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IL PERSONAGGIO

L'altra faccia di Holger Rune. Quella vera

Vogliono dargli l'etichetta di “cattivo”. In realtà, Holger Rune ha semplicemente il coraggio di esprimere le sue ambizioni. Un profondo senso di gratitudine è all'origine dello stretto legame con la famiglia, a partire dalla madre tuttofare. Scopriamo un mondo che non sempre è come sembra.

Riccardo Bisti
12 maggio 2023

"Papà, quando diventerò professionista ti regalerò una Maserati”. È difficile trovare un modo originale per approcciarsi al mondo di Holger Rune. Da quando ha compiuto il passaggio da promessa a realtà, gli hanno cucito addosso la fama di Bad Boy, o meglio, di anti-personaggio. Antipatico, più che cattivo. L'aneddotica è ormai di dominio mainstream: il segno cancellato a Madrid durante il match contro Davidovich Fokina, l'atteggiamento impertinente a Monte-Carlo contro Sinner, il doppio litigio alla stretta di mano con Stan Wawrinka (prima a Bercy, poi a Indian Wells), la polemucccia con Ruud al Roland Garros. I più attenti ricorderanno le frasi omofobe sparate un paio d'anni fa durante il Challenger di Biella, quando utilizzò il termine faggot (in danese, frocio) per etichettare il suo avversario, Tomas Etcheverry (anche se lui giurò che l'epiteto fosse rivolto a se stesso). Ce n'è a sufficienza per etichettarlo e magari creare una rivalità a tavolino con Carlos Alcaraz, mister sorriso, il ragazzo dai buoni sentimenti. Ma è lo stesso Rune a divincolarsi da questa narrativa. “Non sono un cattivo ragazzo” ha detto alla vigilia dell'esordio agli Internazionali BNL d'Italia, opposto a uno dei pochi più giovani di lui, quell'Arthur Fils che è ancora definibile come promessa. Dopo il mezzo fiasco a Madrid, per lui non ci sono obiettivi diversi dalla vittoria. È sempre stato così, sin da bambino. Lo confessa l'onnipresente mamma Aneke, personaggio da cui non si può prescindere per entrare nel mondo Rune. D'altra parte gli fa da manager-segretaria-psicologa-tuttofare.

“Quando era piccolo gli piaceva Rafael Nadal, poi quando lo spagnolo è diventato n.2 si è accorto che il n. 1 era Roger Federer. Allora ha cambiato idolo: ha tolto i poster di Rafa dalla sua stanza e ha messo quelli di Roger”. Non è una questione di personalità o stili di gioco: semplicemente, Holger non concepisce nulla di diverso dal numero 1. Per questo, non c'è da stupirsi che andrebbe a cena con Novak Djokovic (“Accetterei l'invito” ha detto il serbo). “Al suo primo torneo è arrivato in finale e non voleva prendere il trofeo perché non gli interessava essere il secondo” continua mamma Aneke, da cui Holger ha preso il cognome. Niente allarmismi: nessun matriarcato domestico, ma la semplice cultura di alcuni Paesi nordici, in cui all'anagrafe viene attribuito automaticamente il cognome della madre, a meno che la famiglia non faccia una scelta diversa. A inizio carriera, in effetti, sulle schede ufficiali si faceva chiamare Holger Vitus Nodskov Rune, poi hanno capito che era un po' troppo macchinoso. Non crediamo che Anders Nodskov, quello che da noi si chiamerebbe capofamiglia, si sia lamentato. Anzi, è ben contento di restare in disparte. Non lo si vede mai ai tornei ed è una figura quasi misteriosa. Eppure è un fior di professionista: ha fondato una società di noleggio yacht riservata a clienti di lusso, in luoghi di lusso (Croazia e Dubai). Il suo ruolo nella carriera del figlio si limita alla revisione di accordi e contratti, mentre la sorella maggiore (Alma) fa un po' la contabile.

«Il giocatore perfetto? Servizio di Kyrgios, risposta di Djokovic, dritto sulla terra di Nadal, dritto sul cemento e gioco di volo di Federer. Rovescio? Mi tengo il mio!» 
Holger Rune

Per tutto il resto c'è la madre, che lo segue come un'ombra e vuole restituire al figlio quello che a lei è sempre mancato: il sostegno. Ottima ballerina, era arrivata al Royal Danish Ballet ma la sua carriera non si è sviluppata come avrebbe voluto, perché “nessuno mi ha sostenuto”. Segnata da questo ricordo, appena ha intuito la feroce ambizione del figlio ha scelto di dare tutta se stessa per assecondarlo, seguirlo, sostenerlo e proteggerlo, sebbene – non si sa come – si occupi anche dell'azienda di refrigeratori d'acqua potabile di cui è amministratore delegato. “In Danimarca non lo capisce nessuno, è una sorta di freak – raccontava a suo tempo – la sua ambizione non è compresa dalla società danese. Quando trascorre più di una settimana a casa ci domanda sempre quando si parte, quando si torna nei luoghi che gli appartengono”. Quali luoghi? Facile: dove si giocano i grandi tornei. Quanto alla base, ha scelto (sin dal 2016) l'accademia di Patrick Mouratoglou. “Quando l'ho visto per la prima volta non mi ha impressionato come gioco. Ma rimasi colpito dalla sua mentalità incrollabile” dice The Coach. Da tempo si è trasferito a Monte-Carlo: meno tasse, certo, ma anche la possibilità di condividere campi e allenamenti con tutti i più forti. A Holger interessa questo, e forse è il suo segreto. Si vede, si percepisce che non gioca a tennis per soldi. Gioca perché possiede uno spirito competitivo innato, quasi paranormale.

Fateci caso:quando si descrivono le qualità di un baby-fenomeno ci si sofferma sempre sulle doti tecniche, la coordinazione, le capacità motorie... Non che Rune giochi male, ma il suo tratto distintivo è sempre stata la competitività, che ben presto si è trasformata in ambizione sfrenata. “Quando imparava qualcosa durante una lezione, si presentava a casa e ripeteva i movimenti in soggiorno – dice la madre – c'erano le feste di compleanno con gli altri bambini, ma lui non ci andava perché non voleva perdere le lezioni di tennis. Io gli dicevo che era meglio stare con i compagni, ma lui rispondeva piangendo. E così mi toccava spiegare agli altri genitori il motivo delle sue assenze”. Non era previsto che mamma Aneke assumesse il ruolo attuale, ma una concatenazione di eventi l'ha spinta in questo senso. Quando Holger aveva 8 anni, lo invitarono a partecipare ai campionati nazionali Under 12. Giunse nei quarti partendo dalle qualificazioni, così decisero di provare a misurarsi all'estero. “In quel momento era troppo piccolo, aveva bisogno della madre, non era autosufficiente e non poteva andare in giro soltanto con il coach. In quel momento mio marito aveva troppo da lavorare, non era un'opzione”. L'idea era un allontanamento progressivo, fino a lasciarlo girare per il mondo solo con il suo staff. “Ma poi mi sono inserita sempre di più nel mondo del tennis, e guardandomi intorno mi sono resa conto che i genitori rimangono sempre nell'ambiente”. E allora può capitare che Lars Christensen non sia a tutti i tornei, così come Patrick Mouratoglou o i coach del suo team... ma la madre c'è sempre.

Il rapporto con mamma Aneke non è sempre stato idilliaco: durante i quarti del Roland Garros 2022 l'ha invitata a uscire

Lars Christensen è stato il primo coach di Holger Rune: nonostante diverse aggiunte al team, è ancora al suo posto

“Con lei potrei parlare 24 ore su 24, 7 giorni su 7 – dice il diretto interessato – mi rilassa dopo ogni partita, o se sono stanco dopo un allenamento. È come un mental coach”. Le è anche grato: dall'alto dei 20 anni di età (compiuti lo scorso 29 aprile) si è reso conto dei tanti sacrifici – anche economici – sostenuti dalla famiglia. Hai voglia a dire che la Danimarca è un Paese ricco (vero) e ad alta qualità della vita (altrettanto), ma il tennis è costosissimo. E non sempre è stato facile sostenere le spese di un baby campione. “Una volta siamo andati a giocare un torneo a Doha, in Qatar – dice la madre – ed era tutto costosissimo, dall'hotel ai pasti. Tra me e me pregavo che arrivasse almeno nei quarti, perché se avesse perso al primo turno avremmo perso molti soldi. E anche gli Slam junor sono molto dispendiosi. Però lui non ha mai saputo nulla”. Voleva proteggerlo, lasciare che la sua mente fosse protesa solo sul sogno, anzi, sull'obiettivo. Oggi Holger sta restituendo tutto ai suoi genitori. Non tutti sanno che la famiglia aveva una residenza estiva a Vejby, nel nord del Paese. L'hanno venduta per sostenere le folli spese del tennis. Non sappiamo se Holger abbia già regalato una Maserati a papà Anders, ma di certo ha comprato una baita proprio a Vejby: l'ha pagata circa 3 milioni di corone danesi (circa 400.000 euro). 58 metri quadri, un terreno circostante di circa 400 e il mare distante poche decine di metri.

Un luogo semplice, antico (l'hanno costruito nel 1930), ideale per restituire qualcosa a chi si è sacrificato per lui. Già che c'era, ha comprato un appartamento anche a Copenaghen, nel quartiere Nordhavnen. Un quadrilocale con balcone, 105 metri quadrati. L'ha pagato 7 milioni in valuta locale dopo una breve trattativa, in cui ha strappato uno sconto di 500.000 corone. “Almeno avrò un posto dove andare ogni volta che torno in Danimarca. Che rimane sempre casa mia”. Ci tornerà tra una decina di giorni: il prossimo 24 maggio giocherà un'esibizione presso la Royal Arena di Copenaghen con Nick Kyrgios, un altro finto Bad Boy, non a caso uno dei pochi che si è schierato dalla sua parte nelle diatribe degli ultimi mesi. Sarà una rifinitura in vista del Roland Garros, un torneo che sarà sempre speciale per lui. È passata alla storia una sua antica dichiarazione, quando disse che avrebbe voluto battere il record di Rafael Nadal. Vabbè. Però è storia quanto accaduto nel 2019: gli dicevano che quell'anno avrebbe dovuto giocare gli Slam junior per poi vincerli nel 2020. “Glielo dicevano ripetutamente, così a un certo punto mi ha chiesto perché nessuno gli dicesse che doveva vincerli – racconta la madre – a lui non interessava partecipare, voleva vincere e basta. Infatti ha vinto il Roland Garros”.

«Da piccolo non andava alle feste di compleanno perché non voleva perdere le lezioni di tennis. Io gli dicevo che era meglio stare con i compagni, ma lui rispondeva piangendo. E così mi toccava spiegare agli altri genitori il motivo delle sue assenze» 
Aneke Rune

Nonostante avessero già vissuto gloria tennistica con Caroline Wozniacki, per i danesi fu un grande evento. Accoglienza trionfale all'aeroporto di Kastrup: telecamere, fotografi, giornalisti. C'era anche Michael Tauson, direttore sportivo dell'Hellerup Idraets Klub, la polisportiva di Copenaghen in cui Holger è cresciuto, la cui sezione tennis mette a disposizione ben 29 campi (di cui 10 al coperto). È lì che ha conosciuto Lars Christensen, è lì che ha conosciuto l'altra stellina del tennis danese, Clara Tauson (che è nipote di Michael). Nel rispetto delle tradizioni danesi, fu accolto al municipio di Copenaghen, dove gli furono offerti i sui amati pancake. Ma per Holger era solo una linea di passaggio. Pensava già a Wimbledon, ma a Londra perse al terzo turno contro il britannico Anton Matusevich. Dopo il match si presentò alla troupe della TV danese e scoppiò in lacrime durante l'intervista perché si era infortunato. “È brutto giocare quando sei al 10%” sibilò. Pare sia stata l'unica volta in cui non avesse troppa voglia di parlare. Per il resto, ha un carattere molto aperto e non ha problemi nell'urlare ai quattro venti le proprie ambizioni. “Faccio fatica a trovare qualcuno che abbia la mia stessa dedizione – dice – quando a fine 2019 ho fatto da sparring alle ATP Finals, dissi a Zverev che l'anno successivo il mio obiettivo era entrare tra i top-400 ATP. Lui mi disse che era troppo poco, che avrei dovuto puntare ai top-100. Se lo dice il numero 7...”. La pandemia ha ritardato di un anno il progetto, ma Holger l'ha portato a termine. A fine 2021 era numero 103.

Dopo il successo al Challenger di Bergamo, gli chiedemmo quale fosse il suo obiettivo per l'anno seguente: “Vorrei chiudere tra i primi 15-20”. Detto, fatto. Un anno dopo vinceva Parigi-Bercy battendo in finale Djokovic e facendo irruzione tra i top-10. “Se non hai il coraggio di dire le cose ad alta voce, non puoi avere grandi obiettivi – racconta – questo genera pressione, ma io gioco anche meglio quando sono sotto pressione”. Lo ha dimostrato a Monte-Carlo, laddove ha vinto di tigna, verrebbe da dire di cazzimma, la semifinale contro Jannik Sinner. “In quell'occasione ho utilizzato le emozioni negative come carburante” racconta questo biondino di 188 centimetri che per qualche tempo si è fatto seguire da un mental coach, Lars Robl, con un passato nelle Forze Speciali dell'esercito danese. Amico del padre, lo ha aiutato nella ricerca della concentrazione. “Soprattutto quando sono frustrato e le cose non vanno come vorrei”. A suon di successi, Holger Vitus Nodskov Rune sta dimostrando che le sue frasi non sono le sparate di chi cerca visibilità. Lui ci crede davvero. Dopo aver vinto a Parigi-Bercy, disse che il suo obiettivo era chiudere il 2023 al numero 1 del mondo. “Ci credi ancora?” gli hanno chiesto un paio di settimane fa. “Certo. È ancora il mio obiettivo. È ancora possibile ed è qualcosa in cui credo”. Questo è Holger Rune, il tennista che da bambino indossava lo smoking sotto la tuta. Voleva essere all'altezza di James Bond.