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ASICS TENNIS ACADEMY

The Dream: Andrea Ramundo

35 anni e una grande passione per il metodo spagnolo, Andrea Ramundo ha vissuto tre anni all'ombra di Jofre Porta, storico coach di Carlos Moyà. Ha portato la sua esperienza in Italia, laddove insegna in provincia di Ancona. Dalla piccola Montemarciano stanno emergendo tanti talenti, tra cui la finalista dell'Avvenire Ilary Pistola. ASICS Tennis Academy ha puntato su di lui. 

Intervista di Riccardo Bisti
3 febbraio 2024

L'intervista inizia con qualche minuto di ritardo perché Andrea Ramundo stava assistendo l'elettricista. “Una luce non funzionante nel campo da padel fa venire giù tutto il circolo e stiamo cercando di risolvere il problema”. L'aneddoto non è fine a stesso, ma ben descrive le problematiche – spesso trascurate – che vive un circolo di provincia. Però a Montemarciano, meno di 10.000 abitanti in provincia di Ancona, stanno mettendo in piedi un piccolo miracolo. Ramundo e il suo staff hanno portato una piccola realtà alla ribalta nazionale. Per adesso il gioiello è Ilary Pistola, migliore azzurra tra le Under 16, ma da dietro spingono ragazzi di enorme talento. Il tutto sotto la guida di un giovane tecnico di 35 anni che ha cercato di carpire più segreti possibili da Jofre Porta, l'uomo che portò Carlos Moyà al numero 1 del mondo. Un entusiasmo travolgente lo candida a essere il nuovo Gipo Arbino o Simone Tartarini. Intanto, ASICS Tennis Academy ha puntato di lui.

Il tuo nome non è (ancora) troppo conosciuto. Il tuo percorso nel mondo del tennis?
Ho iniziato a 5 anni di età ed è subito stata grande passione. Ho tirato i primi colpi a Falconara Marittima, eravamo tanti allievi in un singolo campo e si colpivano poche palle. Ma quelle poche mi piacevano da matti. I miei genitori mi “parcheggiavano” nel circolo, laddove stazionavo dal primo pomeriggio fino alla sera, con il maestro che mi prese un po' sotto la sua ala protettrice. Ho giocato i primi tornei intorno ai 10-11 anni, ma mi spostavo in autobus perché per i miei era complicato portarmi. Sono arrivato a essere 2.6: nulla di straordinario, anche perché non c'erano troppe risorse economiche. E comunque avevo i miei limiti.

L'insegnamento è arrivato molto presto nella tua vita.
Ho iniziato dando una mano al mio maestro ed è stato un colpo di fulmine, anche perché sin da subito ho avuto feedback positivi. La svolta è arrivata a 18 anni, quando ho organizzato una scuola estiva a Montemarciano, dove oggi ho la residenza. Ha funzionato, mi hanno proposto la direzione della scuola tennis e da lì è iniziata l'avventura. Ho effettuato tutta la trafila fino a diventare tecnico nazionale.

Ma tu volevi fare il tennista, oppure sin da piccolo avevi l'idea di insegnare?
La passione per l'insegnamento è arrivata molto rapidamente. A 19 anni mi sono iscritto a economia e amministrazione d'impresa e mi sono laureato mentre facevo il maestro. Come giocatore, lo riconosco, avevo i miei limiti.

Ho fatto tre mesi intensivi di spagnolo sapendo che da lì a poco ci sarebbe stato un simposio a Valencia, tenuto da Jofre Porta. Al termine lo presi da parte, dicendogli che credevo tantissimo nel suo lavoro e che avrei lavorato con lui anche gratis. Colpito da tanto entusiasmo ha accettato di buon grado»

La tua enorme passione, unita all'apprezzamento per il tennis spagnolo, ti ha portato a tuffarti in una bella avventura.
Il mio idolo d'infanzia era Carlos Moyà. Mi vestivo come lui, usavo la sua stessa racchetta. All'epoca internet era agli albori, ma riuscì a ottenere una VHS dei suoi allenamenti con coach Jofre Porta. In preda all'entusiasmo, presi un insegnante di spagnolo e ho fatto tre mesi intensivi sapendo che da lì a poco ci sarebbe stato un simposio a Valencia, tenuto proprio da Porta. Al termine lo presi da parte, dicendogli che credevo tantissimo nel suo lavoro e che avrei lavorato con lui anche gratis. Colpito da tanto entusiasmo ha accettato di buon grado, così sono rimasto a Maiorca per tre anni. Lo posso dire: quel periodo mi ha aperto un mondo. Tra l'altro, mi è capitato spesso di lavorare nel campo a fianco di Rafa Nadal e zio Toni. Prima che creassero la loro accademia, si appoggiavano a quella di Jofre Porta. Ho sempre apprezzato il metodo spagnolo: a mio avviso, in Italia si dava troppa importanza alla tecnica e meno alla parte atletica. Al mio ritorno ho provato a creare un metodo ibrido tra Italia e Spagna. Ed è quello che stiamo portando avanti nella nostra realtà.

Una realtà piccola, ma che si sta facendo conoscere a suon di risultati.
C'è un circolo di due campi, che però diventano sei in tre strutture diverse. Abbiamo uno staff di dieci persone e seguiamo 150 bambini e 100 adulti. Tutti i nostri ragazzi sono cresciuti nel vivaio, e grazie ai risultati abbiamo avuto la possibilità di girare per il mondo e confrontarci con altre realtà. Mi sono reso conto che non sono in tanti a girare per il mondo. Non sono troppi quelli che lo fanno per passione, ma chi la possiede ha una gran voglia di collaborare. In campo maschile abbiamo Tommaso Pantò e Pietro Marinelli, entrambi classe 2012, tra i migliori nella loro fascia d'età. Tra le ragazze c'è Caterina Burini, classe 2009, mentre la più famosa – per ovvie ragioni – è Ilary Pistola, classe 2008. Ognuno di loro richiede attenzioni diverse.

Non c'è dubbio che – per ora – il fiore all'occhiello sia Ilary Pistola, bicampionessa italiana e finalista all'Avvenire.
Ilary è nata e cresciuta qui. Si è presentata all'età di 5 anni, svolgendo un corso di mini-tennis di quelli che organizziamo periodicamente cercando di tirare fuori buoni elementi. In poche settimane si è subito messa in luce. La sua situazione è particolare: suo padre è un coach di pallavolo in Serie A e non è mai in zona, la madre lavora fuori e dunque vive a casa dei nonni. Per questo è spesso al circolo, in un certo senso ha avuto una crescita simile alla mia. Sin da subito si è differenziata per grinta e voglia di arrivare. Ha sempre voluto fare la tennista e lo dimostra ogni singolo giorno. Il suo talento è lo stakanovismo, ha capito che tutto è possibile con il lavoro e il sacrificio. Non possiede un talento tecnico fuori dal comune, altri ragazzi che ho citato ne hanno di più, ma ha una capacità di lavoro unica. Non a caso è stata notata dalla FITP: pur essendo da sempre nel giro dei raduni, spesso era tagliata fuori dalle convocazioni più importanti. Crescendo, e con il lavoro, hanno iniziato a tenerne conto e da un anno e mezzo è la numero 1 d'Italia. Per me è come una figlia.

«Ilary Pistola ha sempre voluto fare la tennista e lo dimostra ogni singolo giorno. Il suo talento è lo stakanovismo, ha capito che tutto è possibile con il lavoro e il sacrificio.»

Credi di poter diventare come Gipo Arbino e Simone Tartarini, che hanno preso i loro allievi (Sonego e Musetti) in età da SAT e li hanno portati ai vertici? Inoltre tu hai il vantaggio di essere più giovane...
Egoisticamente dico di sì. È il mio sogno da sempre, sto mettendo tutto me stesso in questo progetto. La nostra struttura è finalizzata a cercare il salto di qualità proprio in questa direzione. Aspiro proprio a questo e mi auguro di riuscirci.

Come è nato il contatto con ASICS Tennis Academy?
Dopo la finale di Ilary al Torneo dell'Avvenire sono stato contattato da Charly Romiti. Mi ha detto che aveva seguito in disparte il nostro percorso, peraltro molto faticoso: in quei giorni, oltre al torneo, c'era un raduno federale presso il CTPE (Centro Tecnico Permanente Estivo, ndr) del TC Ambrosiano. Per noi significava due ore di allenamenti, partita, ancora allenamenti, poi il doppio e infine la palestra. Ero sempre in campo e non potevo avere chissà quali contatti. Quando abbiamo parlato, Charly mi disse che era rimasto colpito dalla comunicazone tra me e Ilary durante la semifinale, vinta rimontando da 1-5 nel terzo set. Ha poi chiesto di venirci a trovare e ha conosciuto la nostra realtà, dove credo abbia trovato un dimensione familiare in cui ognuno ha la sua identità ma tutti viaggiano nella stessa direzione. Credo che abbia apprezzato quello che ha visto.

Tra i membri di ASICS Tennis Academy ci sono professionisti molto conosciuti. Tu sei un tecnico emergente: come mai hanno puntato proprio su di te?
Perchè a Montemarciano c'è qualcosa di particolare. Quando osserviamo i tabelloni e le convocazioni capita di scherzare tra di noi, perché siamo accanto a nomi giganteschi. Vediamo Roma, Milano, Torino... e Montemarciano. All'inizio molti ci chiedevano dove fossimo, non sapevano neanche la regione! Credo che ASICS si sia resa conto che, grazie al duro lavoro, si possa tirare fuori qualcosa di importante anche partendo dalla periferia.

Jofre Porta è il tecnico che più di tutti ha ispirato Andrea Ramundo

«In Italia sta scomparendo l'idea di pensare soltanto al proprio orticello per il timore di essere copiati, o che venga portato via un giovane promettente.»

Qual è la tua massima aspirazione?
Ho sempre detto che il mio sogno è accedere ai quattro Slam senza pagare il biglietto. Non essendoci riuscito da giocatore, adesso vorrei farcela in questo nuovo ruolo. Parlando di obiettivi, vorrei partecipare al circuito mondiale, vivere stagioni intere in giro per il mondo. Respirare il circuito a 360 gradi è quello che ho sempre sognato e vorrei poter dire di avercela fatta. Quando sarò arrivato a quel punto, potrò dire qual è la mia massima aspirazione.

La FITP è bravissima a dialogare col vertice e con le istituzioni. Com'è il rapporto con la base, in particolare con una piccola realtà come la vostra?
Le Marche sono una regione all'avanguardia, il tennis è sempre stato importante. Da qui sono partiti Gianluigi Quinzi, Elisabetta Cocciaretto, Stefano Travaglia... ci hanno spianato la strada. Emiliano Guzzo, presidente del comitato regionale, ci ha sempre aiutato nei limiti del possibile. Inoltre abbiamo contatti frequenti con Luca Sbrascini, uno dei tecnici più in vista. C'è contatto costante, partecipiamo a ogni manifestazione... direi che il rapporto c'è ed è proficuo. Lo definirei un sano dare e avere, ed è un bene che ci sia.

Da cosa dipende il boom del tennis italiano?
Di recente ero in Polonia e ho discusso con un tecnico svedese molto esperto, intorno ai 70 anni di età. Mi ha detto testualmente così: “Ho vssuto per 30 anni a fianco di tecnici italiani e tu stai dimostrando il vero progresso, ovvero lo sharing, la capacità di confrontarsi, trasmettere esperienze e non chiudersi in se stessi”. L'apertura è fondamentale: io collaboro con tanti maestri e devo dire che sta scomparendo l'idea di pensare soltanto al proprio orticello per il timore di essere copiati, o che venga portato via un giovane promettente. Questo è un punto a favore della federtennis. Inoltre c'è più attenzione alla parte atletica: in passato era un po' trascurata, mentre adesso il preparatore sta in campo, è parte integrante dei team, viaggia con il giocatore... a volte vedo quasi più preparatori che maestri al fianco dei giocatori.

Da sempre allenata da Andrea Ramundo, la giovanissima Ilary Pistola è giunta in finale al Torneo dell'Avvenire (Foto di Roberta Corradin)

«La nostra priorità è che Ilary faccia quello che desidera. Nessuno le ha imposto nulla, anzi, spesso siamo noi a dare un freno. Fosse per lei farebbe ancora di più, non si fermerebbe mai»

Chiudiamo parlando ancora di Ilary Pistola. La sua famiglia come vede tutto questo?
Sono estremamente collaborativi. Vedono in lei una passione smisurata, nonché la continua richiesta di darsi da fare e imparare cose nuove. Con una figlia del genere come fai a dire di no? Certo, c'è una parte economica di cui tenere conto. Ma devo dire che tra FITP, alcuni sponsor e la famiglia stessa riusciamo a rendere sostenibile l'attività. Inoltre il padre vive di sport, è un professionista del volley e si rende perfettamente conto di certe esigenze.

Pensi che sia corretto, per una ragazza della sua età, vivere già da baby professionista? Non c'è il rischio che un giorno possa arrivare il burnout?
La nostra priorità è che Ilary faccia quello che desidera. Nessuno le ha imposto nulla, anzi, spesso siamo noi a dare un freno. Fosse per lei farebbe ancora di più, non si fermerebbe mai. Frequenta ancora la scuola pubblica, un Istituto Turistico Sportivo. Grazie a un decreto ministeriale può viaggiare per i tornei come studente-atleta, le assenze non le vengono contate e può organizzarsi per interrogazioni e verifiche. È in seconda superiore: non so per quanto tempo potrà andare avanti così, non credo per molto. Immagino che dovrà affidarsi a una scuola privata, anche perché le ragazze con cui ci confrontiamo hanno già preso questa strada. Siamo noi a essere un'eccezione. Alla fine, Ilary svolge doppia seduta di allenamenti soltanto una volta a settimana. Ha una vita molto piena: pranza in autobus dopo la scuola, poi torna alle 21.30 e dopo cena svolge defaticamento mentre studia. Una vita così piena le permetterà di non bruciarsi, anzi, la rende ancora più matura.