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IL LIBRO

L'Ultima Scimmia

Federico Ferrero e Marco Bucciantini raccontano l'evoluzione del tennis dai tempi dell'homo habilis ai giorni nostri, domandandosi se Roger Federer sia davvero l'apice di un percorso o se potrà esserci un'ulteriore evoluzione dopo il suo ritiro. Un libro con due grandi pregi: originalità e qualità della scrittura. Per questo, da non perdere.

Staff Tennis Magazine
16 luglio 2022

Le due firme sono una garanzia di qualità. Federico Ferrero e Marco Bucciantini non sono soltanto giornalisti e commentatori, ma possiedono una qualità non sempre presente in chi si occupa di sport: la cultura. Per questo, non sorprende che siano gli autori de L'Ultima Scimmia: L'evoluzione del tennis dalle origini dell'uomo a Roger Federer (Hoepli, 223 pagine). Come recita la scheda descrittiva, il libro racconta l'appassionante storia del nostro sport. Uno sport che fa costantemente a botte con se stesso: da una parte c'è la spinta all'innovazione, dall'altra la necessità di preservare la tradizione. Si dice che il tennis sia uno degli sport con più fattori da mettere insieme: tecnico, fisico, tattico e mentale. Ma c'è di più: nel tennis, l'uomo riassume se stesso. Quello che è stato e quello che vuole diventare.

Ferrero e Bucciantini fanno un passo in più: si domandano dove possa arrivare un gioco che, nelle sue forme primitive, è nato insieme all'essere umano, pardon, homo habilis. Dalle clave che pesavano un chilo agli attrezzi ultra-tecnologici di oggi, è cambiato tutto. Le 200 pagine del libro (che diventano 220 con una bella appendice fotografica) ripercorrono l'infinita storia del tennis, dei suoi personaggi, dei suoi tumulti, fino ad arrivare al paradosso di Roger Federer. Splendido ed elegante nella gestualità, ma anche vincente. E da qui nasce il titolo: davvero Federer è l'Ultima Scimmia, inteso come evoluzione della disciplina? A questa e altre domande, Ferrero e Bucciantini offrono riflessioni e risposte, peraltro con l'ausilio di testimonianze di valore. Su tutte quelle di Claudio Mezzadri e Ivan Ljubicic, due tra le persone che conoscono Federer meglio di tutti. Un libro originale, curioso, diverso dalla narrativa tipica del racconto tennistico. Per questo, è bene averlo. Noi vi regaliamo il primo capitolo. Per tutto il resto, l'appuntamento è in libreria o negli store online. Buona lettura.

L'Ultima Scimmia, L'evoluzione del tennis dalle origini dell'uomo a Roger Federer

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Le palline, sia quelle battute da regali colpitori che da rozzi energumeni e anche da appassionati della domenica, sono prodotte quasi esclusivamente in Asia: la Federazione Internazionale pubblica un elenco dei marchi e delle (udite, udite) 284 tipologie di palline approvate.
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La classe infinita di Roger Federer: cosa accadrà al tennis dopo il suo ritiro?

QUALCHE ANNO FA
La racchetta c’era: pesava circa un chilo, un chilo e mezzo. Il mezzo era più pesante ma anche la palla era più grossa: miravano al cranio. La clava, soprattutto, serviva nelle piccole guerre quotidiane, per difendere un pezzo di terra, un po’ di cibo appena cacciato. Piegato, ancora appoggiato alla terra con tutti gli arti, o appena inclinato, o finalmente eretto – ecco l’Homo habilis – ha solo un oggetto accanto a sé: una clava, che negli anni (molti anni) perfeziona, affusola verso la presa, allarga verso la testa. Una delle prime capacità dell’evoluzione dell’australopiteco, fu quella di usare la selce per scolpire altre pietre o legni duri e compatti. Dalle schegge passare così ad armi “pensate” nella forma per l’uso: non è vero che passeggiando e incontrando oggetti per terra, e scalciandoli, l’uomo per natura abbia imparato a giocare a calcio. L’uomo nasce tennista, ma non lo sa. La racchetta (e prima di tutte la clava) è in fondo un’arma: la parola dovrebbe derivare dal greco armòs (armus in latino). Ma l’Homo habilis non sa nemmeno questo. Fu una conquista del sapiens dare un profilo tennistico alla faccenda. Un’impugnatura, allungata, e in fondo al manico uno spessore più consistente per non farla scivolare, per mantenere salda la presa, non c’era ancora l’overgrip. Una testa più larga per avere più superficie ed essere agevolati nel colpo, nel bersaglio. Una delle clave di legno più antiche è la “mazza del Tamigi”, una clava che si è fossilizzata e conservata nel fango del fiume londinese per circa 5.500 anni e che oggi è conservata al Museum of London. La sua forma “ricostruita” è molto elegante, di conseguenza è solo lo sviluppo di qualcosa di esistente da tempo e il tempo, a ritroso, viaggia veloce: le clave erano le armi dell’Età del Bronzo, per cui è molto probabile che siano state uno strumento importante nell’arsenale del Neolitico. 1 La replica della clava del Tamigi, del peso di circa un chilo e duecento grammi, è messa alla prova, accostandola a crani ritrovati e ricostruiti, con le loro ammaccature originali: alcune delle fratture inflitte alle repliche del cranio umano sono risultate molto simili alle ferite osservate su molti resti ossei risalenti al Neolitico, in particolare i resti scoperti nel sito austriaco di Asparn/Schletz. Lì almeno 26 tra adulti e bambini furono uccisi a colpi di clava circa 7.000 anni fa per ragioni ancora sconosciute (e dovrebbero ormai rimanere tali), anche se gli scontri violenti erano per motivi simili, da sempre e per sempre: tra piccole comunità di cacciatori-raccoglitori era il conflitto per le risorse che la terra dava alla vita.

Considerata l’età di questi reperti ossei, la conclusione più ovvia è che le ferite siano state provocate da clave di legno o di pietra, armi facilmente realizzabili da chiunque e sorprendentemente efficaci nelle mani di un esperto combattente. Si percuoteva preferibilmente di dritto. Le palline da tennis non sono finite nei musei (qualche racchetta sì) e per molti anni non vi erano nemmeno grosse ferite sul feltro – o la flanella – così da risalire al mezzo contundente che quasi sempre colpiva con impatti piatti o carezze in back spin. Può darsi che da qualche tempo, se non sfuggissero alla storia per infilarsi nei club, dopo sette o nove game di maltrattamenti, dalla deformazione capiremmo chi le ha colpite, e con quale violenza o intenzione, con sbracciate che generano anche 230 chilometri orari di velocità. Le palline, sia quelle battute da regali colpitori che da rozzi energumeni e anche da appassionati della domenica, sono prodotte quasi esclusivamente in Asia: la Federazione Internazionale pubblica un elenco dei marchi e delle (udite, udite) 284 tipologie di palline approvate. Di queste 126 sono prodotte in Thailandia, 58 in Cina, 44 nelle 2 Filippine, 32 a Taipei, 11 in Indonesia, 3 in Italia, 1 in India e 1 in Argentina. Però hanno quasi tutte nomi americaneggianti. Il tennis è ovunque. La Thailandia, per dire, ha dato un top ten (Paradorn Srichapan, che fu numero 9 del mondo a inizio millennio). Ma anche Cipro, Cile, Ecuador, Slovacchia. E tutti i continenti hanno giocatori e giocatrici nei primi 100 del mondo, che sembra un concetto ampio e permissivo ma pensiamoci un po’: ammesso che si giochi a tennis ormai ovunque, visto che sono circa 100 milioni i praticanti, stiamo parlando – è l’incontrovertibile forza della matematica – dello 0,000001%. In breve, un traguardo per pochissimi campioni al quale arrivano atleti di tutto il mondo. Il tennis è ovunque. Perché non c’è stata civiltà che non si sia formata sulla forza della clava. In termini assoluti, ovviamente, gli stati più popolosi sono quelli con maggiori praticanti. Ragionando in proporzione, secondo i dati forniti nel 2019 dall’Itf, è invece l’Oceania il posto di maggiore concentrazione: giocano a tennis 6,2 persone su cento, quasi il doppio rispetto a quanto avviene in Europa. L’Italia, che conta 2 milioni di giocatori, è la seconda nazione per numero di coach e maestri: se ne registrano 12.741. Anche questo è un dato antropologico e culturale. In tutto, coach e maestri sono circa 165 mila e una su cinque è una donna. Il rapporto della Federazione Internazionale descrive anche la distribuzione dei circoli di tennis (a spanne: un’organizzazione più strutturata). Se ne trovano 17 ogni 100 negli Usa, la nazione con la più elevata presenza di club sul totale davanti alla Germania (12,9%) e alla Francia (10,9%). In termini più generali, c’è un campo da tennis ogni 178 giocatori, infatti è difficile giocare un’ora nelle pause pranzo da lavoro, di solito sono tutti occupati: un quarto di questi campi sono concentrati tra Usa (15.8%) e Cina (10.2%), e sono quasi tutti in cemento.

HEAD

Bjorn Borg è stato il precursore di un nuovo tipo di tennis, fatto di corsa e rotazioni esasperate

Il contrasto di stili è uno degli aspetti più affascinanti del tennis: Pat Rafter e Sergi Bruguera lo avevano portato all'estremo

HOMO E DONNA
Nella diffusione è stato importante un fatto non comune a tanti altri sport: la sostanziale possibilità di gioco anche per le signore. Ma anche questo fu chiaro da subito perché, evolvendosi nella specie e perdendo quella acca iniziale, l’uomo ormai è in piedi, seduto, pensante, viaggiatore e per fortuna scrittore. Quest’ultimo esemplare, ormai simile a noi stessi, racconta per esempio di Ulisse che naufraga sulle coste dell’isola di Scheria affamato e disperato. Anche nudo, quindi un po’ vergognoso. L’uomo si ripara dietro a un cespuglio finché non vede una ragazza e una palla, due fuochi dai quali sarà sempre attratto. L’entusiasmo porta Ulisse a proporsi a Nausicaa, mentre lei gioca con le compagne: è una delle prime scene di gioco narrate. Il gioco della palla (senza specificare né dimensioni né regole d’ingaggio) è già presente nella Grecia e dintorni. Ma tutto, a quei tempi, è della Grecia e dei dintorni. Erano i migliori a raccontarlo. Anche i monumenti dell’arte figurata, a cominciare dal rilievo di una base attica del quinto secolo prima di Cristo, dimostrano, insieme con alcune pitture vascolari, l’interesse che gli artisti ateniesi ebbero per la grazia dei movimenti che il gioco della palla sapeva esprimere.

UN FATTO GRAVE
A Campo Marzio – il centro della vecchia Roma – la sera del 28 maggio del 1606 si giocava una partita di questo sport molto di moda, importato dall’aristocrazia francese: le jeu de paume (gioco con il palmo, in origine una palla colpita con una mano) – in Italia fu la pallacorda, in quanto una palla, colpita da racchette, doveva superare una corda 4 di traverso al campo (l’odierna rete). Segnalato già nel Medioevo, esploso in Francia nei secoli successivi, tanto da essere vietato in quanto così popolare da distrarre i lavoratori durante le ore settimanali, in Italia si diffuse durante il Rinascimento. Aveva le sue racchette, le sue palle leggere, le sue misure, le sue regole e presto ebbe i suoi “professionisti”, atleti che si dedicavano esclusivamente a questo gioco. Non erano professionisti quelli della sfida di maggio a Campo Marzio: erano due uomini già in conflitto fra loro per antiche dispute. E come in una normale partita al circolo, un’infrazione portò a una discussione. Non c’era occhio di falco, la cosa degenerò in lite ma erano anni in cui il senso del limite – in questi casi – non aveva confini troppo marcati: in mano una racchetta, in tasca una lama. Uno dei due pre-tennisti, tale Ranuccio Tommasoni da Terni, si avventò sull’altro e lo ferì. Ma le partite non durano un game e neanche un set. Nella reazione, l’altro uccise Ranuccio: game, set, match. L’altro era Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. C’era di mezzo un punto e c’era di traverso una donna, Fillide Melandroni, contesa da entrambi. Poi (sembra) ci fossero questioni economiche affianco a rivalità politiche: i Tommasoni fedeli alla corona di Spagna, Merisi protetto dai francesi. Insomma, una partita molto sentita. Se in campo – in qualche modo – la spuntò Caravaggio, il verdetto per il delitto fu severo, tendente al pareggio: Merisi fu condannato alla decapitazione. E la sentenza poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per strada. Nei suoi dipinti cominciarono ossessivamente a comparire teste mozzate, e il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato. Proprio per sanare questa spiacevole situazione (grazie all’intercessione papale, infatti, Paolo V era lo zio di Scipione Borghese, grande estimatore del pittore), dopo quattro anni di clandestinità su e giù per la penisola, Caravaggio poté fare ritorno verso Roma: non 5 ci arrivò mai. Il bagaglio che aveva con sé sulla barca per Ladispoli fu per sbaglio dirottato verso Porto Ercole, ma conteneva le tele promesse al Papa con le quali Caravaggio comprava la sua vita: nel tentativo di recuperarle, trascurò un’infezione e la relativa febbre. All’Argentario arrivò malmesso, e lì morì: si può dire che quella partita di pallacorda costò la vita anche a lui.

LO SPORT
Avversari a fronteggiarsi in un campo di gioco. Utensili per sfogare destrezza e capacità. Una corda e poi una rete per complicare questo talento, provarlo, dimostrarlo. Una palla – i suoi rimbalzi – per misurare la differenza fra gli avversari. Delle regole, anche senza coltelli: che cos’è lo sport, si domandò Roland Barthes qualche secolo dopo le jeu de paume. “Lo sport risponde con un’altra domanda: chi è il migliore?”. Una domanda che risiede nei duelli antichi, per il cibo o per l’amore. Secondo il filosofo “lo sport conferisce un nuovo significato, perché l’eccellenza dell’uomo, in questo caso, viene misurata in base alle cose. Chi è il più bravo a vincere la resistenza delle cose, l’immobilità della natura? Chi è il più bravo a manipolare il mondo e darlo agli uomini …a tutti gli uomini?”. Barthes mette la testa su varie manifestazioni sportive (automobilismo, ciclismo, calcio, hockey su ghiaccio, perfino la corrida). Racconta questo bisogno di attaccare e difendere, di lottare e creare spettacolo, e il bisogno dello spettatore di assistere e tifare, di essere turbato. “Che cosa mettono gli uomini nello sport? Se stessi e il loro universo umano. Lo sport è fatto per esprimere il contratto umano”. Ma il contratto umano è una tradizione fortissima. La tradizione è il legato della gente, delle famiglie, delle generazioni, dei popoli, dei 6 secoli, della storia e degli avi. È il consumo di noi stessi perché qualcuno raccolga e racconti. Non esiste tradizione senza esempio e senza la sponda del racconto. Tradizione, da tradere: trasmettere. Crediamo che la tradizione sia la conservazione delle cose, degli usi e dei costumi. Può esserlo, ma non puoi trasmettere se non “giochi”, se non ti trasformi, se non ti consumi. Solo così può sopravvivere uno spirito dei tempi: rinnovandosi. L’approdo finale di queste pagine sarà questo: come tutto ancora brucia, come tutto ancora esiste perché è evoluto, altrimenti sarebbe scomparso, superato, inutile. E come un tennista ne abbia raccolto e compiuto il gesto, tutti i gesti, senza però scrivere la parola fine, che non esiste. Lo ha fatto riportando in vita quello spirito che ha dato una forza nuova e autentica (per definizione) al gioco del tennis. Che, come detto, ha antenati nel Medioevo (nella pallapugno – dalla quale poi discenderà più direttamente l’odierna pelota) e si afferma nel tredicesimo secolo in Francia. In origine, la palla doveva essere lanciata con una mano (il palmo, protetto da un guanto) nel campo avversario superando una corda tesa a metà campo. Si affiancherà e poi si sostituirà la racchetta e così si diffonderà, anche nelle testimonianze e nei disegni d’epoca.

Un'elegante volèe di Stefan Edberg: vent'anni dopo il ritiro, sarebbe diventato coach di Roger Federer

HO VISTO UN RE
La courte paume era giocata in un locale chiuso lungo 30 metri e largo 12 metri con rete divisoria alta 0,92 m al centro e 1,50 m ai lati. Dopo appena due secoli dall’esplosione, a Parigi si contavano 250 sale da gioco (molte poi riconvertite in teatri e alberghi). Era una passione trasversale, come detto: coinvolgeva le famiglie reali e i lavoratori. Anche Oltralpe hanno il loro lutto “storico” legato al gioco. 7 Carlo VIII – un Re che non dette particolare lustro ai Valois, e riuscì perfino a lasciare un brutto ricordo di sé anche a Fivizzano – cadde da cavallo il 7 aprile 1498 nei pressi del Castello di Amboise: batté la testa contro l’architrave in pietra di una porta. Morì nel giro di un paio d’ore, ancora giovane: aveva 27 anni. Non morì dunque in una delle tante e inutili e sconsiderate guerre che aveva provocato, anche in Italia, tanto da far ribrezzo al Machiavelli, che ebbe parole sconfortanti per il ragazzo dei Capetingi. Morì per il desiderio di andare a vedere una partita di un gioco nuovo, le jeu de paume. A mano aperta, braccio teso, i giocatori rimandavano la palla oltre una corda tesa. In Italia si chiamerà gioco della pallacorda. È un secolo decisivo: l’uomo mette le sue qualità al centro dell’universo, cerca di incidervi, cerca di spiegarsi molte cose, di trasformarle. In breve, cerca di sostituire quello che sa con quello che è: per fortuna capisce in fretta che non tutto era da buttare. Ripesca dal baule la clava, e ci lavora un po’ sopra. La palla c’è, la rete c’è, la dinamica è semplice. La mazza – ormai di un più leggero legno – viene scolpita alla bisogna.

La sala da gioco più famosa fu costruita nei giardini delle Tulleries ed è diventata un museo perché fu usata per nascondere opere d’arte dal ratto dei tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. A Versailles c’è l’altrettanto celebre Salle de Jeu de Paume dove si tenne il giuramento del Terzo Stato del 20 giugno 1789, appena prima lo scoppio della Rivoluzione. In questi campi, si doveva far passare la palla attraverso ostacoli, porte e gallerie, secondo un antico regolamento. Nonostante la divaricazione in tennis e pelota, esistono ancora cultori del gioco, che si pratica in 45 campi sparsi nel mondo, il punteggio è simile al tennis, la racchetta anche, la palla ha un nucleo in sughero rivestito di lana (un tempo era invece pesantissima, e in molti persero la vita per essere stati colpiti con violenza alla testa). La validità del 8 ribalzo laterale ne fa anche un vero antenato del Paddle o Padel. Ma la storia è lunga. Il mondo accelera negli anni che precipitano verso il ventesimo secolo. Succede tutto quello che siamo oggi. La vita cambia e gli inglesi hanno il ticchio dei brevetti e dei primati. Sugli sport poi hanno il vantaggio di avere benessere più diffuso, cultura e società organizzate per radunare sia i praticanti che gli appassionati. E una naturale apertura verso il mondo, e una più facile possibilità di assorbirne le possibilità. Il maggiore Walter Clopton Wingfield, che già aveva prodotto e brevettato le reti ormai simili a quelle che conosciamo, decise di mettere una data di inizio al nuovo sport. Brevettò il gioco moderno che chiamò Sphairistikè (dal greco «gioco della palla»). Wingfield viveva nella città di Llanelidan, in Galles. Scrisse anche Il Libro del Gioco e L’importanza del Gioco, le Regole del Tennis. Così che non ci fossero dubbi sull’autore di questa storia che andava a cominciare con una sua ufficialità.