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IL CASO

L'Australian Open potrebbe lasciare Melbourne!

È il timore di Craig Tiley, direttore del torneo: la pandemia ha prosciugato le riserve di Tennis Australia e c'è bisogno di ulteriori investimenti. Nonostante un accordo fino al 2046, Sydney e la Cina hanno già bussato. Ma il governo del Victoria rassicura: “Il torneo non va da nessuna parte”.

Riccardo Bisti
30 dicembre 2022

L'Australian Open potrebbe abbandonare Melbourne. È il rischio-shock paventato da Craig Tiley, direttore del torneo e amministratore delegato di Tennis Australia. La notiza esce poche ore dopo la pubblicazione del prize money, emblema dell'ennesimo sforzo per andare incontro ai giocatori. Tiley ha concesso un'intervista esclusiva con l'Herald Sun e ha parlato senza mezzi termini: la pandemia ha messo in ginocchio Tennis Australia (l'organizzazione che detiene i diritti del torneo, ma non è proprietaria della sede), le cui riserve economiche si sono praticamente azzerate: degli ottanta milioni di qualche anno fa non è rimasto praticamente nulla. Una volta avvertita la debolezza, sono arrivate forti pressioni per uno spostamento immediato, a Sydney o addirittura in Cina, il cui mercato è molto interessato ad accalappiare uno Slam. Le frasi di Tiley passano sopra il recente annuncio del Governo del Victoria: lo scorso ottobre hanno fatto sapere che il contratto per ospitare il torneo è stato esteso di ulteriori 7 anni, fino al 2046. Una cassaforte soltanto apparente: gli altri Slam corrono, migliorano, si ingrandiscono, e l'Australian Open non può permettersi di restare indietro. Anche perché, storicamente, è il più soggetto ai cambi di sede.

Un'attenta analisi delle parole di Tiley farebbe pensare a dichiarazioni di natura politica, il cui obiettivo e tenere alta l'attenzione del Governo e spingerlo a investire ancora, dopo che negli ultimi dieci anni hanno stanziato un miliardo di dollari australiani per mantenere il torneo a Melbourne (tramite imponenti migliorie strutturali). A suo dire, la cifra – sia pur enorme – raccolta negli ultimi dieci anni non è neanche lontanamente vicina a quanto serve per rispettare gli standard richiesti da uno Slam. “Non siamo in grado di finanziarci da soli – ha detto – perché le ultime due edizioni hanno portato Tennis Australia sull'orlo di un collasso finanziario”. Per rimettere un po' di denaro in cassa, hanno lanciato un'aggressiva campagna di vendita biglietti per l'imminente torneo (a prezzi accessibili, va riconosciuto), con l'obiettivo di raggiungere la cifra-monstre di 900.000 spettatori in tutto il torneo. Dovessero farcela, l'Australian Open 2023 diventerebbe il torneo più visto di sempre. Per la verità, il record è già loro: l'edizione 2020 accolse la bellezza di 812.174 persone, poi la pandemia ha messo a dura prova il meccanismo: le pesanti limitazioni alla capienza (con tanto di intere giornate a porte chiuse) hanno prodotto 130.374 spettatori nel 2021 e 346.468 nel 2022.

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Lo sapevi che...

L'Australian Open è lo Slam ad aver cambiato più sedi nella sua lunga storia. La prima edizione si è svolta nel 1905 presso Warehouseman's Cricket Club Ground di Melbourne, ma fino al 1921 gli Australasian Championships (nome originario del torneo) erano un evento itinerante: si è giocato anche a Brisbane, Sydney, Perth, Adelaide e persino in due città neozelandesi: Christchurch nel 1906 e Hastings nel 1912. Ha trovato un po' di stabilità a partire dal 1922: nei successivi sessantacinque anni si sono alternate quattro sedi:
- White City Stadium di Sydney (15 edizioni, l'ultima nel 1971)
- Milton Courts di Brisbane (5 edizioni, l'ultima nel 1969)
- Memorial Drive di Adelaide (12 edizioni, l'ultima nel 1967)
- Kooyong Lawn Tennis Club di Melbourne (28 edizioni, le ultime 16 consecutive dal 1972 al 1987)

Nel 1988 è stato inaugurato l'attuale impianto (costato due anni di lavori e 94 milioni di dollari australiani), inizialmente denominato Flinders Park. Nell 1996, l'allora Premier australiano Jeff Kennett decise di cambiare nome, poiché riteneva che il nome "Melbourne" avrebbe garantito una maggior risonanza internazionale. L'idea ebbe una forte opposizione: molti sostennero che sarebbero stato come denominare "Paris Park" il Roland Garros. Fu irremovibile, e da allora la sede si chiama "Melbourne Park"

Il processo decennale di riqualificazione di Melbourne Park è stato completato lo scorso anno, ed è stato celebrato con questo filmato

Cifre insufficienti per un torneo che spende moltissimo e ha un grosso handicap rispetto agli altri tre Slam: Tennis Australia è costretta ad affittare le strutture di Melbourne Park, mentre a Parigi, Londra e New York gli organizzatori sono proprietari degli impianti. La concorrenza lo sa e in piena pandemia si è parlato di spostamento. “Sì, c'è stata una discussione del genere – ha ammesso Tiley – per quanto mi riguarda, il torneo dovrebbe stare sempre a Melbourne. L'ho sempre sostenuto, ma io sono solo una persona. C'è un'organizzazione, un consiglio, diverse parti interessate”. Niente sonni tranquilli, dunque, anche perché altrove si corre. “Eravamo molto indietro rispetto agli altri Slam, ma eravamo stati in grado di raggiungerli. Però loro stanno facendo enormi salti in avanti perché hanno molto spazio. Quale sarà il nostro salto per non finire di nuovo indietro?”. L'ultima frase sembra un invito – neanche troppo implicito – al Governo del Victoria. D'altra parte Tennis Australia non è un ente di beneficenza: arrivasse una maxi-offerta, con la garanzia di strutture ancora migliori, non sarebbe facile respingerla. “Qualcuno potrebbe obiettare che abbiamo appena finito la ristrutturazione dell'impianto, ma qui si tratta del futuro”. In effetti, dopo lo spavento del 2010, la politica annusò il pericolo e ha stanziato il già citato miliardo, diviso in tre blocchi di lavori, rispettivamente di 363, 338 e 271 milioni di dollari. Hanno rimesso a nuovo la Rod Laver Arena, hanno reso un gioiello la Margaret Court Arena (diventata il secondo campo più importante), inaugurato la KIA Arena nel 2021 e migliorato l'esperienza complessiva per giocatori, pubblico e addetti ai lavori.

Ma non basta: parlando di un torneo “di tre settimane” (non si capisce cosa intendesse: forse un allungamento della durata del main draw?) ha menzionato la necessità di creare un nuovo Show Court, che fosse un impianto ex-novo o magari la ristrutturazione della John Cain Arena, che peraltro è stata inaugurata appena vent'anni fa (il primo match si è giocato nel 2001). E poi ci vogliono altri campi: per ottenerli, l'unica strada percorribile è un'espansione dell'impianto. D'altra parte, Wimbledon ha accelerato l'acquisizione dell'adiacente club golfistico per ingrandirsi. A Melbourne ci sarebbe la possibilità di usufruire dell'area verde attorno all'AAMI Park, lo stadio da 30.000 posti che ospita partite di calcio e di rugby. Dando un'occhiata alle immagini aeree, lo spazio tra la ferrovia e il fiume Yarra (dove già sorge Melbourne Park) ci sarebbe. Per un'operazione del genere, tuttavia, è fondamentale una forte spinta politica. Agli australiani non è mai mancato lo spirito d'iniziativa: negli anni '80 hanno letteralmente salvato un torneo che rischiava di cadere a pezzi ed era definito “Gamba Zoppa” degli Slam. Per un decennio lo avevano addirittura spostato a dicembre, cercando di aumentarne l'appeal per i tennisti ancora in lizza per il Grande Slam (in effetti, Martina Navratilova ci andò vicinissima). Non bastò, dunque abbandonarono la vetusta sede di Kooyong e costruirono l'attuale impianto, con tanto di cambio di superficie (dall'erba al Rebound Ace, poi diventato Plexicushion, infine Greenset) e l'invenzione degli stadi con tetto retrattile.

Inaugurata nel 2021, la KIA Arena è il campo più recente di Melbourne Park. Può ospitare circa 5.000 spettatori

L'Australian Open si gioca a Melbourne Park dal 1988

Al di là delle parole di Tiley, è onesto ricordare che l'Australian Open è l'unico Slam ad avere tre campi richiudibili (soltanto la Caja Magica di Madrid possiede qualcosa di simile). Tuttavia, la rigidissima policy anti-Covid attuata in Australia, e in particolare a Melbourne, ha avuto l'effetto collaterale di mettere in difficoltà un torneo che si era costruito la nomea di Happy Slam proprio per l'allegria che trasmette(va) e la capacità di accoglienza. Ma i soldi non hanno colore né odore, e l'impressionante sviluppo della Cina non può essere ignorato. Al netto dei problemi legati alla pandemia, il mercato cinese rappresenta una grossa fetta degli spettatori: attualmente, circa il 40% dell'udienza globale del torneo proviene dall'Asia. Inutile sottolineare che la maggior parte è cinese, peraltro con tassi di crescita impressionanti. Quando Na Li vinse il torneo nel 2014 c'erano cento milioni di cinesi davanti alla TV, cifre irraggiungibili per qualsiasi altro Paese. Annusato il pericolo, qualche anno fa gli australiani hanno aggiunto una sorta di sottotitolo al nome del torneo, definendolo “The Grand Slam of Asia-Pacific”, come ad abbracciare un intero continente e prevenire il fuoco amico. La stessa area geografica ha a disposizione una wild card per ciascun torneo di singolare, senza contare Luzhou Laojiao, azienda cinese di liquori, che ha in essere un contratto (dopo aver sborsato 80 milioni per cinque anni, si dice) per far comparire il proprio nome su tutti i campi di Melbourne Park, oltre ad aver intitolato il quinto campo per importanza con il nome “1573 Arena”.

Insomma, i timori di Tiley sono legittimi. Ma attenzione, perché potrebbe essere una strategia per mettere pressione al governo locale. Noi ne sappiamo qualcosa, con Angelo Binaghi che periodicamente lascia intendere che gli Internazionali d'Italia potrebbero lasciare Roma: anche in questo caso, l'intento è chiaramente strategico. A quanto pare, l'intervista di Tiley ha raggiunto l'obiettivo: a stretto giro di posta è arrivata la replica di un membro del governo del Victoria, presieduto da quel Daniel Andrews diventato popolarissmo lo scorso anno per la sua fermezza in merito alla (non) ammissione di Novak Djokovic. Ha parlato Anthony Carbines, una sorta di Ministro dell'Interno, il quale ha rassicurato tutti. “L'Australian Open non andrà da nessuna parte – ha detto – la cosa migliore che possono fare i vittoriani è garantire il loro sostegno. Non siamo sorpresi del fatto che altri Paesi e altri Stati vogliano il torneo, ma continueremo a supportare l'evento in tutto quello di cui hanno bisogno. Abbiamo già investito oltre un miliardo in infrastrutture e sostegni vari”. Anche sulla necessità di migliorie agli impianti è stato chiaro: “Saremo sempre aperti a quello che bisogna fare per stare alla larga degli assalti internazionali”. Parole da politico per calmare le acque... oppure Tiley ha fatto centro?