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Isner-Mahut: ebbene sì, io c'ero!

Se la norma sul tie-break al quinto set fosse entrata in vigore qualche anno prima, non avremmo assistito al match più lungo di tutti i tempi: il mitico Isner-Mahut di Wimbledon. Un evento entrato nella cultura pop, che un nostro lettore ebbe la possibilità di seguire dal vivo. E oggi ci racconta la sua magica esperienza.

Andrea Formica
10 aprile 2022

Il 23 giugno 2010 ero riuscito a procurarmi, per la prima volta nella mia vita, i biglietti per il Centre Court di Wimbledon. Feci la mitica queue (poi ripetuta innumerevoli altre volte negli anni a seguire), sia pure senza dormire sui prati umidi di Wimbledon Park, dentro ad una scomoda tenda canadese. Mi ero presentato in compagnia del solito amico delle scorribande tennistiche di quegli anni, Gianluca, verso le 5,30 del mattino (gli altri amici, Paolo ed Enrico, ci avevano mollato per un giro a zonzo per Londra) e, magicamente, al momento della consegna della Queue Card (conservo una trentina di questi curiosi biglietti rettangolari, ogni giorno colorati in modo differente) scoprimmo di essere tra i primi 1500 spettatori. Questo significava avere diritto, dopo qualche ora di coda, al braccialetto colorato (quel giorno, rammento, arancione - non lo tolsi per qualche giorno) che avrebbe permesso di acquistare il biglietto per il campo centrale.

Il caso fortunato era da ascriversi alla circostanza che quel giorno: l'Inghilterra avrebbe giocato ai mondiali di calcio con la Slovenia (vinse, salvo poi essere eliminata più avanti nel torneo), dunque molti inglesi avevano rinunciato al tennis e alla coda di Wimbledon per il pallone. Sono assai particolari le dinamiche della queue e ho imparato a conoscerle e a intepretarle in questi ultimi dodici anni di frequentazioni wimbledoniane. In ogni caso, alle 10,30 entravamo nel Tempio del tennis, con braccialetto e biglietto del Centre Court. Ero gasatissimo. Tra l'altro, uno degli aspetti più interessanti (e sconosciuti) dell'esperienza queue è che gli inglesi, per premiare i veri appassionati (presumo), riservano ai “codisti” che accedono ai campi principali i posti migliori. Eravamo in quinta fila.

Quando i due eroi si trovarono sul 33-32 Isner, purtroppo, me ne dovetti andare. Il mio vicino di posto, quando mi alzai dalla seggiolina color verde Wimbledon, mi disse, sorridendo, “Are you sure?"
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Avete 11 ore di tempo? Ecco un ottimo modo per trascorrerle...

Dopo aver fatto tutte le foto possibili (che ovviamente conservo, con il ricordo di una giornata rovente), assistiamo al primo match, un gustoso Roddick vs Llodra, con tante discese a rete e grande varietà di gioco (soprattutto, ovviamente, del francese). Terminato il match (vinto da Roddick in quattro set) ci aspettava il secondo turno di Venus Williams, che a me suscitava un interesse talmente scarso da non essere risollevato neppure dall'offerta di Gianluca di un Pimm's ghiacciato. Sicché, decisi di lasciare il mio amico sul Centre Court a bersi il Pimm's e andai a vedere un mio pallino di quegli anni, specialista del serve & volley e con un bellissimo (anche se fragile) rovescio ad una mano, Nicolas Mahut. Infatti, avevo notato che la sua partita con Isner, il giorno precedente, era stata sospesa sul punteggio di due set pari.

Per questo non vedevo l'ora di godermi quel quinto set che avevo scoperto essere ancora in corso, su un clamoroso (per quel momento) 13-12 Isner. Quando mi sedetti sulla tribunetta di fronte al giudice di sedia del campo n. 18 (uno dei miei preferiti, già prima di diventare il “mitico campo n. 18”, per la sua parete vittoriana di mattoni marroni e perché Bolelli vi aveva battuto mano de piedra Gonzalez solo due anni prima) si respirava un'aria da evento epico. Isner sembrava distrutto, boccheggiava e, ad ogni cambio campo, sembrava non reggersi più in piedi. Ma continuava a servire come un treno (alla fine realizzò la cifra record di 113 ace, Mahut 103) e a buttare di là con tutte le sue forze il drittone definitivo. Mahut sembrava, invece, molto più pimpante. Serviva con precisione, scendeva quasi sempre a rete e non dava l'impressione di essere, minimamente, in riserva.

Per conservare in eterno la memoria di quel match, l'All England Club ha affisso una targa celebrativa sul Campo 18 di Wimbledon

John Isner e Nicolas Mahut ricordano il loro storico match

Ricordo che il giudice di sedia, il mitico Mohamed Lahyani, con il suo fare sornione, recitava il conteggio, esorbitante, sempre con il sorriso e lo stupore sulle labbra. In ogni caso, nelle tre ore a cui ho assistito al match più lungo della storia, mi sono davvero divertito, ho visto un bel tennis da erba (quasi anni ottanta), senza mai avvertire altra sensazione da quella di assistere ad un match leggendario, in cui i contendenti avrebbero dato tutto di loro stessi per prevalere. Con un dettaglio: Isner serviva per primo e, in caso di break (che, comunque, non vi fu), avrebbe avuto la possibilità di una seconda chance, le palle break concesse da Mahut sarebbero state tutte match point... Quando si è analizzato questo match (e quando si è dato, ingiustamente, del “perdente” a Mahut) non si è mai sottolineato che il francese ha servito per rimanere nella partita con successo per 64 volte di seguito.

In ogni caso, nella calura di quel pomeriggio londinese, con il viso al sole (tornai più abbronzato che se fossi stato ad Alassio) ho assistito da bordo campo, a pochi metri dai giocatori, ad un match di cui si sarebbe parlato per anni (splendido il podcast di Sandro Veronesi) e in cui l'aspetto emotivo prevalse nettamente su ogni altro aspetto tecnico, tattico e anche fisico. Isner e Mahut sembravano in trance e giocavano sui nervi. Nondimeno, quando i due eroi si trovarono sul 33-32 Isner, purtroppo, me ne dovetti andare, avevo un aereo da prendere per tornare in Italia (ma lo avrei perso lo stesso...) e ricordo che il mio vicino di posto, quando mi alzai dalla seggiolina color verde Wimbledon, mi disse, sorridendo, “Are you sure?”. Tutti sanno che finì 70-68 per Isner il terzo giorno di partita. Tuttavia capii, definitivamente, che avevo assistito ad un pezzo della storia del tennis e forse qualcosa di più, quando il giorno successivo al mio ritorno a casa, mentre mi trovavo in udienza (faccio l'avvocato quando non seguo il tennis) il giudice, divagando, cominciò a parlare di quella partita infinita ed incredibile che si stava disputando a Wimbledon. Con il sorriso sulle labbra, gli dissi che io avevo assistito ad una parte di quel match, poche ore prima mi trovavo sul campo n. 18 a vedere Isner-Mahut. Non ci credette.