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ROLAND GARROS

La prima vittima di Nadal a Parigi? Un radiologo

Quella contro Alexei Popyrin è stata la vittoria parigina numero 101 per Rafa Nadal. L'epopea è iniziata nel 2005 contro Lars Burgsmuller. Oggi è un medico che cura i malati di tumore a Essen: “È bastato poco per capire che era migliore di me. Ho fatto parte di un momento di storia”.

Riccardo Bisti
2 giugno 2021

Alexei Popyrin ha servito per strappare un set a Rafael Nadal. Non c'è mai stata la percezione che potesse vincere, ma magari portargli via quel parziale... perché no? Invece Rafa si è imposto 6-3 6-2 7-6, intascando la vittoria numero 101 a Parigi, peraltro con un punteggio non troppo diverso dalla prima. Era il 23 maggio 2005: Popyrin era un bambino di cinque anni e un giovane Rafa aveva appena firmato la prima tripletta Monte Carlo-Barcellona-Roma, quest'ultima al termine di una finale-thriller contro Guillermo Coria. Era testa di serie numero 4 di un tabellone guidato da Roger Federer. Del seeding di allora sono rimasti in attività solo gli stessi Nadal e Federer, oltre a Tommy Robredo. Nonostante fosse sfavorito, Lars Burgsmuller è sceso in campo pensando di potercela fare.

Onesto mestierante tedesco, aveva vinto un titolo ATP (Copenaghen 2002), vantava un best ranking al numero 65 e da lì a poco avrebbe compiuto 30 anni. Oggi sarebbe uno dei tanti, all'epoca poteva giustificare qualche preoccupazione per il 18enne Rafa. “Tra me e me, ho pensato che se avessi giocato la mia partita avrei avuto una chance” racconta oggi, quasi 46enne, al New York Times. Invece perse 6-1 7-6 6-1 in un match che è diventato un feticcio per gli appassionati, soprattutto per i fanatici di Nadal. Talmente iconico da convincere il Roland Garros a caricarlo (per intero) sul suo canale Youtube. Si giocò sul vecchio Campo 1, demolito qualche anno fa, una piccola arena da 4.000 posti che ricordava vagamente una Plaza de Toros. L'ideale per lo spagnolo, vestito con i pantaloni alla pescatora e una canotta verde.

ASICS ROMA
"In più occasioni ho creduto di aver tirato un vincente. Non era così: non solo arrivava sulla palla, ma tirava a sua volta un vincente!"
Lars Burgsmuller

Il match tra Rafael Nadal e Lars Burgsmuller al Roland Garros 2005

Il match è lì, meno di due ore utili a ricordarci che è passato molto tempo. All'epoca Youtube aveva tre mesi, Twitter e Instagram non esistevano, e non c'era alcuna ossessione per i contenuti virali. Tre anni dopo, Burgsmuller si è ritirato senza clamore. Perdere contro il doppista Robert Lindstedt nelle qualificazioni di 's-Hertogenbosch deve essere stato inaccettabile. Con quasi due milioni di montepremi in tasca, il bavarese ha lasciato il tennis per intraprendere una nuova vita: ha frequentato la facoltà di medicina, specializzandosi in radiologia. Oggi possiamo chiamarlo Dott. Burgsmuller, medico talmente rinomato da avere la responsabilità dei malati di cancro in un ospedale di Essen. Ha tre figli e il tennis non gli manca. Prima di cambiare vita, ha fatto in tempo a giocare – e perdere – contro tutti i Big Three.

Sono maledettamente vicini – dice – troppo vicini per stilare una classifica. Sono stati molto costanti negli anni. Ognuno ha i suoi punti di forza”. Bene, quali? “Nadal soffoca i suoi avversari a Parigi, grazie alla superficie. Federer tira talmente vincenti che perdere contro di lui è stato indolore, quasi come una puntura. E Djokovic? Non ci sono buchi nel suo gioco”. Li mette sullo stesso piano, ma quel match con Nadal rappresenta qualcosa di speciale. In fondo, gli ha permesso di entrare nella storia del tennis. Sarà sempre la prima vittima di Nadal a Parigi. All'epoca, nello spogliatoio era già rispettato. C'era grande curiosità per la sua prima apparizione al Roland Garros, poiché l'anno precedente aveva dato forfait per la nota frattura da stress al piede (si presentò ugualmente, quasi in incognito, per onorare un impegno con uno sponsor). Tutti pensavano che sarebbe diventato forte, ma nessuno credeva che sarebbe diventato una leggenda.

Lars Burgsmuller è stato numero 65 ATP nel 2002. Oggi fa il radiologo

Dodici giorni dopo la partita contro Burgsmuller, Nadal avrebbe vinto il suo primo titolo a Parigi

“Non volevo ascoltare troppo questi discorsi, ho solo pensato a fare il mio gioco” dice Burgsmuller, che quel giorno era numero 96 ATP. Il suo era un tennis didascalico, non troppo elegante ma offensivo. Ci ha provato, ma si è subito reso conto che affrontare Nadal era diverso. Non aveva mai trovato nessuno che giocasse con questa intensità, o che desse una rotazione così pesante ai suoi colpi. O che si muovesse così bene. “In più occasioni ho creduto di aver tirato un vincente. Non era così: non solo arrivava sulla palla, ma tirava a sua volta un vincente! Ben presto ho capito che era migliore di me”. Stava cadendo qualche goccia di pioggia quando Nadal ha chiuso con un ultimo passante di rovescio, da posizione quasi improbabile, rimasto sulle stringhe di Burgsmuller. Un paio di settimane dopo avrebbe battuto Mariano Puerta, intascando il primo di venti titoli Slam. Da allora, ha perso solo due volte a Parigi (nel 2009 contro Soderling, nel 2015 contro Djokovic). Se dovesse intascare il suo 14esimo Roland Garros si riaprirà il dibattito sul più forte di sempre. Il numero di Slam è un parametro sufficiente per stabilire chi è il più grande?

Ognuno la penserà a modo suo. Qualcuno si affiderà ai numeri, altri metteranno asterischi qua e là, sostenendo che non si possono paragonare atleti di epoche diverse. Burgsmuller sembra pensarla così. “Ho vissuto quella partita come un match qualsiasi: ero dispiaciuto per aver perso. Ripensandoci oggi, posso dire di aver partecipato a un momento importante. Nadal iniziò la sua epopea quel giorno, ed ero io il suo avversario. È un bel pezzo di storia”. Un pezzo di storia condito da 38 vincenti, 5 ace, 19 passanti e 10 discese a rete. “Avevo già affrontato Burgsmuller l'anno scorso a Indian Wells, quindi sapevo cosa aspettarmi – disse Nadal, la cui popolarità costrinse gli organizzatori a triplicargli le guardie del corpo – pensano che io sia il favorito del torneo? Mi dà fastidio, perché va a finire che ci credo”. Rileggere questa frase oggi, beh, fa un po' sorridere.