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LA STORIA

Stefano Ianni & The American Dream

Stefano Ianni, da Vico Equense a Fisher Island inseguendo (e raggiungendo) il Sogno Americano. Ha cominciato vivendo in un ghetto di Miami, ora insegna ai milionari: «Serve il il coraggio di prendere, mollare tutto e partire. Devi avere la pelle dura, però il sistema americano è meritocratico: se hai voglia di fare, ce la puoi fare»

Federico Mariani
1 luglio 2020

Coraggio, lavoro, determinazione. Su queste tre colonne si poggia The American Dream, il sogno americano, la convinzione che tutto sia possibile, indipendentemente dal punto di partenza, dallo status sociale o dalla provenienza. La parabola di Stefano Ianni parte da Vico Equense, si sposta a Monza e poi sterza verso lo Sunshine State, cambiando traiettoria e sogno. Terminata la carriera da professionista, senza infamia ma nemmeno troppe lodi, Stefano ha cercato e trovato fortuna a Miami. Oggi si divide tra le lezioni ai milionari che risiedono nell’esclusiva Fisher Island a 100 (e passa) dollari l’ora e il ruolo di direttore di un circolo negli Hamptons, destinazione estiva dei newyorkesi dell’alta finanza che lì si trasferiscono con le famiglie per le vacanze.

«Sono nato a Vico Equense e cresciuto al Circolo Tennis Monza. Ho giocato i Futures e sono arrivato al numero 300 del ranking ATP in singolare e 118 in doppio. Mi sono ritirato nel 2013». Stefano è un classe 1981, anno del signore nel tennis mondiale (è coetaneo di Roger Federer) e, come dicono i numeri, la sua è una delle moltissime carriere che si è fermata sull’uscio della porta del grande tennis, là dove si vivacchia, ci si prova, fino a mollare gradualmente la presa perché non si trovano più stimoli e di sole speranze è difficile campare. E allora che succede a quelli troppo bravi per essere considerati dei dilettanti di professione, ma non così bravi da riuscire a mangiare di soli tornei? È un bizzarro limbo dove occorre reinventarsi per non venire schiacciati, e anche alla svelta. «Facevo la spola tra Milano e Miami per giocare alcuni tornei in Florida insieme ad Adriano Biasella, e mi sono immediatamente innamorato del luogo. Decisi di fare la preparazione invernale a Boca Raton, alla Evert Academy» racconta Ianni, che in precedenza era stato allievo di Riccardo Piatti a Monte-Carlo e poi per dieci anni di Corrado Borroni a Milano.

A Miami, Stefano non ha trovato solo il tennis: «Ho conosciuto mia moglie e, dopo due o tre anni che facevo avanti e indietro, ho deciso di vivere stabilmente negli Stati Uniti, mi sono sposato e ho preso la residenza». Nel 2013 Ianni ha ricevuto un’offerta di lavoro a Fisher Island, «uno dei club americani più prestigiosi, la zona con lo zipcode più ricco, tanto per capirci. Ho fatto i conti e ho deciso di accettare, interrompendo di fatto la carriera da giocatore. Fisher Island è un club molto stagionale, lavoravo da novembre ad aprile. Durante l’estate, quindi, mi sono spostato a est: il primo anno ho lavorato a Washington, sempre con clienti piuttosto benestanti, poi negli Hamptons, dove tuttora lavoro e da due anni dirigo un club».

«Gli inizi sono stati durissimi: vivevo in un ghetto e dovevo fare lezioni a qualsiasi ora per restare a galla. Ora lavoro a Fisher Island, la zona con lo zipcode più ricco degli States e faccio lezioni a milionari...» Stefano Ianni

A Miami si incontrano spesso top players come Fabio Fognini e Fernando Verdasco

Nella parabola tennistica di Stefano il momento di transizione tra carriera e post-carriera è facilmente rintracciabile: «Ho dovuto fare una scelta, investire sul mio tennis o comprare casa: ho scelto di comprare casa». Com’è facilmente comprensibile, Miami non è soltanto quella che si vede nei video dei rapper o nelle serie tv, anzi. «Gli inizi sono stati durissimi, vivevo in una sorta di ghetto, non avevo tempo di andare in giro perché dovevo fare lezioni a qualsiasi ora per restare a galla. Lavoravo in campi che neanche vi racconto per venti dollari». Ora i venti dollari sono diventati, se va male, un centinaio e Stefano ha potuto abbandonare il ghetto, anche se lo ricorda spesso, per non lanciare messaggi fuorvianti: «Il sogno americano non è semplice da realizzare perché i momenti difficili ci sono dappertutto. Occorre avere il coraggio di prendere, mollare tutto e partire. Un conto è vedere Miami quando si è in vacanza, un altro è viverci. Devi avere la pelle dura. La parte positiva è che quello americano è un sistema fortemente meritocratico: se hai voglia di fare, ce la puoi fare. A Miami la qualità della vita è alta, ma anche i costi: un bilocale in una zona decente può costarti tra i 1.600 e i 2.000 dollari al mese di affitto».

Ianni ama ancora l'Italia e ha giocato per il nostro Paese i Campionati del Mondo over trascinando la squadra azzurra alla vittoria nel 2019
The American Dream: Adriano Biasella

Oggi Stefano fa due lavori, molto diversi tra loro, uniti dal fil rouge del tennis, of course. Se a Fisher Island è uomo di campo, negli Hamptons le sue mansioni sono più manageriali. E anche la clientela è diversa: «In Florida faccio lezione a milionari, mentre negli Hamptons sono più avvocati, amministratori delegati di multinazionali, manager, quasi tutti legati al mondo dell’alta finanza, comunque sempre molto benestanti». A New York, il tennis rappresenta ancora uno status quo di benessere, anche se l’80% dei newyorkesi – assicura Stefano – riesce a giocare soltanto d’estate, spostandosi dalla Grande Mela. A Miami, invece, accade l’esatto inverso: «Giocano tutto l’anno ma d’estate tanti si spostano in Europa tra Mykonos, Sardegna e Baleari». Insomma, esistono un bel po’ di modi peggiori per godersi la vita. E dopotutto, a Stefano è sempre piaciuto insegnare, anche quando era ancora impegnato nel circuito come giocatore. «Già nella fase finale della mia carriera, mi ha sempre attratto l’aspetto educativo dello sport. Se lavori con un giocatore o un ragazzino, hai ovviamente più stimoli perché quello che insegni viene recepito in maniera più immediata, però la soddisfazione nel ricevere i complimenti dei soci del circolo è comunque appagante. Io alleno chi ha sessant’anni come fosse un professionista: è questa la chiave per fare bene questo mestiere».

«L'Italia è un Paese stupendo ma non per avviare un business. Vedo miei coetanei, ottimi professionisti, che si uccidono sul campo dalla mattina alla sera e portano a casa 1.500-2.000 euro. Io, per adesso, continuo a godermi il sogno americano» Stefano Ianni

Rimpianti? Nostalgia? «Ho smesso di giocare a 27 anni e magari avrei potuto fare qualcosa in più, ma per continuare avrei dovuto avere una tranquillità economica alle spalle che, purtroppo, non avevo». L’Italia, ovviamente, rimane dentro ma il business è un’altra faccenda e, per Ianni, è soprattutto altrove: «Se avessi fatto questo mestiere in Italia, sicuramente avrei guadagnato molto meno. Mi piacerebbe tornarci per far conoscere a mio figlio la nostra cultura ma non per viverci, almeno non adesso. Credo, che l’Italia sia diventato un Paese stupendo da godere per le vacanze, ma non per avviare un business. Ci tornerei, ma da pensionato. Vedo tanti miei coetanei con i quali giocavo insieme, ottimi professionisti, che lavorano dodici ore al giorno, si uccidono sul campo dalla mattina alla sera tra circolo e lezioni private, e alla fine del mese portano a casa 1.500-2.000 euro. Io, per adesso, continuo a godermi il sogno americano».