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Break Point, è già finita

La serie Netflix sul mondo del tennis sarebbe stata sospesa dopo appena due stagioni. La ragione sarebbero gli scarsi ascolti, dovuti alla difficoltà di accesso ai giocatori più noti. La collaborazione di tornei e istituzioni non ha certo facilitato l'indipendenza giornalistica del progetto.

Riccardo Bisti
10 marzo 2024

Come spesso accade, la dismissione di un progetto non avrà mai la stessa risonanza rispetto agli strombazzamenti che ne avevano accompagnato la nascita. Ma è giusto riportare che, secondo una fonte autorevole (Stuart Fraser sul The Times), sarebbe già stata sospesa la produzione di Break Point, la serie Netflix che avrebbe dovuto raccontare il dietro le quinte del mondo del tennis come aveva fatto Drive to Survive, analoga serie dedicata al mondo della Formula 1. In effetti, Drive to Survive aveva riacceso l'interesse verso le corse, soprattutto da parte del pubblico americano. Non si può dire altrettanto di Break Point, il cui lancio della seconda serie lasciava già intendere una crisi piuttosto evidente: le puntate erano state ridotte a sei (dopo le dieci della prima serie) e non erano mancate le critiche, peraltro presenti sin dall'inizio.

La più convincente l'aveva data lo stesso Stuart Fraser, che l'aveva definita “un progetto di ripulitura delle pubbliche relazioni”. La sensazione ha raggiunto i massimi livelli con la puntata dedicata ad Alexander Zverev. Al netto di quello che si può pensare sulle accuse di molestie e violenza privata mosse da Olga Sharypova e Brenda Patea, nei 46 minuti dedicati al tedesco non c'è alcuna menzione dell'argomento. Il brutto infortunio alla caviglia durante il Roland Garros 2022 è la base con cui raccontare la sua storia di rinascita. Ok, ma è soltanto una parte della storia. Più in generale, detto che ci sono alcune puntate di scarso appeal (a chi dovrebbe interessare la lotta per la leadership statunitense? Senza offesa, Fritz, Tiafoe e company non sono esattamente Sampras e Agassi), a nostro avviso il problema di Break Point è duplice.

La produzione di Break Point è stata affidata allo stesso team che aveva realizzato Drive to Survive e Full Swing (analoga serie dedicata al golf, che peraltro è andata molto bene), ma la qualità e la spettacolarità delle immagini (straordinaria) non è stata sufficiente.

Il primo riguarda il difficile accesso ai migliori: Novak Djokovic e Rafael Nadal non hanno aderito al progetto (il primo sta realizzando un documentario per conto proprio, annunciato diversi anni fa), e nemmeno Roger Federer ne ha fatto parte. Se è vero che la carriera di King Roger era sostanzialmente esaurita già agli albori di Break Point, oggi sappiamo che ha preferito cedere le immagini del suo ritiro-show (più filmati privati) a Prime Video. Una batosta niente male per Netflix. Mancano anche i leader della nuova generazione come Jannik Sinner e Carlos Alcaraz (quest'ultimo ha concesso un'intervista, ma la sua vittoria a Wimbledon occupa appena dieci minuti).

È andata un po' meglio in campo femminile, con la presenza di Coco Gauff e Aryna Sabalenka, ma il tennis in gonnella – si sa – non è in grado di far impennare gli ascolti. L'altro problema riguarda la natura del documentario, celebrativa e non giornalistica. Non potrebbe essere altrimenti: per la produzione di Break Point, le troupe Netflix hanno dovuto ottenere l'autorizzazione preventiva dei diretti interessati, nonché delle principali istituzioni tennistiche (ATP, WTA e tornei del Grande Slam). Queste ultime sono state ben contente di collaborare e hanno contribuito alla promozione, ma è chiaro che la vicinanza tra produttori e protagonisti ha inevitabilmente compromesso la genuinità del racconto. Risultato: ad appena due mesi dal lancio della seconda serie, incentrata sulla stagione 2023, si ritiene che Break Point sia già al capolinea.

La presentazione del Netflix Slam con Rafael Nadal, Andre Agassi e Carlos Alcaraz

Il trailer della seconda serie di "Break Point": rimarrà l'ultima

Non è un addio ufficiale: la scelta potrebbe essere ridiscussa se gli ascolti dovessero crescere, ma non sembra uno scenario probabile. La produzione di Break Point è stata affidata allo stesso team che aveva realizzato Drive to Survive e Full Swing (analoga serie dedicata al golf, che peraltro è andata molto bene), ma la qualità e la spettacolarità delle immagini (straordinaria) non è stata sufficiente. In sintesi: mancano i contenuti. Nonostante avessero promesso di occuparsene a suo tempo, la faccenda della mancata partecipazione di Novak Djokovic all'Australian Open 2022 per la mancata vaccinazione è ridotta a una nota a piè di pagina. La sensazione è che le scelte narrative si siano limitate alle disponibilità ottenute, ma non sempre le scelte sono state brillantissime. Per esempio, la questione della positività all'antidoping di Simona Halep si sarebbe prestata a un racconto particolarmente avvincente, invece la questione non è stata nemmeno toccata.

Al contrario, c'è una puntata in cui Maria Sakkari e Jessica Pegula si lamentano della pioggia che – spesso e volentieri – tarda il programma a Wimbledon. Non esattamente quello che ci si aspetterebbe da una serie così ambiziosa. Il tentativo è stato legittimo e apprezzabile, ma il risultato non è stato quello sperato: sembrano averlo capito anche i vertici di Netflix, che però confermano di avere un certo interesse per il nostro sport. A parte altri produzioni di buona qualità (Untold: Fish vs. Federer e una serie dedicata a Naomi Osaka), qualche giorno fa hanno prodotto e trasmesso il Netflix Slam, un match di esibizione tra Rafael Nadal e Carlos Alcaraz, giocato a Las Vegas. Segno di inalterato interesse per il tennis, ma con una strategia diversa? Lo scopriremo più in là, intanto si registra la (molto) probabile interruzione di un prodotto che non ha ottenuto l'effetto sperato.