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LA STORIA

Fabian Marozsan, il personaggio venuto dal nulla

La vittoria di Fabian Marozsan contro Carlos Alcaraz è una delle più clamorose degli ultimi 30 anni. Nel 2021 si presentò a Bergamo senza la certezza di giocare le qualificazioni... e partì una scalata impetuosa. L'intuizione di Csaba Babos, la metamorfosi caratteriale, il (difficile) cambio di racchetta e il trasferimento a Hajdúszoboszló: tutto sul nuovo personaggio del tennis mondiale.

Riccardo Bisti
16 maggio 2023

“Ci si domanda come faccia ad essere numero 415 ATP. Ha un buon fisico, è completo, sa giocare in ogni zona del campo... misteri di uno sport indecifrabile come il tennis”. 5 novembre 2021, venerdì sera. Chi scrive descriveva così Fabian Marozsan dopo averlo visto battere Dennis Novak (all'epoca n.107 ATP e seconda testa di serie) al Challenger di Bergamo, il torneo che ha cambiato la vita interiore del 23enne ungherese. Quella esteriore si è rinnovata 600 chilometri più in giù, sul Campo Centrale del Foro Italico, con una delle vittorie più clamorose degli ultimi trent'anni. Con una prestazione-monstre, Marozsan ha battuto Carlos Alcaraz, n.2 del mondo che tra qualche giorno tornerà numero 1. “Ha mantenuto lo stesso rendimento per tutta la partita” ha ammesso lo spagnolo, parlando di un ex carneade che fino a poche ore prima poteva girare liberamente per il Foro Italico con il suo clan: coach Mark Pataki, il compagno di allenamenti Peter Fajta (n.650 ATP), il manager Zsolt Somogyi e le colleghe Anna Bondar e Timea Babos. Adesso avrà bisogno della guardia del corpo, specie se la sua avventura al Foro Italico dovesse andare avanti (negli ottavi è atteso da Borna Coric). “Ma da dove sbuca questo?” si sono domandati gli spettatori del Foro, così come chi ha guardato il match in TV.

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“Noi ungheresi siamo indietro perché la crescita di un giocatore dipende da quanti tornei organizza un Paese, se i giovani possono giocare senza viaggiare e spendere troppo. Ammetto che due anni fa nessuno si aspettava che Fabian arrivasse a questi livelli, anche se aveva il talento” dice l'entusiasta Pataki, 26 anni, un passato da tennista college per l'Università dell'Illinois del Nord e un presente da coach rampante, come responsabile della sezione tennis dell'Hajdúszoboszló Sportegyesület, polisportiva della cittadina di Hajdúszoboszló, 23.000 abitanti nell'estremo est ungherese, a due passi dal confine con la Romania. Un club di periferia che ha conquistato fama globale grazie a Marozsan, 193 centimetri di finta timidezza. Quel 5 novembre 2021 lo pescammo all'uscita della palestra, saranno state le dieci di sera. Nei Challenger è più facile perché non ci sono media manager, addetti e cani da guardia di professione. E poi lui era da solo, senza coach. “Ci puoi raccontare qualcosa di te? Anche le ricerche più approfondite non danno risultati...”. Raccontò che si era presentato a Bergamo senza la certezza di giocare le qualificazioni (sia benedetto l'aeroporto di Orio al Serio e i suoi collegamenti low cost con l'est europeo...), poi riuscì a entrare come ultimo della lista. Avrebbe vinto sei partite prima di perdere una semifinale-maratona contro Cem Ilkel, togliendo un po' di suggestione a questa storia. Avesse vinto, avrebbe trovato in finale un certo Holger Rune.

Lo sapevi che...

Marozsan veste Dorko, un marchio di abbigliamento ungherese con una mission ammirevole: tramite la vendita di alcuni prodotti, contribuisce a formare cani guida per ipovedenti. Nell'ultimo anno ne sono stati educati circa 80 e Marozsan è un fiero promoter dell'iniziativa. Il suo manager è l'ex giocatore e uomo d'affari Zsolt Somogyi, responsabile di un'azienda di elettrodomestici che è tra le prime cinquanta imprese ungheresi di maggior successo. 

Marozsan impegnato a Bergamo nel 2021. Si presentò senza essere nemmeno ammesso alle qualificazioni... (Foto di Antonio Milesi)

“Sono nato a Budapest e vivo in una cittadina a 20 km dalla capitale” diceva. Si chiama Százhalombatta ed è lì che ha vissuto fino a qualche anno fa, completando gli studi. “Durante il periodo del Covid mi sono iscritto alla facoltà di Educazione Fisica, un corso di due anni e mezzo, ma poi ho dovuto smettere perché il circuito è ripartito. Mi mancano solo due esami e la tesi: prima o poi finirò, ma adesso la priorità è il tennis”. Ha iniziato a giocare intorno ai 4 anni di età guardando suo padre e ha imparato tutto da lui, sebbene Marozsan Sr. fosse un semplice giocatore di club. “Ho giocato il mio primo torneo a 9 anni e ho perso subito. Sono un ritardatario, sono sempre stato indietro rispetto agli altri...”. La svolta è arrivata quando ne aveva 13: si allenava ancora a Százhalombatta con il maestro Tibor Denes e vinse una partita contro il coetaneo Zsombor Piros (uno che sarebbe diventato numero 1 junior) e fu notato da Csaba Babos, padre-coach di Timea. “Disse che aveva visto in me la fantasia e mi chiese di andarmi ad allenare con lui a Budapest. Ha accettato, mi ha seguito per un po' e poi ho iniziato a lavorare con la federazione ungherese, che mi mette a disposizione coach e preparatore atletico. Lì ho capito quanto sia difficile il lavoro per un professionista”. Il coach era l'esperto Miklós Palágyi, che oggi si alterna con Pataki.

È rimasto al suo fianco dopo che Marozsan ha scelto di lasciare Gyor e trasferirsi dall'altra parte dell'Ungheria, aggregandosi a un team di cui faceva già parte Anna Bondar (senza contare che Pataki sta dando una mano anche alla Babos). “È stato Fabian a cercarci – racconta Pataki – la sua personalità è perfetta per il nostro club, è un ragazzo rispettoso e con dei valori. A noi piace molto l'atmosfera familiare. Quando arrivò la Bondar non avevamo molto da offrirle, ma appena si è trasferita a Hajdúszoboszló ognuno ha contribuito con il poco che aveva per accoglierla”. È finita che è entrata tra i top-100 e domenica era in tribuna, sul Campo 2, esultando come una pazza quando Marozsan ha battuto Jiri Lehecka, rimontando da 2-4 nel tie-break del terzo. Qualche giorno prima, nelle qualificazioni, Timofej Skatov aveva servito sul 5-4 in suo favore nel terzo. Ma il destino aveva deciso di regalare la settimana della vita a un ragazzo che quest'anno puntava a entrare tra i top-150. Ha impiegato due mesi a raggiungere l'obiettivo, aggiornandolo ai top-100. “Anche se sarà dura perché ho tanti punti da difendere – diceva un paio di mesi fa, dopo aver vinto il suo secondo titolo Challenger ad Antalya – mi piacerebbe farcela in sei mesi, per poter giocare il main draw allo Us Open. Ma vorrei crescere in modo graduale, perchè un conto è entrare tra i top-100, un altro è restarci”.

Le più grandi sorprese del circuito maschile dal 2009 a oggi: i match in cui il favorito era quotato 1.01... e ha perso la partita!

A vederlo e a sentirlo oggi, si fatica a credergli. “Da piccolo ero particolarmente isterico – racconta – piangevo, gridavo e tutti mi dicevano che un professionista non si comporta così. Ma un giovane fatica a gestire le emozioni... Poi ho iniziato a guardare i campioni e ho cambiato il mio approccio. Adesso ho una faccia da poker, non mostro i miei stati d'animo e ho il problema opposto: non manifesto nemmeno se accade qualcosa di molto positivo. Sembra che non mi interessi nulla, qualcuno mi critica per questo, ma non mi interessa”. In effetti, quando l'ultimo dritto di Alcaraz è finito lungo, si è limitato a lasciar cadere la sua racchetta sulla terra increspata, e puntare un dito pieno d'orgoglio verso il suo clan. A proposito di racchetta, tra il 2022 e il 2023 ha vissuto una faticosa transizione perché ha dovuto cambiare il vecchio telaio, una Babolat che utilizzava da sette anni. “Era fuori produzione, la cambiavo ogni due anni ma il modello non era più disponibile, allora ne ho provati diversi ma nessuno funzionava per davvero – dice Marozsan, già certo di festeggiare il best ranking – ho provato con altri dello stesso marchio, poi anche una Yonex. Con questa avevo ottenuto discreti risultati nelle gare a squadre (anche in Italia, laddove ha contribuito alla promozione in Serie A1 del Matchball Firenze, ndr), così sono andato in Australia con quella, ma non è andata troppo bene. Poi ho provato una nuova Babolat e adesso va meglio”.

La racchetta di Marozsan non è customizzata. “È di quelle che trovi in negozio, perché non ho alcun contratto. Se ce l'hai te la fanno su misura: peso, bilanciamento, schema delle corde...” invece lui è ancora uno dei tanti. A sentire Pataki, il suo problema è sempre stato la fiducia. “A volte è un po' insicuro, non sempre gioca in modo pulito. Bisogna lavorare sull'autostima”. La vittoria contro Alcaraz gliene darà a secchiate, anche se difficilmente perderà la dote dell'umiltà. A Roma gli hanno chiesto chi fosse il suo idolo d'infanzia: ha risposto Rafael Nadal (“Anche se abbiamo un gioco piuttosto diverso...”), mentre a noi disse che... “Da piccolo amavo Federer e Nadal: li seguo ancora oggi, ma in questo momento cerco di rubare ogni segreto dai campioni”. Ne elencò quattro: "Djokovic, Monfils, Sinner, Musetti... li guardo tutti con attenzione”. Non sapeva che l'impetuosa scalata di Sinner partì proprio da Bergamo, una sorta di talismano invisibile per un glorioso futuro. Non avrà la carriera del nostro Golden Boy, ma può certamente ottenere gli obiettivi di carriera. “Affinché mi chiedano foto e autografi devo entrare tra i primi 50. Sarebbe bello arrivarci, questo è il mio obiettivo... Non voglio fare come chi è numero 300 e ti guarda dall'alto in basso. Io sono uno come gli altri”. Dal 15 maggio 2023 non è più così.