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ROLAND GARROS

L'ultima Danza del Pollice

Una splendida partita contro Casper Ruud sancisce l'addio di Jo Wilfried Tsonga. Gioca alla grande, sogna di portarla al quinto, poi si fa male alla spalla. Si consola con la Marsigliese intonata dal pubblico e gli abbracci (reali e virtuali) di tanti colleghi. "Non potevo chiedere di meglio"

Riccardo Bisti
24 maggio 2022

Si sono giocate una cinquantina di partite, nella terza giornata del Roland Garros, alcune molto interessanti. Ma il 24 maggio 2022 sarà ricordato per l'ultima partita di Jo Wilfried Tsonga. Non sappiamo se l'aveva immaginata così. Forse sì, ma sperava di non farsi male alla spalla durante il match contro Casper Ruud. Sulla carta sembrava proibitivo, sul campo lo è stato decisamente meno. Per lunghi tratti, il pubblico del Philippe Chatrier ha sperato di celebrare una grande impresa. È finita 6-7 7-6 6-2 7-6, perfetta sintesi della sua carriera: giocate fantastiche, smorfie, emozioni e un infortunio che gli ha impedito di difendersi fino alla fine. “C'era tutto: brio, scenario, infortunio, un grande avversario... Tutte cose che hanno fatto parte della mia carriera”

Lo ha detto ai giornalisti, dopo che il torneo gli aveva regalato un commiato denso di emozioni, tra gli abbracci (reali) dei connazionali e quelli (virtuali) dei Fab Four, quegli avversari che gli hanno impedito di vincere di più. All'inizio del suo match numero 705, l'atmosfera non era un granché. Pochi spettatori, a parte un gruppo di fedelissimi armati di tamburi. In quel momento sono tornate in mente le parole di Noah dopo la semifinale del 2013, persa da Tsonga contro David Ferrer. “Il pubblico ha abbandonato Jo nel momento del bisogno” disse l'ultimo francese a vincere uno Slam. La genste aveva svuotato le tribune dopo l'eterno Nadal-Djokovic. Legittimo, ma Tsonga era stato privato di energia vitale e “ha giocato il primo set in campo neutro” disse Noah. Visto il clima da stadio riservato il giorno prima a Benoit Paire, in effetti, un po' di delusione era legittima.

«Se avessi vinto non credo che avrei giocato il secondo turno, perché ho lasciato tutto sul campo»
Jo Wilfried Tsonga
ASICS ROMA

La commozione di Jo Wilfried Tsonga e la celebrazione in suo onore

Ma Tsonga non si è fatto rovinare la mente dall'atmosfera: anzi, ci ha pensato lui a scaldarla. Anche perché è stato un vero giocatore da Roland Garros. “Tutto quello che ho fatto in questo torneo è stato diverso rispetto agli altri. Sono sempre arrivato pieno di fiducia, anche se non avevo vinto molto nelle settimane precedenti”. Ci si domandava se avrebbe potuto fare altrettanto contro Ruud, peraltro dopo l'attività part-time negli ultimi mesi. Spinto da un servizio super-efficace, ha aggredito la partita con serenità, mettendo in crisi un avversario un po' sotto tono. Dopo aver vinto il tie-break del primo set, ha agitato il pugno con un sorriso. Non c'era particolare rabbia agonistica, solo la gioia di stare facendo una bella figura.

Privo della mobilità degli anni d'oro, è stato ancora più aggressivo e ha fatto capire a Ruud che non gli avrebbe regalato il passaggio del turno. Avrebbe dovuto conquistarselo. In effetti è andata così, e chissà cosa sarebbe successo se avesse vinto anche il secondo set (perso al tie-break). Ha un po' mollato nel terzo, ha dato tutto nel quarto, poi il problema alla spalla gli ha impedito di servire nel tie-break finale, perso 7-0 non prima che il pubblico gli dedicasse una fragorosa Marsigliese. “È stata una delle migliori atmosfere mai vissute in carriera, non potevo chiedere di meglio – ha detto – questo è quello che mi mancherà. Volevo finire dando il massimo e penso di averlo fatto. Ma se avessi vinto non credo che avrei giocato il secondo turno, perché ho lasciato tutto sul campo”.

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Tsonga premiato dal Roland Garros e circondato da amici. Tra loro Gael Monfils, giunto al torneo apposta per salutarlo

Tsonga ha ricevuto i saluti di Federer, Nadal, Djokovic e Murray

Tsonga dice addio senza aver mai vinto il Roland Garros, laddove è stato semifinalista in un paio di occasioni, ma non può vergognarsi della sua carriera, la seconda più vincente di un francese nell'Era Open (meglio di lui ha fatto solo Noah). Ha vinto 18 titoli (tra cui due Masters 1000), una Coppa Davis e lui stesso ha detto di lasciare senza rimpianti. “Inoltre ho avuto il privilegio di vivere la carriera a modo mio – continua – essere un tennista, in fondo, vuol dire essere un perdente. Noi perdiamo quasi ogni settimana. Anche Federer ha chiuso più tornei da sconfitto di quanti ne abbia chiusi da vincitore. Alla fine di ogni torneo ti senti dire che devi ripartire, e devi prepararti a perdere di nuovo.

Questo è il nostro lavoro: accettare di perdere e tornare in campo il giorno dopo, sperando di vincere”. Forse domani andrà a pescare, uno dei suoi hobby, o forse rimarrà a Parigi per qualche passerella. Chissà se gli esami diagnostici gli permetteranno di giocare il doppio insieme a Richard Gasquet. Di sicuro non si preparerà per il prossimo torneo. La sua carriera si è chiusa sulla terra del Roland Garros, suo grande desiderio. Non vedremo più la sua danza del pollice, esultanza che potrebbe addirittura brevettare, e nemmeno i suoi baci alla terra rossa, o il disegno di un cuore sul campo dopo una bella vittoria. Non vedremo più in campo Jo Wilfried Tsonga: ci mancherà, ma chiudere con serenità è un grosso privilegio, forse paragonabile a uno Slam. E questo, il simpatico Jo, lo ha sempre saputo.