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IL CASO

L'assoluzione di Marco Bortolotti

Il doppista azzurro era risultato positivo al clostebol (lo stesso anabolizzante trovato a Matilde Paoletti nel 2021), ma un procedimento lampo ITIA lo ha scagionato: “zero colpa e zero negligenza”. Hanno accettato la spiegazione sul perché la sostanza è entrata nel suo organismo... ma tale parte è oscurata nella sentenza.

Riccardo Bisti
8 aprile 2024

Premessa: è un bene che Marco Bortolotti sia stato pienamente scagionato e non abbia scontato neanche un giorno di squalifica. Nelle urine del doppista emiliano (n.106 del ranking ATP di specialità) erano state trovate tracce di clostebol, anabolizzante tristemente noto per il Doping di Stato della DDR negli anni '70 e '80. Tuttavia, il procedimento-lampo dell'ITIA ha stabilito che Bortolotti non avesse alcuna colpa e nemmeno commesso alcuna negligenza. Per questo, la disavventura gli è costata appena 440 euro e 16 punti ATP, il bottino intascato al Challenger di Lisbona dello scorso ottobre, durante il quale si è svolto il controllo antidoping. Ma la storia merita di essere raccontata per almeno due ragioni. In primis, perché la notizia è stata totalmente ignorata dai media italiani (mentre è stata raccontata da diverse testate estere). In secundis, perché sorprende l'impressionante velocità con cui si è risolta, in contrasto con le lungaggini di tante vicende analoghe. E poi ci sono gli sbianchettamenti della sentenza, che nascondono le spiegazioni fornite dal giocatore per giustificare l'assunzione (evidentemente accidentale). Insomma, ce n'è abbastanza per un racconto e una riflessione.

Marco Bortolotti ha compiuto 33 anni lo scorso 21 gennaio e ha giocato i suoi primi tornei professionistici nel 2008. In singolare ha vinto due titoli ITF ed è stato al massimo numero 355 ATP (nel 2016). Da qualche tempo si dedica esclusivamente al doppio, disciplina in cui si è scoperto decisamente competitivo: ha vinto 48 titoli, tra cui sette ATP Challenger, gli ultimi due lo scorso anno nel benedetto-maledetto Portogallo, a Braga e Maia. A suon di risultati, ha abbattuto il muro dei top-100 ATP di specialità. Non è così distante, dunque, dalla possibilità di giocare i grandi tornei (anche se le recenti norme sperimentali approvate dall'ATP rischiano di danneggiare proprio quelli come lui). Lo scorso autunno, dopo aver vinto il Challenger di Braga con il rumeno Mircea Alexandru Jecan, si è recato a Lisbona per giocare il Del Monte Lisboa Belem Open. Bortolotti-Jecan hanno perso nei quarti contro i baby-portoghesi Faria-Rocha. Mercoledì 4 ottobre è stato sottoposto a un controllo antidoping che ha evidenziato la presenza del clostebol, agente anabolizzante derivato del testosterone. La sostanza è contenuta in varie pomate per curare ferite e abrasioni per cicatrizzare il tessuto cutaneo. DDR a parte, il suo nome ricorre ciclicamente in casi di positività all'antidoping.

Marco Bortolotti sta gradualmente mettendo piede anche nel circuito maggiore

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    I titoli di doppio conquistati da Marco Bortolotti. Dopo 41 successi ITF, l'emiliano ha iniziato a vincere anche nel circuito Challenger con due successi nel 2021, tre nel 2022 e due (Braga e Maia) lo scorso anno.

Il caso più noto riguarda il giocatore dell'Atalanta José Luis Palomino, mentre nel mondo del tennis c'è il precedente della giovane Matilde Paoletti, di cui vi avevamo ampiamente raccontato. In entrambi i casi era arrivata l'assoluzione, anche se Palomino è arrivato al CAS di Losanna (a seguito del ricorso di NADO Italia dopo l'assoluzione in primo grado) mentre la Paoletti era stata sottoposta a una sospensione provvisoria che l'ha tenuta ferma per circa tre mesi. I casi di Palomino e Paoletti avevano un punto in comune: la contaminazione tramite un cane. Sia quello del calciatore che quello della tennista erano stati trattati con il veterabol, medicinale utilizzato per curare abrasioni cutanee. Va da sé che contiene il clostebol. Ma torniamo a Bortolotti. Il suo campione è stato trasferito nel laboratorio antidoping di Montreal e ha evidenziato la presenza della sostanza vietata. Il giocatore è stato avvisato della positività il 30 gennaio e gli hanno chiesto una replica entro il 13 febbraio, giorno in cui sarebbe partita la sospensione provvisoria (a cui avrebbe potuto opporsi, rivolgendosi direttamente al presidente del pannello indipendente). Il giocatore ha risposto l'1 febbraio, rinunciando alle controanalisi e fornendo una spiegazione sul perché il clostebol fosse entrato nel suo organismo. Il giorno dopo, l'ITIA gli ha inviato una lettera formale affermando che aveva violato gli articoli 2.1 e 2.2 del programma antidoping. In data 5 febbraio, Bortolotti ha confermato la presenza della sostanza e ha ribadito la sua spiegazione.

Già, ma come è entrato il clostebol nell'organismo del tennista?
Lo spiegano i punti 16 e 17 della sentenza ITIA, ma i passaggi più sensibili sono accuratamente oscurati. Si legge soltanto che l'ITIA ha chiesto al laboratorio di verificare la plausibilità scientifica della spiegazione di Bortolotti: una serie di calcoli, basati sulla sua esposizione al clostebol e sulla quantità trovata, hanno evidenziato che la sua spiegazione fosse credibile. A quel punto, accettata l'involontarietà dell'assunzione, Bortolotti ha evitato il rischio di una squalifica di 4 anni. Il calcolo della possibile sospensione partiva da due anni, ulteriormente riducibili calcolando il grado di colpa o negligenza. La sanzione può essere azzerata (articolo 10.5 del TADP) se il giocatore dimostra che non poteva sapere e nemmeno sospettare di poter incorrere in una violazione, anche utilizzando la massima cautela. Il principio di massima cautela – recita il punto 26 della sentenza – è molto oneroso e richiede che il giocatore dimostri di aver fatto ogni sforzo possibile per evitare di assumere una sostanza proibita. Nel punto successivo, l'ITIA asserisce di aver accettato che Bortolotti non potesse aspettarsi quello che è successo, quindi non poteva prendere ulteriori precauzioni rispetto a quelle già messe in atto.

Marco Bortolotti e Mircea Alexandru Jecan posano durante la premiazione del Challenger di Braga. Pochi giorni dopo c'è stato il controllo antidoping da cui è emerso il clostebol

Ok, ma cosa è successo? Niente da fare: è tutto scientificamente oscurato. Ad ogni modo, a Bortolotti è stata concessa la formula assolutoria del “no fault or negligence”. Significa che non aveva colpa, e non ha commesso nemmeno leggerezze o distrazioni. Sarebbe interessante conoscere i dettagli, ma evidentemente sono stati ritenuti troppo personali. Le sentenze con punti oscurati sono moltissime, quindi non è così clamoroso. Quelle di Dayana Yastremska (che in effetti conteneva dettagli piuttosto intimi) e – più recentemente – di Simona Halep avevano diversi passaggi a tutela della privacy, dunque è legittimo che Bortolotti abbia goduto dello stesso trattamento. Ciò che colpisce è la velocità con cui l'ITIA ha archiviato il caso: la sentenza è datata 7 febbraio, appena otto giorni dopo che Bortolotti era venuto a conoscenza del fatto (il caso è poi stato reso noto il 21 marzo). In sintesi, l'ITIA si è accontentata del parere del laboratorio, che ha definito credibile la spiegazione di Bortolotti. Volendo essere pignoli, tale affermazione (la plausibilità della spiegazione) non sembrerebbe sufficiente a soddisfare i requisiti richiesti dall'articolo 10.5.1 del Tennis Antidoping Program, in cui si dice che l'atleta debba provare quello che sostiene (“If the Athlete establishes”).

Da quello che emerge nella sentenza, sembrerebbe che la spiegazione non sia provata oltre ogni ragionevole dubbio, ma che sia stata soltanto ritenuta scientificamente plausibile. Insomma, (fortunatamente) non c'è stato alcun accanimento nei confronti del giocatore, come invece è accaduto in diversi casi del passato. Detto che la sentenza può essere appellata sia dalla WADA che da NADO Italia (e solo in quel caso Bortolotti potrebbe effettuare un controricorso), l'esito di questa procedura-lampo non può che soddisfare Bortolotti, la cui programmazione non è stata condizionata: pochi giorni dopo la sentenza era già a Manama, in Bahrein, laddove è giunto in semifinale insieme ad Alessandro Giannessi. Qualche settimana dopo (insieme a Sergio Martos Gornes) ha raggiunto la finale a Tenerife: grazie a questo risultato è entrato per la prima volta tra i top-100 di specialità, il sogno di una vita per chiunque prenda in mano una racchetta. E chissà che – regolamenti a parte – non riesca finalmente a giocare in un torneo del Grande Slam. Sarebbe un premio alla carriera, ben più gratificante della partecipazione alla United Cup del 2023. Nella speranza che nessuno gli vada a fare ulteriormente le pulci per l'assunzione accidentale di Clostebol, i cui dettagli sono noti solo a lui e agli ispettori ITIA. Forse è giusto così.