron Norrie non è certo appassionato di ciclismo. Amasse la nobile arte delle due ruote, il numero 1 britannico conoscerebbe la leggendaria salitina alla periferia di San Remo, quattro chilometri al 3,7% di pendenza, spesso decisiva per l'esito della classica di primavera. Dovrà documentarsi, perché la mitica collinetta fuori dal Campo 1 di Wimbledon è diventata sua metaforica proprietà. È lì che si radunano centinaia di appassionati senza il biglietto per il Campo Centrale, ed è lì che fanno un gran tifo per i giocatori di casa. Inizialmente l'hanno chiamata Henman Hill, poi era diventata Murray Mound, salvo prendere altri occasionali soprannomi. Per quanto Norrie sia saldamente il numero 1 britannico, nessuno pensava che avrebbero potuto dedicarla a lui. Che diventasse la Norrie Knoll. C'era attesa per lo stesso Murray, i cui segnali nelle ultime settimane erano stati incoraggianti. C'era attesa per Emma Raducanu, che proprio a Wimbledon si fece notare per la prima volta. E invece il protagonista è proprio lui, il (quasi) 27enne che fino a qualche anno fa giocava per la Nuova Zelanda. E se la terra degli All Blacks non fosse così lontana, probabilmente, avrebbe continuato così. Era il 2013 quando si è spostato a Londra – da solo – per usufruire dei servizi (logistici ed economici) della Lawn Tennis Association.

Ma Norrie non è baciato da un talento sopraffino. Per questo in pochi si accorsero di lui, e pensò bene di andare all'università. Si è spostato alla Texas Christian University, laddove ha completato gli studi, salvo diventare professionista a 22 anni. “Quando sono uscito dal college, il mio obiettivo era entrare tra i top-100 ATP – ha detto dopo il successo-thriller contro David Goffin – e l'ho raggiunto. Poi sono diventati i top-50, e solo allora ho pensato ai primi dieci. Non ho mai avuto obiettivi tosti come una semifinale a Wimbledon. È fantastico, ma all'epoca era irrealistico. Sono stato bravo a tenere basse le aspettative e a massimizzare il mio talento”. In Texas ha conosciuto il suo attuale allenatore, quel Facundo Lugones che ne esalta la tenacia e le qualità atletiche. “È in grado di giocare per quattro ore con la stessa intensità, senza mai calare. E lo può fare tutti i giorni. Gli altri iniziano a faticare dopo due ore” dice il coach argentino, che indossa sempre un cappellino o una maglietta della TCU. Una sorta di amuleto. Norrie condivide il suo pensiero: dopo l'infinita battaglia contro il belga (3-6 7-5 2-6 6-3 7-5) ha detto di aver parlato con Lugones alla vigilia, sostenendo che il suo match sarebbe iniziato dopo due ore. Detto, fatto.

«Ho sempre messo il tennis al primo posto, non mi sono mai preso vacanze o settimane di riposo. Sono sempre stato molto severo con me stesso. Ho curato i dettagli con grande attenzione» 
Cameron Norrie
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Cameron Norrie con il suo team. Il secondo da sinistra è coach Facundo Lugones, argentino, con l'immancabile cappellino della Texas Christian University

Ha giocato male nei primi tre set, non trovava il dritto, e ai punti avrebbe meritato di perdere. Ha vinto per miracolo il secondo (in cui Goffin si era trovato avanti 4-3 e servizio), edificando un successo che ha del clamoroso, non tanto per il valore tecnico, ma per quello mediatico. Non pensavano, i britannici, di innamorarsi di questo ragazzotto timido e con un ciuffo di capelli d'argento. Norrie è un po' come un grande amore: all'inizio dice poco, resta sulle sue, ma conquista piano piano con tenacia e pazienza, mostrando – una alla volta – le sue qualità. E così la montagnetta più famosa di Wimbledon è diventata Norrie Knoll, il poggio di Norrie. “Bello, l'ho sentito dire in giro – dice lui – onestamente non so cosa sia un poggio e non suona bene come Henman Hill... ma me lo prendo volentieri”. Venerdì pomeriggio saranno tutti per lui, nella missione impossibile contro Djokovic. Ma guai a non credere nel miracolo. “Sicuro” ha risposto quando gli hanno chiesto se può vincere. “Affrontare Djokovic è una delle più grandi sfide del tennis, specialmente sull'erba. Non dovrò mai perdere la concentrazione, come invece mi è accaduto durante i quarti”.

Ma alla fine l'ha spuntata, sotto gli occhi di William e Kate, Duca e Duchessa di Cambridge. Li ha notati soltanto durante l'intervista sul campo, in cui si è lasciato andare a un po' di commozione. Ma non era tanto per loro, quanto per il rewind che si è impadronito della sua mente. Ha pensato alla fatica e alle sofferenze per arrivare fino a lì. Un po' banale, ma vero. E le emozioni erano amplificate dalla presenza dei suoi genitori, entrambi microbiologi: mamma Hellen (gallese) e papà David (scozzese). Sono andati ad abbracciarlo durante il defaticamento, quando stava sciogliendo le gambe in bicicletta, mezzo di locomozione scelto per spostarsi in questi giorni. Con loro c'era anche la sorella Bronwen. Un abbraccio sentito, perché loro sono rimasti in Nuova Zelanda. Non li vede quasi mai da quando si è trasferito, ancora meno da quando è iniziata la pandemia. Per questo, il torneo di Cameron è ancora più emozionante. In vista della semifinale c'è un dato a cui può aggrapparsi: l'ultimo giocatore a battere Novak Djokovic sul Centre Court è stato un britannico, Andy Murray, nella finale del 2013.

HEAD

Negli anni, la collinetta di Wimbledon ha avuto nomi diversi rispetto a "Henman Hill" e "Murray Mound": per esempio, "Robson Ridge", "Konta Cop" o "Raducanu Rise". Il 2022 è l'anno della "Norrie Knoll"

Norrie si commuove nell'intervista dopo il successo contro Goffin. Sugli spalti, anche William e Kate

Corsi e ricorsi storici piacciono ai giornalisti, ma Murray non è soltanto un dato statistico: “Per me è un grande supporto, mi alleno spesso con lui ed è molto solidale nei miei confronti – racconta Norrie – è venuto ad augurarmi buona fortuna anche prima del match di oggi, in palestra. Gli chiederò qualche suggerimento per la semifinale. Adesso mi godo il successo, poi vedremo cosa chiedergli”. Fu proprio Murray ad avvicinarlo per primo, qualche anno fa, quando lo vide negli spogliatoi del Queen's. Colpito dalla timidezza di Norrie, andò a presentarsi. E fu il primo a fargli i complimenti nel giorno dell'esordio in Coppa Davis, dopo il successo contro Roberto Bautista Agut in Spagna, sulla terra, in cinque set. Norrie è il tipico giocatore che ha bisogno dei risultati per farsi notare. Non è un Kyrgios, che fa parlare di sé a prescindere. C'è un aneddoto che racconta il suo essere anti-personaggio: poco prima che iniziasse la stagione sull'erba, era in un bar a consumare un caffè. Il barista non lo riconobbe, ma gli chiese se seguisse il tennis. “Un po'”, ha risposto Norrie. “Sai, assomigli un po' al tennista Cameron Norrie”. Lui è stato al gioco, poi al momento di pagare, si è tolto lo sfizio. “Io sono Cameron Norrie”.

Chissà se quel bar è dotato di TV, e se il bartender si è sintonizzato su BBC One durante il match contro Goffin. Lo farà di sicuro venerdì, quando l'avversario si chiamerà Novak Djokovic. Comunque vada, può essere orgoglioso di sé. “Il mio merito principale? Ho sempre messo il tennis al primo posto, non mi sono mai preso vacanze o settimane di riposo. Sono sempre stato molto severo con me stesso. Ho curato i dettagli con grande attenzione”. Gli hanno chiesto da quanto tempo non si conceda una vacanza. “Non ne faccio da un po', ma dopo il torneo credo di farne una”. Ovviamente con Louise Jacobi, sua fidanzata da qualche anno, fondatrice di un'azienda di interior design. Una coppia tranquilla, sobria, in pieno stile Norrie. Gossip? Manco a parlarne. L'unico pettegolezzo lo ha concesso lo stesso Cameron, un paio di settimane fa. “L'unico posto in cui litighiamo è la cucina. Lei vuole seguire alla lettera le ricette, mentre io amo sperimentare”. Spesso vince lei, anche perché l'azienda da lei creata si chiama “Please, don't touch”. C'è da credere che in questi giorni sia rimasto a distanza di sicurezza dai fornelli. Deve giocare il miglior torneo della sua vita.